Con «Il prete bello» arrivò la notorietà Fu il primo best-seller del dopoguerra

Con «Il prete bello» arrivò la notorietà Fu il primo best-seller del dopoguèrra Con «Il prete bello» arrivò la notorietà Fu il primo best-seller del dopoguèrra Goffredo Parise ha scrìfu in Biafra, Vietnam,ROMA — Quando qualcuno lo definiva «uno dei nostri maggiori scrittori» (come i professori dell'Università di Padova nella motivazione della laurea «honoris causa» in lettere che gli assegnarono nel febbraio del 1986), Goffredo Parise diceva di vergognarsi, molto. Parlava con ironia triste del suo lavoro «anacronistico e persino risibile.: atteggiamento di sempre, più insistito da quando si era dovuto inventare una vita diversa, nel 1981, dopo l'intervento cardiaco durante, il quale gli furono applicati tre «by-pass, alle coronarie, seguito poco dopo do una insufficienza renale irreversibile, che aveva fatto di lui un disperato dalla vita ridotta, mutilata, con la schiavitù continua della dialisi. A veva allora 53 anni. La sua esistenza, mobile e vitalista, era fatta di grandi viaggi (in Cina, in Giappone, nel Vietnam), condita di voraci e torbide curiosità del mondo, da sensualità e lunghe solitudini, estri e profonda felicità fisica negli sport. Era uno splendido sciatore, specialista della discesa e del fondo. Nella narrativa esordi nel 1951, ad appena 22 anni, col romanzo «Il ragazzo morto e adre ottantenne, I crìtto tredici libri, l'ultimo, «, Cina, Medioriente - Scrise o n o i a l e , , ù a , n a o a l l e le comete.. Un libro che sapeva di prodigio e che piacque molto ad Eugenio Montale. Sulla scia di quello splendido giudizio del poeta genovese, la critica accolse il romanzo con entusiasmo, male vendite si limitarono a poche centinaia di copie. Ma il vero successo di critica e anche la notorietà dovevano arrivare due anni dopo, quando già lavorava da Garzanti come correttore di bozze e si era trasferito da Vicenza a Milano, con «Il prete bello», primo autentico «bestseller» del dopoguerra. Un resoconto critico, non privo di ironia deformante, di alcuni aspetti della vita provinciale, quasi una continuazione delle sue precedenti esperienze pittoriche (aveva anche esposto a Vicenza e vinto un premio quando aveva 14 anni). Chiamato a definire i suoi primi due romanzi, li definiva «cubisti-romantici», tesi com'erano a scomporre la narrazione tradizionale nel descrivere soprattutto sensazioni. Dopo di allora il suo interesse si spostò verso una analisi di varie forme di alienazione, ed uscirono altri undici libri, ultimo dei quali, nell'82, «Sillabario n. 2». da, e degli amici Sillabario n. 2», è uscito nese anche per il cinema ma Un romanzo die lui stesso definiva un libro di lettura sui sentimenti degli uomini. Un libro malinconico e bizzarro, con qualche lampo sinistro, che condensa la felicità o l'infelicità di una improvvisa profonda percezione del mondo, nel sentimento di esistere. Fu quello il debutto di Parise nella «Medusa» di Mondadori dopo la lunga esperienza presso Einaudi e, prima, con Garzanti e Feltrinelli. Tradizionalmente destinata ai «Grandi narratori di ogni paese», la collana verde della -Medusa* accoglieva per la prima volta un autore italiano con trentadue brani quasi tutti editi durante i dieci anni precedenti e accompagnati da uno scritto di Natalia Ginzburg. «M'ero proposto di arrivare alla zeta — disse una volta Parise —, avevo programmato il mio alfabeto, ma la poesia (perchéè sono in realtà poesia in prosa) va e viene quando vuole lei: alla "esse" m'ha detto ciao e 11 sono rimasto. Nel primo volume (Sillabario n. 1) c'era più felicità, note di gaiezza; questo è più malinconico e qualche volta sinistro». Erano passati circa dieci anni tra il primo e il secondo -sillabario*, e l'autore era convinto d'aver scritto il suo più bel libro. Dopo «Il ragazzo morto e le comete» del '51, «Il prete bello» del '54, scrisse «Il fidanzamento, nel '56, «Atti impuri. nel '59, «Il padrone, nel '65. Poi, «Cara Cina» nel '66, «Assoluto naturale» nel '67, «Il crematorio di Vienna, nel '69, • Sillabario n. 1» nel 72, «Guerre politiche» nel 76, «L eleganza è frigida, nell'82 e nello stesso anno «Sillabario n. 2.. Contemporaneamente, lo scrittore vicentino era stato corrispondente per il -Corriere della sera*, dal Biafra e dal Vietnam (una volta dalla parte degli americani, un'altra dalla parte dei vietnamiti), dal Medioriente, dalla Cina e dal Giappone, e aveva scritto anche per il cinema con soggetti e sceneggiature. Non fu mai uno scrittore neorealista. Il neorealismo lo ripugnava, con tutto quel copiare i dialoghi di Hemingway a destra e a manca, come diceva. Secondo lui, la letteratura doveva essere qualche altra cosa, e leggeva tutto e non gli piaceva nulla di quello che usciva in quegli anni. I suoi absmconiccumramplbcduvcnqlze el 1982 - Come inviato odiava il neorealismo autori preferiti erano Rimbaud, Freud e Kafka. Era sempre stato attratto dal lato misteriosofico, tenebroso, di certa letteratura ebraicoorientale. Nel panorama generale si sentiva un anomalo impegnato in una solitaria ricerca. Da alcuni mesi aveva un cane. Si chiatna Pelote ed è un fox-terrier, sarà probabilmente adottalo dallo scrittore Cino Boccazzi, die è stato accanto a Parise fino al momento della morte. Tre sere prima del ricovero in ospedale, insieme, avevano cenato bevendo abbondantemente, cosa che Parise non avrebbe dovuto fare, quasi a dare un ultimo commiato agli amici. «Sapeva tragicamente di dover morire — ha riferito Boccazzi — ma come un condannato a morte non sapeva quando gli avrebbero aperto la cella». fino alla fine è rimasto timido, senza molte conoscenze, come chi viene da fuori e non è del giro. Ultimamente era diventato sempre più pallido e si portava con tristezza la sua malattia. Anche la sua opera è tutta percorsa dal sentimento della morte, della quale pure aveva grande paura. Il suo ideale è sempre stato quello di inventare una letteratura moderna e nuova con emozioni die gli venivano andie da altri linguaggi, musica compresa, tenendosi lontano da quello che era la duplicità dell'atteggiamento morale di quasi tutta la letteratura italiana, di tipo, diceva, cattolico-pretesco. La morale cattolica non gli appariva internazionale, ma soltanto italiana, anzi papalina, romana. Non era la morale dei buddhisti, dei musulmani. Ed era anche convinto che si fosse già compiuta una rivoluzione priva di ideologie, esclusivamente pragmatica e materialista, dopo il trionfo di Manzoni die tutto ita condizionato con la sua cattolicità pedagogica dalla quale nessuno, a suo giudizio, riesce più a liberarsi, nemmeno il più innovatore, il più stravagante, il più pazzoide dei letterati italiani. L'unico anti-manzoniano, a suo giudizio, è Moravia, del quale rammentava il «coraggioso saggio, sui «Promessi sposi.: «Romanzo di propaganda cattolica, da affiancare all'arte di propaganda del realismo socialista».