Il dolore piange a Istanbul di Paolo Patrono

L'Italia rivive la strage del 9 ottobre *82 alla Sinagoga di Roma e s'interroga attonita L'Italia rivive la strage del 9 ottobre *82 alla Sinagoga di Roma e s'interroga attonita Il dolore piange a Istanbul E noi cerchiamo di capire, seduti davanti alia tv Leggiamo .sui giornali e prima ancora guardiamo in Tv la cronaca convulsa di questa strage annunziala, e puntualmente accaduta, del sequestro del Boeing Usa 747. Guardiamo con orrore e rabbia, ma senza più stupirci. Stiamo forsc promuovendo a cronaca ordinaria se non quotidiana anche questa violenza che ha ormai l'aspetto di un arcipelago o di una metastasi. Il terrorismo, clic sembrava in \ia d'estirpazione parziale e graduale, riesplode di colpo e le cronache e le immagini della strage all'interno del Itocing e della sinagoga di Istanbul, anche se sembra il contrario, rischiano di logorarsi sempre più come tante altre da un'ora all'altra. Cioè ci assuefacciamo anche se non lo vogliamo a questi riti che destabilizzano prima la nostra coscienza e la nostra rculli\ilà che i sistemi che ne sono i bersagli. E inevitabilmente siamo già esperti in una lunga scuola di massacri in video perché si tratta di cose troppe altre volte già viste anche se non in diretta. Non ci sono varianti. Iiilt'al più ci sono pause più o meno lunghe e illusorie. Ci dicono i fautori del nucleare die bisogna "convivere con la bombai, quanto meno «con le centrali». Di, fatto da anni conviviamo già col terrorismo. Ma il nostro terrore non è più quello dell'uomo delle caverne che temeva il peggio da segni e da rumori àncora incerti. Oggi nella:'concentrazione ' urbana,-' nei canali della tecnologia che ci portano sul posto dove l'evento avviene, prevediamo il peggio anche dei diversi e identici terrorismi da segni sempre più certi, quasi ad orologeria. Il Boeing Usa di Karachi non è molto distante. in questa traiettoria, dalla sinagoga di Istanbul. Ed è sempre più difficile misurare con sufficiente sicurezza da una parte i rischi dei sequestrati — tra i quali cerchiamo con affanno, in graduatoria comprensibile ma pur sempre manichea e a suo modo crudele, i connazionali, i turisti amici eventualmente in viaggio laggiù, magari i famigliari — e dall'altra la ferocia vendicativa e dimostrativa, per contro, di eerte rappresaglie: finora solo le «teste di cuoio» israeliane sono riuscite in queste operazioni. Reagan e Gheddafi non sono ancora stati capaci allo stesso modo di confrontarsi in questo senso. E forse, ormai Gheddafi. il simbolo demonizzato di tutti i terrorismi, ora smentisce, ora se ne vanta ma solo in anticipo, è già probabilmente superalo nella realtà o nelle finzioni e nelle minacce da un arcipelago di gruppi e commandos sempre più difficili da individuare e prevenire. E sempre daccapo ci si siede al televisore e. fra indignazione e pietà, si cerca di capire. E capire è sempre più difficile, e l'evidenza fa paura quanto il mistero che copre per un breve o lungo tempo l'identità dei vecchi e nuovi terroristi. Spesso sembra che essi giochino addirittura — ma è tutta scena e « teatro» allucinante — a rubarsi le rivendicazioni dei massacri. Chi, che cosa partorisce quasi ogni giorno ormai questo mostro tentacolare, la vera piòvra mondiale'.' Subito c'è il consueto, macabro balletto delle attribuzioni e delle legittimazioni. Il generale Walters è venuto in puntuale pellegrinaggio d'ammonizione in Europa e fino a ieri l'altro in Italia ad annunciare il pericolo della strage, puntualmente avvenuta. Come in una spy story perfetta Dalla matassa insanguinata che solo in parte si dipana sui teleschermi (e meno male che non tutto ci viene imbandito in presa diretta) come in un film ideologico si deduce 9: la squallida statura anche dei grandi diretti o indiretti responsabili che sono al sicuro dietro a questa continua spirale di violenza e di sangue, lo accuso la Cia. tu demonizzi Gheddafi: le carte sono rimescolate e distinte a seconda dell'ottica ideologica: giorni fa Gheddafi e «risuscitato», ha minaccialo gli Stati Uniti e i suoi alleati europei. Italia per prima, confermando senta saperlo o volerlo, l'allarmismo degli Stali Uniti. Guardo la cronaca di queste nuove stragi, e mi rendo conto che Gheddafi. anche se non lo è. fa di tutto per passare da quel pazzo che secondo Reagan c sempre stato. Senio e vedo l'impazienza, direi il prurito irrefrenabile d'Israele, di Ci stiamo assuefacendo anche se non lo vogliamo a queste stragi che stanno destabilizzando la nostra coscienza prima ancora dei sistemi che ne sono i bersagli? essere scelto, senza restrizioni e senza museruole, come angelo vendicatore anche di questi ultimi affronti. Rivedo il volto triste di Arafat che dichiara giorni fa di essere finalmente pronto a intavolare un dialogo con Israele per riconoscerlo ufficialmente. Ma come sperarci'.' Appena un segno di buona volontà se non proprio di pace si manifesta all'orizzonte, com'è accaduto anche in Marocco settimane fa. l'esplosione di nuove stragi riconduce tutto all'epoca delle caverne e alla legge del sangue e del taglione. Guardo e la cronaca delle stragi è come se venisse coperta su una lavagna sempre più oscura da un'enorme spugna insanguinata che cancella d'un colpo dal¬ la cronaca e dalla vita, e anche dalla nostra coscienza, le parole e la luce della speranza. Vien voglia di tornare a zero, cioè d'illudersi che il negoziato, il dialogo fra arabi ed ebrei, l'impegno di disarmo e di pace fra Usa ed Urss tornino a poter essere — per necessità se non per realismo e buonsenso — le uniche, vere possibilità, le sole prospettive concrete per la fine di due forme ormai identiche e parallele di vergogna: quella del terrorismo vero e proprio, che stermina e paga spesso in contanti, e quella del terrorismo delegato, cioè l'azione e l'erosione a destabilizzazione graduale dei sistemi, delle democrazie, della speranza dei popoli. Nazareno Fabbretti Tullia Zevi, presidente dell'Unione delle comunità israelitiche italiane: «Quando si intravede uno spiraglio di luce seminano nuovo buio. Tutti siamo bersaglio...» quanto i possibili obiettivi ebraici. Nella misura in cui si cerca veramente di perseguire i colpevoli, o di pronunciarsi su questi fatti, partono le minacce. Chiunque pensa sia suo dovere pronunciare parole di condanna, cosi facendo può diventare automaticamente una vitMma designata.- L'idea, dischiudere le bQcqhe,,$,.tfirrprifc< zare la gente-. La scelta dell'obiettivo — la sinagoga di Istanbul — induce ad altre considerazioni ancora. La Comunità israelitica della città si sentiva sicura, senza problemi. «Forse perclié erano circondati da un mondo islamico, si sentivano tutelati-. E in effetti nella lista delle aggressioni terroristiche, se Anversa e Parigi tornano con insistenza, insieme a Vienna e Roma, Istanbul era stata finora risparmiata. «E' molto difficile prevedere uapmcagrgdftubsssvpsclagin Krol Dilex rabbino della sina Istanbul. Il bilancio della strage nella sinagoga: 22 ebrei morti. 3 feriti (uno di questi, nella foto). 4 sfuggiti al massacro. Anche due Turni di sorveglianza 24 ore su 24 al ministero della Difesa a Palazzo Chigi e Farnesina. Cresce soprattutto il timore di azioni terroristiche perché uomini di Abu Nidal sarebbero nascosti in Europa della portaerei «Forrestal» e dell'incrociatore scorta «Sellers» che avevano lasciato improvvisamente il porto del comando Nato venerdì pomeriggio. Secondo indiscrezioni di fonte americana, gli aerei imbarcati sulla .Forrestal» avrebbero dovuto intercettare il «Jumbo» che i dirottatori volevano originariamente portare a Cipro. La sparatoria all'aeroporto di Karachi ha messo fine altrimenti a questa sanguinosa azione terroristica. Il rientro a Napoli della «Forrestal» si aggiunge poi a un'altra notizia proveniente dalla Spagna: il rientro nel porto di Benidorm di una seconda portaerei, la «Kennedy» che nei giorni scorsi si trovava in fase di avvicinamento alle unità partite precipitosamente dal comando meridionale della Nato. Questi due fattori paiono quindi indicare un progressivo «raffreddamento» della tensione nella zona. Ma. stando ad una notizia proveniente da Londra, l'inquietudine è destinata a spostarsi per il momento dal piano militare a quello dell'antiterrorismo. Secondo quanto riportava ieri il Sunday Times, agenti occidentali hanno segnalato che membri del gruppo terroristico di Abu Nidal avrebbero lasciato le basi in Medio Oriente per disperdersi in Europa. La stessa fonte ha specificato che un gruppo era partito da Beirut diretto a Roma. La notizia non ha trovato conferma da parte ufficiale a Roma. Ma è comunque tale da giustificare tutte le misure di sicurezza attuate da venerdì scorso, dopo un incontro a Palazzo Chigi fra Craxi e il capo del Sismi, ammiraglio Martini. Da 72 ore. quindi, sul piano militare è scat¬ terroristi hanno perso la vita tato lo stato di allerta e le previste misure di autodifesa nelle basi aeronavali della zona sud d'Italia, accompagnate da provvedimenti cautelativi anche nelle basi terrestri della Brigata Motorizzata «Aosta», con i suoi presidi a Pantelleria. Pianosa . e •Lampedusa, e della «Folgore» ancora nell'isoletta presa a bersaglio in aprile dai missili di Gheddafi. Ma a queste misure si sono abbinate azioni specifiche antiterroristiche, con accresciuta sorveglianza negli aeroporti, nei nodi ferroviari, nei porti, attorno alle ambasciate e negli altri punti nevralgici. Lo stato di allerta non sembra quindi destinato ad allentarsi finché la prospettiva di un gruppo di terroristi in giro per l'Europa non sarà annullata. E i nostri servizi segreti hanno attivato tutti i «canali» non solo con europei ed americani ma anche con egiziani, turchi e israeliani. Anche i diplomatici invitano infatti a «mantenere la vigilanza-, come ha fatto il ministro Andreotti a Hertford commentando i risultati della riunione dei suoi colleghi della Cee. Secondo la nostra diplomazia, infatti, è arrivato il momento «di cercare veramente di andare fino in fondo alla verità-, «finendola una volta per tutte con i pretesti e i pregiudizi, senza guardare in faccia a nessuno-, alla ricerca di «prove e responsabilità certe-. E' un invito trasparente agli Stati Uniti perché, questa volta, non cerchino un fàcile bersaglio nella Libia. Ma è anche un impegno per tutti i «dodici» della Cee a perseguire fermamente e fino in fondo la ricerca della matrice del terrorismo, senza riguardi e senza pavidità. Paolo Patrono