Un laboratorio nato dall'incidente nucleare

Un laboratorio nato dall'incidente nucleare Un laboratorio nato dall'incidente nucleare IL disastro è successo, non si può tornare indietro. Almeno cerchiamo di impararne la lezione. Anche da Cernobil può venire qualcosa di buono. Questa, in sintesi, è la posizione espressa il 29 agosto dal direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica Hans Blix al termine di cinque giorni di dibattito a Vienna sull'incidente alla centrale nucleare sovietica. In effetti il reattore distrutto e l'area contaminata intorno ad esso stanno diventando una specie di laboratorio dove verificare fenomeni fisici ed effetti biologici delle radiazioni sulla popolazione, sugli animane «alle piante. Sarebbe stat#"Wteglio non1 ' averto: questo laboratorio nato dal dramma, ma poiché ormai è 11. conviene approfittarne. E' la posizione espressa a Vienna anche dall'ambientalista inglese Jhon Dunstcr mentre l'assemblea si scioglieva, riconvocandosi per il 24 settembre. La tecnologia nucleare è giovane: la «pila» di Fermi, che servi per produrre la prima reazione a catena, è del 1942. Molti aspetti di questa tecnologia sono noti più attraverso calcoli, simulazioni ed estrapolazioni che non attraverso esperimenti. Né. del resto, si può pensare di far saltare un reattore da mille megawatt elettrici come quello di Cernobil per vedere che cosa succede. Ecco perché Cernobil è una fonte di dati inediti, che serviranno a migliorare la sicurezza nucleare. Un primo aspetto che potrà essere approfondito è l'interazione tra il cemento e 11 combustibile nucleare allo stato fuso, quando, dopo il melt-down, si trova a una temperatura di circa 2750 gradi centigradi. Finora il comportamento del calcestruzzo a contatto con materiale fuso del nocciolo di un reattore era noto soltanto per analogia e in base a esperienze su piccola scala. Maurizio Cumo, professore ordinario di impianti nucleari all'Università di Roma, nel suo volume sui reattori atomici edito dalla Utet, parla di esperienze fatte con un getto di plasma e con una colata di 200 chilogrammi di acciaio inossidabile. Si è cosi potuto vedere che entrambi i tipi di calcestruzzo, quello calcareo e quello basaltico, incominciano a subire una erosione con temperature superficiali da 1350 a 177Q gradi assoluti (Kelvin), con una velocità di penetrazione che varia da 6 centimetri all'ora per flussi di 60 watt al centimetro quadrato a 70 cm/h per flussi di 300 watt. Si ha poi la fusione del calcestruzzo con un forte sviluppo di gas (ossido di carbonio, idrogeno, anidride carbonica e vapore acqueo), gas che bruciano nell'aria con grande luminosità. A Cernobil c'è stata una forte interazione tra cemento e «corium», come i tecnici chiamano •! miscuglio di ossido di uranio, zirconio e altri materiali del «core» fuso: per la prima volta si potrà quindi studiare il fenomeno su grande scala e in condizioni reali. E d'ora in poi nelle centrali nucleari si userà sempre lo stesso tipo di cemento, In modo da poterne prevedere le reazioni. Un'altra esperienza nuova, difficile ma Istruttiva, è quella del seppellimento del reattore distrutto. Prima di Cernobil si aveva soltanto una conoscenza diretta limitata di messa a riposo di reattori ormai fuori esercizio. Il procedimento normale, in questi casi, prevede che, tolte le barre di combustibile, il vessel (cioè il contenitore metallico del nocciolo) e il primo contenitore in cemento del vessel stesso scarichino per qualche decina di anni la radioattività indotta. Durante questo periodo la centrale in disarmo è tenuta setto sorveglianza. E' il processo che gli americani chiamano -moth-balling», più o meno «mettere sotto naftalina» il reattore. Poi, raggiunti 1 li¬ triche sono private e di piccole dimensioni, e quindi anche soggette a mutamenti di attività. Infine c'è la possibilità di smontare il reattore facendo uso di macchine automatiche, in pratica di robot, per accedere senza rischi alla parte che mantiene una forte radioattività. «In questo campo — dice Luigi Gonella, professore al Politecnico di Torino, esperto di impianti nucleari — l'Italia ha un'esperienza di tutto rispetto, in quanto anni fa si dovette riparare lo scudo termico del reattore di Trino e lo si fece in completa sicurezza utilizzando fresatrici telecomandate di brevetto italiano». Naturalmente queste procedure normali per la disattivazione di centrali nucleari non possono essere applicate a Cernobil. dove il rilascio di materiale radioattivo è stato enorme: circa 50 milioni di Curie, pari al 3.5 per cento di tutto il materiale radioattivo contenuto nel reattore al momento dell'incidente (finora il massimo rilascio ammesso, citia¬ miti di sicurezza, si toglieranno le scorie residue e si potrà riutilizzare il sito per un nuovo reattore. Un'altra tecnica è quella deir«en£ombemenf». cioè della chiusura ermetica del reattore in disuso in modo da trasformarlo in un blocco compatto di calcestruzzo, del tutto inaccessibile. E' un sistema meno razionale, perché sarebbe più logico riutilizzare l'area della centrale con un nuovo impianto nucleare, ma viene adottato talvolta negli Stati Uniti, dove le società elet¬

Persone citate: Curie, Hans Blix, Jhon Dunstcr, Luigi Gonella, Maurizio Cumo

Luoghi citati: Cernobil, Italia, Stati Uniti, Torino, Trino, Vienna