Carovane di schiavi del 2000

Carovane di schiavi del 2QOO Carovane di schiavi del 2QOO Un fenomeno quasi dimenticato torna a farsi imponente e drammatico - Per milioni di profughi «Exodus» dagli agenti della violenza Mappa disperati Afghanistan: «Genocidio él un popolo che resiste» Etiopia: «L'esodo che è costato €entìnaia di migliaia di morti» Vietnam: «Continua la tragedia dei boat people Il fenomeno dei profughi si c esteso straordinariamente nell'ultimo decennio. Milioni e milioni di persone abbandonano le loro terre per andare incontro a un destino irto di pericoli: dalla morte (per fame, sete, pirati, soldataglie, mitragliamenti da elicotteri e aerei, fucilate di guardie di frontiera) alla perdita della propria identità (sociale, culturale, etnica) provocata, prima da un'esistenza assistita nei campi di raccolta dove, accanto al soccorso delle organizzazioni di aiuto internazionale, dominano sovraffollamento, malattie; poi, dalla definitiva sistemazione, spesso amara, in terra d'esilio. Questi nuovi sradicati, dannati della terra, fuggono le conseguenze di radicali e violente trasformazioni politiche, culturali, economiche del tutto indipendenti dalla loro volontà o partecipazione; e di guerre o guerriglie. Danno vita a migrazioni imponenti in cui l'elemento della scelta politica è del tutto assente o secondario; sono le necessità elementari della vita a costringere milioni di uomini ad abbandonare la propria terra: fuggono davanti alla violenza, a imposizioni intollerabili che colpiscono religione, famiglia, modi di lavoro; spessissimo, anche la fame. Impossibile dare cifre certe: quelle dell'Alto commissariato dell'Orni si riferiscono ai profughi registrati ufficialmente: tra gli Ilei 12 milioni. Importante è il numero di coloro che non passano attraversò i campi di raccolta sparsi lungo le frontiere dei «Paesi di crisi». Esiste una geografia dell'esilio che ha centri di irradiazione e cause ben individuabili. Il presidente del Comitato europeo' 'o*i "soccorso ai profughi (Cear), Michel Rousseau, ci ha detto: «All'origine della gran parte delle fughe in massa, così aumentale nell'ultimo decennio, ci sono, innanzitutto, l'attivismo imperiale dell'Unione Sovietica, la sua opera di sovversione nel Terzo Mondo, la presa di potere di comunisti o gruppi radicali che impongono politiche dissen nate di collettivizzazione e sovietizzazione delle campagne, fame, violenza ideologica». Da solo, il numero dei profughi dei Paesi «avviati verso il socialismo» (Afghanistan, Etiopia, Vietnam) basta a confermare il deciso giudizio di Rousseau. Altri motivi (alcuni dei quali complementari alle politiche di eversione e destabilizzazione: guerriglie in America centrale in Africa australe, crisi libanese) concorrono all'aumento del numero dei profughi: e non sono sempre eredità del colonialismo europeo (conflitti e persecuzioni etniche e tribali in Asia, Africa e America cen trale). Infine, non va dimenticata la tragedia della desertificazione e della fame (migrazioni nella fascia del Sahel). Oggi, le possibilità di acco glicre i profughi si assottigliano. Intanto, i Paesi che essi raggiungono direttamente sono o poveri o poverissimi (Sudan, Somalia, Pakistan Thailandia, Malaysia): non possono sopportare il peso dei nuovi arrivati, sia dal punto di vista economico, sia da quello politico (timore di destabilizzazioni; xenofobia). Il peso degli aiuti ai profu ghi è principalmente sostenuto dai Paesi occidentali i quali tuttavia, danno risposte sempre più egoistiche alle disperate richieste di accoglimento che arrivano ai campi di raccolta. Il fatto è che la crescita del numero dei profughi negli ultimi anni coincide con un periodo di crisi dell'occupazione in Occidente che rende ol tre che difficile anche poco po polare la concessione dell'asilo, dell'assistenza socio-educativa e del lavoro ai profughi Questo, purtroppo, avviene anche quei paesi come Usa Francia e Gran Bretagna che sempre hanno risposto positi vamente, nel passato, a chiprofugo, chiedeva loro asilo. Le porte, di fronte ai profu ghi che aumentano, si stanno chiudendo, irreparabilmente sembra che non sia più tempo d'asilo, mentre gli agenti della violenza non-danno segno di voler rinunciare ai loro piani. Fiero Sinatti PARIGI — Réne Dumont. lo studioso francese noto internazionalmente per i suol studi sul sottosviluppo e sull'agricoltura del Terzo Mondo, ha definito in questo modo lapidario la guerra condotta dal sovietici in Afghanistan: -E'un genocidio, l'assassinio di un popolo che resiste» (Défis afghans. Parigi. 1986). Il bilancio di più di sei anni di guerra (e di otto di potere rivoluzionario», esercitato dalle due fazioni del Partito democratico del popolo afghano, la kalq, radicale, e la parcham, «moderata», in perenne e cruenta lotta tra loro) è pesante per un Paese di appena 17 milioni di abitanti (nel '79): i profughi sono indicati in cifre che vanno dai 3.5 milioni (secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite ai profughi. HCR) ai 5 milioni (secondo il Bureau international pour l'Afghanistan — BIA — con sede a Parigi, e secondo Homayoun Tandar, portavoce in Europa del partito Jamiat-e Islami, uno dei più importanti dei sei che hanno dato vita all'Alleanza islamica, primo raggruppamento unitario dei mou;'aftiddin). Di questi, circa due terzi si trovano in Pakistan (vi si rifugiano prevalentemente sunniti) e un terzo in Iran (prevalentemente sciiti). In Pakistan, gran parte dei profughi è concentrata nei campi di raccolta della regione di confine di Peshawar (circa 350) e nella città dello stesso nome; in Iran, invece, i profughi vengono integrati immediatamente nella produzione agricola e nelle costruzioni, con attese minime nei campi di raccolta (secondo quanto dichiarano i funzionari iraniani dell'HCR). Un'esigua minoranza, che conosce la lingua inglese e appartiene ai ceti più colti, raggiunge l'Europa o gli Usa. Quello afghano è di gran lunga il più grande contingente di profughi degli Anni 80: il /atto che circa un quarto -iella popolazione abbia scelto la via dell'esodo da la misura dell'esattezza delle dure parole di Dumont. L'esodo (che interessa soprattutto la maggioranza pashtun delle regioni di frontiera dell'Est. Sud-Est e Sud. ma anche i gruppi etnici tadzhiki, uzbeki e turkmeni delle province settentrionali) comporta rischi e fatiche enormi: spesso si marcia per due mesi, in carovane che raccolgono gli abitanti di uno 0 più villaggi; non sono rari i casi in cui queste vengono ':• (..bardalo o mitragliate da elicoiteri e aerei sovietici. Le cause di tale esodo sono da ricercarsi, soprattutto, nella distruzione perpetrata prima con la «riforma agraria», imposta per decreto e con la forza dal governo «rivoluzionario» di Kabul nel '78. poi con la guerra condotta dall'Armata Rossa dalla fine del '79 a oggi. Ricorrenti sono gli episodi di terrore sistematico programmato: vuotare i villaggi per togliere sostegni materiali, logistici e basi di reclutamento alla guerriglia, ecco il compito fondamentale dell'esercito governativo e dei reparti speciali dell'Armata Rossa. Le Mi Lay, in Afghanistan, non si contano; ma non ci sono né fotografi né cineoperatori a filmarle. In materia di guerre segrete i sovietici non hanno rivali. I villaggi vengono abbandonati: c'è anche una migrazione interna verso i centri urbani: per esempio, dal '78 ad oggi la popolazione di Kabul è passata da 750 mila abitanti a quasi due milioni. I campi e 1 terrazzamenti, lasciati incolti, degradano, assieme al terreno; la rete dell'economia agricola è spezzata; il numero dei capi di bestiame, abbandonato o mal nutrito é ancor, meno curato, cala, vistosamente. La :pàx'sò'Viética. se e quando verrà, avrà fatto di gran parte di questo Paese un «deserto». PARIGI — Nella capitale francese ha la sua direzione e base organizzativa una singolare associazione umanitaria che all'impegno nell'assistenza medica a popoli e individui profughi, perseguitati, colpiti dalle violenze di guerre, guerriglie, tirannie, razzismi, catastrofi naturali e carestie aggravate da malgoverno e sottosviluppo, unisce quello della difesa dei diritti umani: si chiama «Médecins sans frontières» e il suo presidente è Rony Brauman. 36 anni, di grande comunicativa e di piglio manageriale. Dirige una struttura composta da 40 persone a tempo pieno e circa 300 volontari tra medici, infermieri e tecnici, che operano in Asia, Africa, America Latina e in una trentina di Paesi (dall'Afghanistan alla Tliailandia. dalla Colombia al Sudan e alla Somalia). MSF. oltre a curare i malati /malattie parassitarie, da malnutrizione) e feriti anche con lavoro «clandestino- (tra i guerriglieri afgitani ed eritrei, per esempio), denuncia le cause dei mali, mentre altre organizzazioni internazionali preferiscono un ambiguo silenzio. Per questo MSF è stata espulsa, nell'85. dall'Etiopia di Menpistu. Brauman, che incontriamo nella sede di MSF in boulevard Saint-Marcel, è tra i massimi conoscitori dei problemi dell'Etiopia (diritti umani, carestia, profughi). E' al corrente della politica di «grandi aiuti» del nostro governo al regime etiopico e della polemica scoppiata, alla fine d'agosto, tra il sottosegretario Forte e alcune organizzazioni e giornali cattolici a proposito dell'ultimo assegno staccato a Roma a favore del regime di Mengistu. •Gli aiuti occidentali all'Etiopia, specie quelli dell'Italia, sono una follia, un vero-accecamento — midice Brauman — e ancora peggiore è 41'fatto che qualcuno, tra gli occidentali, presti fede alle promesse di Mengistu di sospendere o modificare la sua politica di collettivizzazione agraria, che è all'origine dell'imponente esodo di profughi tra l'84 e l'85: un esodo che ha provocato centinaia di migliaia di morti». Brauman prende un documento in inglese: è il testo di un discorso in cui Mengistu si rivolge ai quadri del partitq unico, il Web (marxista-leninista), dicendo che fa «collettivizzazione delle campagne è un contributo dell'Etiopia alla rivoluzione mondiale». Brauman aggiunge: «Mengistu agisce con doppiezza: da una parte tranquillizza gli occidentali per avere i loro aiuti, in denaro e cereali, facendo promesse che hanno lo stesso valore di un'eventuale promessa di Pinochet di democratizzare domani il Cile: dall'altra, invece, continua la sua politica agraria». Brauman ci porge, infine, le pagine di un lungo saggio di Franqois Jean, specialista di problemi etiopici, che apparirà a giorni sul numero di ottobre di Géopolitique Africaine. Jean denuncia, con ricchezza di dati e rigore scientifico, la politica di resettlement (trasferimento degli agricoltori e allevatori dal Nord etiopico verso il Sud) e di villagization. vale a dire «la distruzione di villaggi tradizionali dispersi e il raggruppamento dei loro abitanti in frazioni poco distanti». Questa politica, teorizzata e finora parzialmente realizzata da Mengistu, interesserà, da ora fino al '94, l'intera popolazione rurale (33 milioni di persone). «Non si può dimenticare'la persecuzione religiosa. Le chiese e le moschee sono distrutte o trasformate in stalle o porcili o magazzini — conclude Brauman —. Mi stupisce che il governo italiano, in cui i cattolici sono la maggioranza, ignori questi fatti e continui ad aiutare Mengistu, la cui politica è ia causa, lo ripeto, degli esodi massicci e letali di intere popolazioni». PARIGI — La signora Phuong Anh. vicedirettrice della rivista di informazione e cultura Què Me. la più importante pubblicazione della diaspora vietnamita che si stampi in Occidente, ci riceve in un modesto ma lindo villino di Gennevvilliers. banlieu parigina abitata da emigrati maghrebini. neri e asiatici: intorno caseggiati popolari (Hlm) o case basse e palazzine di poche pretese. Qui è la sede del «Comitato Vietnam-diritti dell'uomo» e della redazione della rivista: un telefono che squilla in continuazione, archivi, schedari, libri, riviste, tutto nel massimo ordine, alle pareti quadretti con scene di vita di scuola e agreste. La signora Phuong (un francese fluente: un bel volto luminoso dagli occhi neri e intensi) ci parla del suo Paese, dei diritti umani e dei profughi del Vietnam: lieta di essere intervistata da un giornalista italiano: non solo perché si dice «innamorata» del nostro parere, ma anche perché sa (anche lei!) che in Italia l'informazione sul Vietnam è ora abbastanza scarsa, rispetto alla disinformazione di un tempo. Perché tanti profughi dal suo Paese — circa un milione — dal '75? Perché il boatpeople sfida ancora oggi il Mar della Cina? «Si tratta di un fenomeno del tutto eccezionale della nostra storia. Alla fine della Seconda guerra mondiale ci fu. da noi. una terribile carestia: la gente mangiava radici, erba, ratti. 1 morti si contavano a milioni. Eppure nessuno, allora, pensava a fuggir via-. Però, nel 1954, dopo la presa di potere comunista nel Nord... . 2SL_flHpro. ct_/H lo.prima grande migrazione. Più di .due m{lionidi nor.digqtnamiVr' fuggirono là" "riforma agraria", le persecuzioni religiose e ripararono al Sud. Fu la prima grande frattura della nostra storia. Da noi, lasciare la propria terra, abbandonare le tombe degli avi senza che nessuno resti significa infrangere qualche cosa di sacro, di profondo. «Nelle campagne, quando nasce un figlio, si prende il cordone ombelicale, lo si avvolge in una pelle e lo si sotterra non in un punto qualsiasi, ma sotto la grondaia della casa, perché vi cada l'acqua piovana. Così, l'uomo die è nato è legato, simbolicamente, alla terra e all'acqua: e dell'acqua e della terra dovrà beneficiare, lungo tutta la sua vita. Perciò, abbandonare il Paese vuol dire rompere un legame profondo con il passato e con il futuro. Ci si sradica». E dopo l'aprile '75, la frattura è stata ancora più grande? «All'inizio, nel 75, non fu subito cosi. La gente aspettava quello che sarebbe successo. Si restò. In molti dicevano che si trattava pur sempre di gente come noi. del nostro popolo, che ci saremmo potuti intendere». E dopo? «<4 poco a poco, si cominciò a capire. Progressivamente, mutava qualcosa di profondo, ogni giorno, nella nostra vita. Si sentiva l'oppressione dell'ideologia. L'aria si faceva pesante, irrespirabile fino a soffocare. La libertà di esprimersi, persino di vivere, si restringeva sempre più. E allora si decise che non si poteva più restare». Come si manifesta questo •soffocamento»? «Innanzitutto nella famiglia: sappia che la cellula familiare da noi è fondamentale. L'asse o la gerarchia padre-figli-nonno è la colonna vertebrale della nostra esistenza. Improvvisamente, arriva il Partito e pretende di sostituirsi a questo asse. L'autorità non è più quella del padre o della madre: è quella del Partito, die deve vedere, sapere e dirigere tutto. Mettiamo che una madre o un padre esprimano, in casa, un'opinione negativa sulle autorità, ebbene, il figlio ha il dovere-diritto di denunciarli. O al maestro o al poliziotto di quartiere. La delazione entra nella famiglia...». Metodi che si rifanno a un puro stalinismo. «Precisamente. Il partito vuole spezzare il legame familiare. Cardine di tutte le nostre tradizioni. I genitori hanno paura di parlare liberamente di fronte ai figli. Va peggio con l'educazione scolastica. Sa come s'insegna l'aritmetica? Con i calcoli degli aerei americani abbattuti o dei soldati americani e sudisti uccisi. «Si incita all'odio. Si creano tensioni nella famiglia, fuori, tra i ricini, nel quartiere. Nei posti di lavoro. E poi, domina la paura. Un nostro poeta ha scritto: "Quando il vento spazza la notte / Solleva nei cuori il terrore / Semina la paura...". Si ha paura, di notte, che la, polizia .venga, pi casa, arrèsti'porti nei'Campi. «E poi c'è l'arroganza dei can-bó, i quadri comunisti: sono incompetenti e corrotti. Pretendono di comandare a esperti agricoltori: hanno sostituito i nostri imprenditori e la nostra intellighencija. per la maggioranza fuggiti o aeportati nei "campi di rieducazione", il nostro gulag in cui sono rinchiusi, secondo calcoli difficilmente smentibili, e die un anno fa abbiamo presentato con un dossier di cinque pagine all'Onu, ben cinquecentomila prigionieri politici. E poi la miseria, l'arretratezza, la fame... La vita, in questo modo, non è più sopportabile e allora si fugge». Di nuovo il boat people? «Non è mai cessata questa tragedia solo che. dopo il 7879, non se ne parla quasi più. La nostra gente parte, pur sapendo di rischiare il naufragio, d'incontrare i pescatoripirati thailandesi, che ogni mattina lasciano con 7-10 mila barche il delta e depredano qualsiasi battello di profughi incontrato: uccidono gli uomini, violentano le donne o le vendono, dopo averle rapite, ai bordelli di Bangkok. Provo vergogna a pensare a queste nostre donne, persino alle nostre bambi- Air TjTC- -1 .~.-V~-\ ne, die vengono vendute ai bordelli thailandesi. Pensi, allora, a come deve essere la vita nel Vietnam, se la gente, che conosce tutti i rischi che corre, decide di fuggire ancora per mare, si condanna allo strazio di veder passare decine e decine di navi mercantili che non si fermano, che non raccolgono la gente in mare disperata. «E'pur vero che oggi Hanoi concede visti di espatrio, ma solo "nel quadro della riunione delle famiglie". Questo vuol dire dm chi all'estero non lia nessuno, deve fuggire con le barche o traversare la Cambogia (che noi occupiamo: altra cosa di cui ci vergogniamo con grande dolore)». Quali sono le terre d'asilo? «Soprattutto Usa. Francia, Canada, Australia Come vive un vietnamita lontano dalla sua terra? «La nostra nostalgia è indefinibile. La provo, ogni giorno, anch'io che pure sono madre di quattro bambini die hanno sempre vissuto qui. L'aria che si respira, l'orizzonte davanti a noi... Qui tutto è grigio, freddo. I rapporti nella famiglia sono più diffi¬ i Y£ cili. Non si parla con i vicini di casa. E allora noi tendiamo a raggrupparci, a stare insieme. Comunque, vogliamo sempre conservare la nostra dignità. Lei non vedrà mai un vietnamita malvestito e sporco, neppure quello più disperatamente povero. «Facciamo tutti i lavori, anche i più penosi. Le potrei far conoscere un ex professore universitario di letteratura die fa il cameriere in una trattoria qui vicino. A scuola i nostri figli studiano duro e spesso riescono i migliori. Per noi è un punto d'onore». Finita la conversazione, la signora Phuong Anh ci da una copia di Què Me e un gran numero di documenti in francese, con testimonianze di boat people. di reduci del gulag. Cose già note, per chi. magari nei libri o dall'esterno, ha conosciuto il mondo sovietico. Ma non per questo meno impressionante e penoso: specie per chi. nel passato, si è fatto incantare dal falso candore di «zior. Ho Chi Minh e dalle bugie di tanti grandi reporter e ideologi, variamente assortiti, del «mondo nuovo».