L'uomo col cappello in mano di Paolo Mieli

L'uomo col cappello in mano A BOLOGNA PER MINGHETTT STORICI DI TUTTA EUROPA L'uomo col cappello in mano Così i bolognesi identificano lo statista colto e galantuomo pressoché dimenticato - Ministro di Pio IX, passò al fianco di Cavour - La sua politica: finanze in pareggio; separazione tra Stato e Chiesa; non ingerenza dei partiti nella giustizia e nell'amministrazione Nel centenario della morte, un convegno rilancia il pensatore liberale, modello per i moderati e interlocutore ideale per i riformisti DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA — Per i bolognesi è {'«uomo col cappello in mano*, una statua al centro della piazza che porta il suo nome. Per i liceali, l'ultimo presidente del Consiglio della destra storica, che nel 1876 cedette il passo ad Agostino Depretis sema disapprovare la stagione del trasformismo. Per gli studenti d'università è l'ex ministro di papa Pio IX che passò poi con Cavour, l'uomo che tentò il riscatto delle ferrovie dalle mani dei privati, che dichiarò lo stato d'assedio contro i torinesi che protestavano per lo spostamento della capitale a Fireme e che usò il pugno di ferro contro il brigantaggio meridionale fino a guadagnarsi, in Sicilia, l'appellativo di «iena assetata di sangue». Soprattutto è l'uomo che a quindici anni dall'uniti d'Italia riuscì a portare il bilancio in pareggio. Ma fino ad oggi nessuno ha dedicato a Marco Minghetti un libro monografico. Benedetto Croce nella sua Storia d'Italia si limita ad annoverarlo in queir «aristocrazìa. spirituale, gentiluomini e galantuomini di piena lealtà» che governarono l'Italia tra il 1861 e il 1876. Anche Federico Chabod che pure lo definisce «intelligente e colto, uomo dalle amicizie europee», non ritiene di soffermarsi più del dovuto sulla sua personalità. Guido De Ruggiero nella Storia del liberalismo europeo gli preferisce nettamente Silvio Spaventa. E lo stesso farà la sinistra italiana che andrà a cercare alcune delle sue radici proprio nello statalismo di Spaventa. Eppure Vittorio Emanuele Orlando ne parlava come di un maestro delle scienze sociali. Un'alta opinione del suo importante libro sui partiti politici, ebbero anche Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto. E, Arturo Carlo Remolo ha messo in gran risalto le sue tesi separatiste in materia di rapporti tra Stato e Chiesa. Ma è indubbio che fino a oggi Minghetti non è stato tenuto nel conto di un -grande» della storia e del pensiero politico italiani. E' allora soltanto perché cade il centenario della sua morte che l'Università di Bologna ha deciso di dedicargli il convegno intemazionale che si è aperto ieri pomeriggio? No, questo su Minghetti sembra essere qualcosa di più di un tradizionale convegno celebrativo. Si tiene sotto il patronato del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, della Camera e del Senato; per l'occasione Bettino Craxi ha fatto ristampare i suoi scritti politici (Della economia pubblica e delle sue attinenze con la morale e col diritto; Stato e Chiesa; I partiti politici e la ingerenza loro.nella giustizia e nell'amministrazione; in un grande volume assai ben curato da Raffaella Gherardi ed edito dalla presidenza del Consiglio. Al convegno poi, insieme con un nutrito stuolo di scienziati politici di tutt'Europa, parteciperà anche un'ampia rappresentanza di studiosi italiani tra i quali molti di sinistra: Innocenzo Cervelli, Maria Luisa Pesante, Silvio Lanaro. Che ci fa tutta questa gente a parlar di Minghetti? La verità è che sotto l'accorta regia di Tiziano Bonazzi e Nicola Matteucci, che ieri ha tenuto la relazione introduttiva al convegno, a Bologna si procede oltre che a una rivalutazione della destra storica, già in atto da qualche tempo in Italia, a una riproposizione per l'oggi del suo volto liberale. E nessuno si presta meglio di Minghetti a tale operazione. Cattolicissimo ma uomo di mondo, nonché gran frequentatore di salotti, Minghetti ha un'ottima cultura: oltre ai già ricordati testi di politica ed economìa tradotti •inmólte lìngue, ha scritto libri su Raffaello e sulla Maddalena1 netta storia dell'arte. Raffinato conoscitore dei classici greci, nei suoi ultimi anni si diletta d'insegnare il latino alla regina Margherita. Figlio di ricchi proprietari terrieri di Cadriano, vicino a Bologna, da giovane Minghetti viaggia in tutta l'Europa: Inghilterra, Irlanda, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda e Francia. Conosce bene Giuseppe "Mazzini. A Parigi è ospite di uno zio. Pio Sarti, che per le sue idee liberali e per aver sostenuto i moti bolognesi contro Gregorio XVI del 1831 è costretto all'esilio. E se nel '48, a soli trent'anni, Marco Minghetti è per un breve periodo ministro di Pio IX (ai Lavori Pubblici), non esita a rompere col papa dopo l'uccisione di Pellegrino Rossi perché a suo avviso il pontefice non vuol fare piena luce sul delitto. Tramontata l'illusione neoguelfa, eccolo passare dalla parte dei piemontesi. Al fianco di Cavour prima e tra i suoi successori poi, guarda con distacco ai miti del Risorgimento: sia quelli di sinistra, rivoluzione e repubblica, che quelli di destra, nazione, unità e indipendenza. «Alla mia generazione non spetta il compito della poesia, afferma, ma quello della prosa». £ la sua •prosa' è quella dette finanze in pareggio, della separazione tra Stato e Chiesa, della non ingerenza dei partiti nella giustizia e nell'amministrazione. A lui, ricorda Aldo Berselli autore de La destra storica dopo l'unità, cerca di avvicinarsi già alla fine degli Anni Sessanta la sinistra meridionale di Francesco De Sanctis stanca dette grandi proiezioni sull'avvenire e in cerca di «programmi positivi che rispondono allo stato di fatto in cui è il paese». Liberale ma non liberista si batte contro i seguaci di Francesco Ferrara. Le sue origini cattoliche lo fanno attento atta questione sociale. «Sulla mia tomba, ironizza, voglio che resti scritto "nacque per essere conservatore e fu condannato ad essere rivoluzionario"». Rosario Romeo, prefatore alla riedizione dei suoi testi, lo definisce molto impegnato •nel confronto col pensiero socialista». Ma senza concesioni: per lui è necessario far crescere le infrastrutture della società affidandosi non tanto allo Stato ma a libere associazioni e consorzi. «Nella legislazione sociale, ricorda Matteucci, prediligeva la via inglese che puntava sulle libere associazioni della società civile, a quella bismarckiana che tutto affidava allo Stato, perché quest'ultima scelta secondo lui avrebbe finito per ridurre-11 cittadino a mero suddito». Lo Stato doveva perciò intervenire nei processi redistributivi solo laddove le tanto auspicate «libere associazioni della società civile» non erano sufficienti. Combatte e perde nel VI contro Ricusali la prima bat¬ taglia per il decentramento e le autonomie locali. Anche se Raffaele Romanelli, autore de L'Italia liberale-,- tiene a ricordare che la sua cultura del decentramento è ben diversa da quella democratica che diverrà patrimonio della sinistra. Prima di diventare presidente del Consiglio è ministro dell'Interno, tre vol¬ te alle Finanze dove si alterna con Quintino Setta e una all'Agricoltura. E' capo del governo per due stagioni- dal 1863 al 1864 e negli ultimi anni della destra al potere, tra il 1873 e il 1876 quando lascia il posto al ministero presieduto da Agostino Depretis. Ma non è tanto sul suo •capolavoro', il pareggio delle finanze, che insisterà il convegno. Piuttosto sulla sua figura di pensatore liberale e sull'attualità detta stessa. «Si, riconosce Matteucci, oltre a rivalutare Minghetti come un precursore delle scienze sociali e per ciò che seppe dire ai suoi contemporanei a me preme sottolineare che 11 suo messaggio liberale ha una validità particolare per l'oggi. Par crescere la società civile; esortare il ceto politico a conoscere la realtà In cui opera adottando un metodo sperimentale, lontano da ogni estremismo Ideologico, in modo da esser pronti a rettificare la rotta; tenere correttamente separato lo Stato dalla Chiesa; combattere l'Invadenza dei partiti nell'amministrazione e nella giustizia: non c'è niente di più attuale». Quel che piace di Minghetti è il suo essere uomo che respinge la 'rivoluzione' senza mai cadere negli eccessi restaurativi ma, anzi, rinsaldando sempre più la fede liberale. Piace l'uomo aperto alla sinistra parlamentare per ciò che l'incontro può apportare alla stabilità del sistema politico (e con questo si spiega anche la sua accettazione del trasformismo). Place anche la sua disponibilità verso i valori sociali della sinistra sempre accompagnata però da una predilezione per le riforme realizzabili a breve e una non celata diffidenza per i grandi disegni e le grandi prospettive. Un modello per i moderati, un interlocutore ideale per l riformisti: è per questo che da ieri studiosi comunisti, socialisti, cattolici e liberali si trovano uniti a cantare le virtù de//', uomo col cappello In mano». Paolo Mieli a a e e o i a i p Marco Minghetti in una caricatura di Camillo Marietti (Torino, Museo del Risorgimento)