Quell'abate rivoluzionario

Telefilm da amore e odio Telefilm da amore e odio Quell'abate rivoluzionario I telefilm si chiamano Miami Vice, ma non ricordo perché sono detti specificatamente cosi, tranne che per il fatto ovvio che hanno radici in quella parte assolata ma esclusiva degli Stati Uniti che sta di fronte a Cuba, molto più plebea. I primi tempi nessuno li nominava per non prendersi la briga di pronunciare correttamente Maiemivais, ma essi vengono programmati di domenica sera e viene il momento in cui bisogna pur dire, il lunedi mattina, cos'è che ci ha trattenuto in casa la sera prima. La Rai-tv ha capito subito questo nostro imbarazzo mondano e ogni domenica Maiemivais l'ha ripetuto in tono quasi oxfordiano, in quel ('Prossimamente su questo video» che quotidianamente dedica, anche ad altri programmi, pochi istanti prima della messa in onda del telegiornale della sera. Come succedeva un tempo nei cinema rionali che dovevano guardarsi dalla concorrenza di quelli parrocchiali. Tanto per darsi un tono, la Rai-tv attraverso il suo bollettino a oceanica tiratura ha fatto sapere che lo sceneggiato di Maiemivais era lo stesso della serie poliziesca Starsky and Hutch (programmata prima di cena e quindi c'era un bel salto di qualità) e che ogni puntata della serie di questa biblica lotta tra commercianti di droga e poliziotti abbronzatissimi (al punto che la tintarella «i vede anche se sono negri) costava la bellezza di un milione di dollari anche per via della colonna sonora originale rock. Fanno un miliardo e mezzo più cospicui rotti in lire italiane, si sono detti all'epoca quegl1 illustri critici che non si perdono una riga del bollettino (che vanta informazioni di seconda mano anche dalla mitica rivista Rollini; Stone), qui vale la pena di darci un'occhiata. E ci sono rimasto male. Forse pensavano che, per, quella somma, i trafficanti magistrati dovevano essere veri e morire davvero quando gli arrivavano le pallottole nello stomaco; e che a dirigere un traffico composto da Rolling Stones, Prince and the Revolution e Siguc Sigue Sputnik, ci fossero gli agenti Sting e Madonna. Miami Vice invece, appartiene senz'altro a quella serie di telefilm che bisogna guardarle più di una volta e solo dopo decidi. O li aborri proprio, oppure non li molli più. Perché hanno sicuramente qualcosa di diverso, qualcosa in più. Non ha importanza se il poliziotto bianco e Don Johnson che e diventato uno dei sex-symbol d'America e che il suo compare Philip Michael Thomas, col suo bronzeo chic in giacca e cravatta, sia l'ideale di nero da invitare a cena da geni tori terrorizzati del bianco Vasco Rossi. Nomi e carisma, non hanno il solito peso. In una delle ultime puntate, tra le migliori e firmata da certo Chuck Adamson (nulla a che fare quindi con i fantasmi dello sceneggiatore di Starsky e Hutch), non erano appunto loro i protagonisti. E neppure il loro <'Ferrari» nero, da collezione. In Miami Vice conta infatti il ritmo. Nelle battute, nel modo di essere, nelle situazioni anche se fuggevoli, nelle luci, i colori, e nella musica. Quincy Jones, compositore ma soprattutto arrangiatore eccelso, ha fatto la fortuna di molti thrilling cinematografici e mi sembra di ricordare anche di Sidney Poitier quando si cimentò nell'ispettore Tibbs. Rompeva con la ti adizione che voleva suspence e thrilling sottolineati in modo altisonante, fino al fatidico: «Ecco qua l'assassino!» maestosamente strimpellato a mo' di Beethoven. Adesso siamo più avanti. In proposito dovrebbe pronunciarsi un musicologo, e certo ne trarrebbe origine un seminario. E' che il rock, in Miami Vice, è parte stessa della storia, entra nell'interpretazione, aggiunge (non sottolinea) sensazioni. Fa vibrare tutto. Certo la ricetta di questo successo che sembra fatto di ingredienti normali, è complicata, ma non £ un mistero. Laggiù negli Usa c'è qualcuno che sa spendere bene un miliardo e mezzo più cospicui rotti di lire italiane. Raiuno 13— Maratona d'estate: Rassegna internazionale di danza: I protagonisti: Agno3 De Mille 13.45 II procesto, di Orson Weiles. con Orson Welles, Anthony Perkins, Jeanne Moreau; Francia drammatico 1962 — Dal romanzo di Kafka: Joseph, impiegato di banca, viene improvvisamente arrestato e processato. Sembra che una mostruosa macchina -di giustizia- si sia messa in moto contro di lui: tutti lo accusano e pure l'avvocato peggiora la sua posizione 15.45 Muppet Show, per i ragazzi 16,10 Pac Man, antologia di cartoni animati 16.55 Sette spose per sette fratelli, telefilm 17.45 L'Isola del tesoro, cartoni animati 18.10 Poesia della sera, documenti 16.20 Trent'annl della nostra storia, documenti 19,40 Almanacco del giorno dopo 20,30 L'uomo che venne dal Nord, di Peter Yates, con Peter O'Toole, Sian Phillips. Usa avventuroso 1970 — Un sommergibile teCesco stermina l'equipaggio di una corazzala inglese al largo della costa sudamericana. Si salva solo un ostinato caporale che, con l'aiuto di alcuni indigeni, cerca da solo di costruire un siluro per distruggere il sommergibile. Perde la vita nell'impresa ma si vendica 22.25 Appuntamento al cinema, i film che vedremo sul grande schermo 22.30 Speciale Tg1 23.35 Ciclismo: camplonat1 mondiali da Colorado Springs Vicino a Wagner, lascia già intuire il Mahler dell'Ottava sinfonia - Ha diretto Emil Tchakarov TORINO — I grandi festival dì quest'anno approfittano giustamente del centenario lisztiano per proporre molte pagine del compositore ungherese escluse dalla normale programmazione; cosi, oltre alla sua vastissima produzione per pianoforte — che pure ha, ovviamente, una presenza di rilievo — ne traggono vantaggio soprattutto le pagine sinfoniche e sinfonico-corali. Bene ha fatto dunque Settembre Musica ad inserire nella sua programmazione, affidandone l'incarico ai complessi torinesi della Rai, al maestro Emil Tchakarov ed a quattro validi solisti, la Afissa solemnis che Liszt compose nel 1855 per la consacrazione della basilica di Gran, il suo primo lavoro di grande impegno nell'ambito sacro. Il momento religioso, nonostante tutte le contraddizioni, ha un grande peso nella vita di Liszt. che proprio negli anni della composizione dellfi A/essa di Gran stava maturando la decisione di prendere gli ordini minori (poi attuata nel 1865): già nel soggiorno parigino degli Anni Trenta, quando una romantica confusione tra ideologie umanitarie e rivoluzionarie gli faceva sentire la Marsigliese come ideale di canto religioso. La Messa di Gran rappresenta in fondo l'attuazione posticipata di quegli ideali, pronta ad attenuare in qualche modo la carica di febbrile e vitalistico entusiasmo (almeno a parole) pur di ottenere un'accettazione ufficiale dal mondo cattolico (riconoscimento negato per quei caratteri di «avanguardia» che fecero esprimere giudizi molto pesanti sull'opera anche a musicisti non certo reazionari come Berlioz). Il continuo integrarsi delle parti solistiche con il dominante discorso corale, e di questo con l'orchestra, è il segno di una novità di linguaggio che rappresenta un momento molto interessante del sinfonismo del tardo Ottocento, un momento di transizione che se si lega certamente a Wagner, forse lascia già in¬ travedere il Mahler trionfalistico e visionario della Seconda e dell'Optava Sinfonia. La Afessa di Gran, riflettendo ancora quell'approccio con la religione carico di un entusiasmo dalla disarmante spontaneità, risulta dunque tesa da una continua e febbrile esaltazione che — l'altra sera — il giovane e preparatissimo direttore Emil Tchakarov ha saputo continuamente sostenere lungo l'esecuzione, continuando nel rapporto di felice collaborazione con l'Orchestra della Rai (in serata di grazia) che. il pubblico torinese lo ricorderà, si era già potuto ap- prezzare nel corso della passata stagione sinfonica. Nell'ottima riuscita di questa esecuzione la partecipazione corale ha certo avuto un gran peso: si è potuta constatare, con piacere, la continua crescita che il Coro di Torino va compiendo sotto l'esperta guida di Mino Bordignon. Qualitativamente omogeneo ed intelligente l'apporto dei quattro solisti, ma per una certa maggior evidenza insita nella scrittura lisztiaria e per l'intensità della partecipazione citeremo il soprano Tiziana Tramonti ed il tenore Aldo Bertolo prima del mezzosoprano Benedetta Pecchioli e del basso Simone Alaimo. Con qualche accorgimento tecnico (forse la pedana un po' rialzata) la chiesa di S. Filippo si è dimostrata anche acusticamente all'altezza del compito, accogliendo un pubblico interessato alla originalità della pagina, degno della bella esecuzione e pronto a decretare il lietissimo successo della serata. II concerto era atteso domani

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