La «svolta» di Palermo di Roberto Martinelli

La «svolta» di Palermo I politici fra i protagonisti del processo La «svolta» di Palermo Cambia il ruolo dei pentiti - Si afferma l'esigenza di una «verifica» ROMA — L'esigenza di ricercare la verità sull'uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ha fatto segnare una svolta al processo di Palermo contro la grande mafia. Con una decisione a sorpresa la corte ha deciso di controllare tutte le circostanze che hanno fatto da scenario sociale e politico a un delitto tra i piU misteriosi e inquietanti fra i tanti che hanno scandito la guerra tra le «famiglie» di Cosa Nostra. Anche quelle circostanze che la pubblica accusa non aveva ritenuto indispensabili, come le testimonianze di Andreotti, Rognoni e Spadolini. In misura diversa, 1 due ex presidenti del Consiglio e l'attuale guardasigilli avevano avuto stretti rapporti con Dalla Chiesa. Tutti e tre gli uomini politici erano stati indicati come i simboli di quel potere centrale che non aveva fatto nulìa per fornire al generale mezzi e strumenti per far fronte al fenomeno mafioso. Una tesi antica emersa durante l'istruttoria e che gl'inquirenti avevano tratteggiato prendendo a prestito un'immagine di Leonardo Sciascia. Quella della monade isolata e abbandonata al suo destino e quindi divenuta bersaglio facile e simbolico per Inonorata società». Era un'ipotesi suggestiva, ma non suffragata da elementi concreti ed affidata solo ad una felice intuizione processuale fondata sulla testimonianza di Tommaso Buscetta, il pen< tlto dei due mondi, sulla cui parola l'inchiesta ha puntellato parte delle sue certezze. I tre ministri non potranno certo illuminare la corte sulla solitudine di Carlo Alberto Dalla Chiesa, né potranno fornire ai giudici elementi concreti sulla col pevolezza dei troppi mandanti di un delitto ancora avvolto nel mistero più fitto. Ma la decisione di ascoltarli, in contrapposizione alla pubblica accusa che aveva rinunciato ad essi, sta forse a dimostrare che è finita la stagione dei pentiti e che la parola di questi spurii e screditati collaboratori della giustizia non basta più per motivare una condanna. C'è chi ha ritenuto di scorgere in questa scelta un effetto diretto della sentenza Tortora. Può darsi che sia cosi. Ma prima ancora va ricordato un preciso avvertimento della corte suprema: un altolà in piena regola ai pentiti e al loro equivoco modo di diventare sconcertanti registi dell'azione penale. Un altolà al quale i giùdici della mafia di Palermo avevano reagito affermando che questo processo non si fonda sulle dichiarazioni di pentiti. E che le confessioni di Tommaso Buscetta sono servite soltanto da riscontro ad elementi di prova già acquisiti. La parola del pentito non già come fonte di prova, ma come sigillo di autenticità: una fattispecie nuova tutta ancora da verificare. Di fronte a quest'affermazione, la corte di Palermo ha deciso di controllare, tutto- quello che,'Buspett» ha raccontato; non solo la sua «verità», ma anche quella che gli è stata affi¬ » ¬ data da altri. In questa decisione del giùdici c'è forse un altro avvertimento: 11 pentito non è più il testimone della corona, ma una fonte spesso Inquinata di verità che per assurgere a rango di prova deve trovare riscontro nella realtà obiettiva. E' solo un caso che la volontà di cercare la verità su un delitto che si vuole mafioso, ma che potrebbe nascondere anche altre matrici, ha fatto fare al processo di Palermo un salto di qualità restituendolo a quella dimensione politica che forse gli è più congeniale. Si riapre con la testimonianza di Andreotti, Rognoni e Spadolini una pagina amara nella tragedia umana di Carlo Alberto Dalla Chiesa. La tragedia della solitudine e dell'impotenza, quella tragedia che la vittima di un atroce delitto aveva affidato ad un diario e ad alcune lettere scritti nell'imminenza della sua nomina, dopo il suo arrivo a Palermo e alla vigilia dell'attentato. E si riapre anche un altro capitolo: quello dei troppi interrogativi sulla dinamica dell'assassinio, sulla sua ricostruzione e sui personaggi misteriosi che si agitarono sulla scena del delitto attorno alla cassaforte del generale. L'esperiènza Insegna che la testimonianza di un uomo politico non offre mai grandi spazi di manovra ad un'indagine penale. A maggior ragione va dato atto alla corte di Palermo di avere preso un'iniziativa coraggiosa, destinata a lasciare 11 segno e a dimostrare come a volte la giù stizia sa usare sovranità ed autonomia per emettere una sentenza che'eiaudav• vero espressione di verità e di. giustizia, quale !a società l'attende. . Roberto Martinelli Il ministro Andreotti

Luoghi citati: Palermo, Roma