Ma i giornali riflettono bene il patrimonio della ricerca? di Giovanni Bechelloni

Chiuso a Roma un seminario promosso dalla Fondazione Olivetti Chiuso a Roma un seminario promosso dalla Fondazione Olivetti Ma § giornali riflettono bene il patrimonio della ricerca? Fra i partecipanti Lemini - Il problema di Negli ultimi tempi la circolazione dei giornali quotidiani è cominciata a salire, dopo che era rimasta ferma per molti decenni. Chi frequenta scuole, università e treni nota una presenza sempre maggiore di giovani e di donne che leggono il quotidiano. D'altra parte i giornali si vanno rinnovando nelle loro formule e oggi somigliano poco a quello che erano trenta o quarant'anni fa. Sono aumentate le pagine economiche e quelle degli spettacoli e anche le notizie e i commenti sui fatti della cultura, della ricerca e della scienza filtrano sui quotidiani, ben ai di là dello spazio tradizionale della terza pagina o della pagina speciale. Nell'insieme si può dire che, sia pure in modo ancora parziale e incerto, si è messo in moto un meccanismo che ha portato la stampa d'attualità fuori dal circuito ristretto degli addetti ai lavori (i famosi «1500 lettori» degli Anni Cinquanta) avvicinando un pubblico più vasto di cittadini, di giovani e di donne, desiderosi di essere informati sui fatti del giorno e sulle tendenze di fondo della società in cui vivono. Con questo non voglio dire che è tutto oro quello che luce e che della stampa italiana non si può che dire bene. Tutt'altro! Anzi, proprio il fatto che la stampa quotidiana stia svolgendo sempre più quella insostituibile funzione di raccontare e di commentare le vicende sociali, politiche e culturali del nostro tempo deve stimolare tutti — giornalisti, lettori e studiosi — ad essere critici per migliorare il prodotto giornale e renderlo veramente alla portata di tutti i cittadini. Per esempio vi è un settore dell'informazione — quello che riguarda le vicende della ricerca scientifica nei suoi vari campi di attività — che lascia molto a desiderare Si tratta, infatti, di un settore per il quale è più difficile ai giornali disporre in redazione delle , competenze necessarie per seguire evoluzioni e scoperte che sono spesso problematiche e di non facile divulgazione. Al difficile e tormentato rapporto tra centri di ricerca e stampa di attualità ha dedicato un interessante seminario di Ludio la Fondazione Adriano Olivetti con il suggestivo titolo: «Due velocità, tanti temi». (Roma 24 settembre). Il seminario partiva dalla constatazione che la stampa di attualità non riesce a utilizzare bene il patrimonio assai ricco di studi, ricerche e pubblicazioni, che alimentano anche in Italia un sapere sempre più ricco e sfaccettato del mondo contemporaneo e che contribuiscono a renderlo più intelligibile. Fa parte, infatti, dell'esperienza comune degli studiosi e dei ricercatori constatare che molto spesso le loro ricerche e i loro studi Vengono ignorati dalla stampa o peggio ancora deformati fino a renderli irriconoscibili. Anche quando si organizzano convegni, per render noti i risultati delle ricerche a un pubblico più vasto, capita spesso che il giornalista, per inseguire il mito dell'attualità, enfatizzi un personaggio o un particolare producendo cosi confusione nel lettore. Nel seminario della Fondazione Olivetti si è discusso soprattutto di studi e ricerche di pri, Brunetti, Faustini, un miglior utilizzo dell tipo economico-sociale prodotti da centri di ricerca extra-universitari costituiti da studiosi che perseguono esplicitamente fini conoscitivi e fini etico-politici con l'obiettivo di essere relativamente autonomi sia dalle pressioni accademiche, sia da quelle politiche o commerciali. Si tratta di quel tipo di centri che fiorirono per la prima volta in Italia nel corso degli Anni Sessanta — all'epoca dei grandi dibattiti ispirati da riviste come «n Mulino» e «Tempi moderni», «Nord e Sud» e «Comunità», «Quest'Italia» e «Basilicata» per citare le più rappresentative — con lo scopo di colmare la distanza tra società civile e società politica, tra elaborazione scientifico-culturale e pubblica opinione. Paradossalmente capita che siano proprio i prodotti di questo tipo — e cioè quelli più liberi da condizionamenti e quelli meglio attrezzati per raggiungere la pubblica opinione — che vengano più fa¬ De Mauro, Leon, Pennacchi, Rey, Salvee aumentate fonti d'informazione e studio cilmente ignorati o deformati dalla stampa d'attualità. Perché accade questo fenomeno? Questa la domanda che è stata posta al seminario della Fondazione Olivetti da parte di giornalisti come Lepri (direttore dell'Ansa). Brunetti (direttore di «Prima»), Faustini (dell'Ordine dei giornalisti) o di studiosi come Tullio De Mauro, Paolo Leon, Laura Pennacchi (direttore del Cespe), Guido Rey (direttore dell'Istat), Maria Teresa Salvemini (presidente dell'Ispe) e altri ancora. C'è indubbiamente una carenza e una responsabilità dei giornali e dei giornalisti che raramente sono attrezzati — come insieme della macchina redazionale e come singolo giornalista — a sapere utilizzare le banche dati e i documenti ufficiali, gli studi e le ricerche che non di rado contengono risposte a quelli che sui giornali talora appaiono come «inquietanti interrogativi» o falsi problemi. C'è anche, tuttavia, una re¬ sponsabilità degli studiosi e dei centri di ricerca che non sempre si attrezzano per sensibilizzare giornali e giornalisti ai significati meglio comunicabili del loro lavoro. Come ha detto Tullio De Mauro si resta un poco tutti prigionieri di slogan come quelli relativi all'eccesso dell'informazione o all'aumento della complessità e non ci si rende conto della straordinaria opportunità che oggi ci si offre di poter disporre di fonti, dati e analisi, assai più sofisticati di quelli di un tempo per ragionare intorno a problemi che non sono né più numerosi, né più complessi di quelli di ieri. Solo che per poter utilizzare le maggiori conoscenze di cui disponiamo è necessario che tutti noi — giornalisti e studiosi, lettori e cittadini — ci attrezziamo meglio, mentalmente e culturalmente, a raccogliere e a leggere le informazioni di cui. per nostra fortuna, possiamo disporre. Giovanni Bechelloni

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