Liszt religioso, quasi una ballata

Liszt religioso, quasi una ballata «La leggenda della Santa Elisabetta» ha chiuso la Sagra Umbra Liszt religioso, quasi una ballata A Perugia ottima esecuzione di orchestra e cantanti della tv ungherese diretti da Gyòrgy Lene. PERUGIA — La Sagra Musicale Umbra si è conclusa con una nobile realizzazione di La Leggenda della Santa ,JL primo natio della morte, ma opera che, di là dall'occasione, si inserisce fra le innumeri partiture di ispirazione sacra riportate alla generale attenzione dalla manifestazione umbra L'esecuzione, affidata all'Orchestra e al Coro della Radiotelevisione Ungherese diretti da Gyórgy Lehel, è stata allestita nella grande e severa chiesa di S. Domenico, uno spazio simile per struttura e dimensione al nostro S. Filippo. Per migliorare l'acustica si è ricorso a un immenso velario bianco che attraversava tutto il braccio longitudinale della chiesa, dall'ingresso all'aitar maggiore: accorgimento che oltre a rendere accettabile la chiarezza sonora, ha fornito una suggestiva, misteriosa qualità scenografica del tutto in accordo con la natura del testo liszttano. Die Legende von der helligen Elisabeth fu composta (su parole tedesche di Otto Roquette) fra il 1857 e il 1864; ma la prima idea si era affacciata nel 1854, di fronte alla serie di affreschi di Moritz von Schivimi nel castello della Wartburg, non lontano da Weimar, dedicati a momenti della vita di Santa Elisabetta d'Ungheria. Liszt ha organizzato l'opera in due parti di tre quadri ciascuna: l'arrivo di Elisabetta bambina alia Wartburg, un la paftè^ii^di guest per la.crociata di Federico II, la vedovanza e la perdita dei beni, la morte, la solenne sepoltura: un ciclo muliebre dunque, come lo schumanniano Vita e amore di donna, ma trasferito nelle dimensioni sinfonico-corali dell'oratorio. Per Liszt fu l'occasione per riunire-in una sola partitura le sue pulsioni religiose (sempre in bilico fra storicismo e crisi personali), la malleabilità del poema sinfonico, l'incipiente passione neogotica, la celebrazione delle tradizioni magiare. Più che un orato- ! rio è una grande ballata, più che al Paulus o aH Elias di Mendelssohn si avvicina all'Olandese volante nella prima il ritmo interi èli genda. come indicato da Schumann in un episodio della sua Fantasia op. 17. Un tempo fluttuante in mille particolari, con il ricorso alla modalità antica (per rifare il medio evo, e invece suona tanto russa, alba della KhovansclnsJ, con miniature incastonate di cacce e tempeste, con scoperti squarci teatrali. La qualità di scrittura non viene mai meno; se si allenta l'attenzione è perché Liszt talvolta scrive per sé e dimentica l'ascoltatore per strada; ma sa poi come ghermirlo al momento opportuno e riportarlo dentro un'opera che si affianca degnamente alla Gemeva di Schumann e al Lck di Wagner nell'incurvi* musicalmente il ■tmdiovf\ evo ideale e cavalleresco. Gyórgy Lehel ha diretto il tutto con devota partecipazione; non è un direttore appariscente, ma ha lavorato nel profondo, ha fuso ogni particolare nell'affresco con grande perizia. I solisti. Veronica Kincses, Tamara Ta kacs, Sandor Solyom-Nagy, Jozsef Moldvay, Kolos Kovats e Ferenc Beganyi nella media di un solido mestiere. Di classe eccezionale invece il meraviglioso Coro istruito da Ferenc Sapszon, Giorgio PesteìU

Luoghi citati: Perugia, Santa Elisabetta, Ungheria, Weimar