L'oro nero resta il jolly per lo sviluppo del 2000

L'oro nero resta il jolly per lo sviluppo del 2000 L'oro nero resta il jolly per lo sviluppo del 2000 • La Nigeria Ila i piedi nell'Opec e gli occhi rivolti verso il Mare del Nord-: è una battuta dell'ex ministro del petrolio Tarn David-West, sostituito in un rimpasto di governo all'inizio dell'anno, che sintetizza con efficacia la posizione di un Paese che all'oro nero ha affidato tutte le sue speranze di decollo come potenza economica. Il greggio, il tipo «Bonny light» estratto soprattutto dai giacimenti del Sud-Est. è tra i migliori del mondo come qualità, con un basso contenuto di zolfo. E' molto simile a quello estratto dalle piattaforme inglesi e norvegesi nel Mare del Nord. E' un vantaggio, ma può trasformarsi in un problema soprattutto in periodi di calo dei consumi, proprio a causa dell'alto prezzo a cui è venduto. Cosi il gennaio di quest'anno è stato un altro mese nero per l'economia nigeriana: il prezzo del greggio del Mare del Nord è sceso sotto i 18 dollari il barile e ha trascinato nella caduta anche la produzione del Paese africano. Molti hanno fatto il parallelo con quanto era accaduto nel marzo dell'82 quando la produzione toccò il minimo storico di 630 mila barili al giorno, di cui un terzo era destinato al consumo interno, costringendo il governo a un censimento delle riserve di cassa delle banche per poter fronteggiare la situazione e al blocco di alcuni generi di importazione di largo consumo come le automobili, il riso e i pezzi di ricambio per l'industria. Un'economia che dal petro¬ lio ricava 11 94 per cento delle sue entrate è estremamente vulnerabile alle oscillazioni dei prezzi. Anche perché la Nigeria, impegnata in massicci programmi di sviluppo decisi negli anni del boom e intensamente popolata, al contrario dei Paesi petroliferi del Medio Oriente, non ha la possibilità di puntare sul tempo e attendere con pazienza che 1 prezzi riprendano a salire. Per molti anni l'Opec ha finto di ignorare che Lagos barava sulle quote di estrazione, vendendo più petrolio e praticando sconti sui prezzi, violando quanto previsto dai limiti fissati dal cartello dei produttori per dare razionalità al mercato. Il generale Babangida che dall'85 guida la giunta militare, ha dovuto affrontare una situazione disastrosa: il debito estero di quella che orgogliosamente si definiva «l'America dell'Africa» è di 17 miliardi di dollari di cui sette a breve termine, meno di un anno. I creditori sono le grandi banche mondiali che hanno prestato denaro ad alti tassi di interesse per finanziare i progetti di sviluppo e i Paesi ricchi che li hanno garantiti fidando che il miracolo petrolifero non dovesse mai finire. Il solo -Dipartimento per le garanzie di credito alle esportazioni» inglese è esposto per 400 milioni di sterline. E' una voragine che rischia di precipitare il Paese in una crisi irreversibile. Nonostante l'accordo raggiunto tra i Paesi Opec a Ginevra in luglio punti a stabilizzare il prezzo sui 16 dollari 11 barile, gli esperti continauno a vendere nero per Lagos. Ed Robinson, manager della Texaco per la Nigeria, afferma che. con il prezzo del petrolio del Mare del Nord sotto i 15 dollari, quello nigeriano potrebbe scivolare ancora più indietro. Ma i margini per il generale Babangida sono stretti: il bilancio '86 prevede che si trovino compratori per 1.3 milioni di barili al giorno, (una quota che molti giudicano poco realistica), che potrebbe consentire, una volta pagate le importazioni, di avviare il rimborso del maxi debito internazionale. Il governo è corso ai ripari con un programma di severa austerità e l'avvio di un difficile dialogo con i creditori per rinegoziare le rate del debito. Babangida ha però respinto il piano deflazionistico del Fondo Monetario Internazionale, minacciando che il suo Paese potrebbe limitare al trenta per cento del ricavato delle sue esportazioni la quota destinata a rimborsare i debiti. La Nigeria punta a mettere il deficit estero «sotto controllo» rispetto alle possibilità massime di bilancio e con una serie di misure (la svalutazione della naira e la sospensione di una serie di agevolazioni tariffarie) per convincere 11 Fondo Monetario della volontà di voltare pagina rispetto al passato. Le banche internazionali stimano in 4 miliardi di sterline le rate di capitali e interessi che Lagos dovrebbe pagare attualmente, una cifra che supera le previsioni sulle possibilità del governo. Ma dal fronte della finanza internazionale sono arrivati segnali incoraggianti: le grandi banche inglesi e americane hanno infatti assicurato che sono disposte a rinegoziare i loro crediti a medio termine anche in mancanza di un accordo tra il Fondo Monetario e la Nigeria che di solito costituisce la precondizione per questo tipo di operazioni. -Una scelta obbligata- ha commentato Dick Arsenault, rappresentante dell'America Express Bank, dal momento che i creditori non hanno altra possibilità di recuperare 11 loro denaro. Ma la rinuncia dei banchieri all'ombrello dell'accordo con 11 Fmi è anche una prova di una nuova fiducia nei confronti dei dirigenti nigeriani che hanno varato una drastica cura per l'economia del Paese, disastrata da anni di scelte sbagliate, sprechi e corruzione. Gli errori politici hanno dissipato infatti le rendite di una ricchezza che pone la Nigeria al sesto posto tra i produttori mondiali di petrolio. Le rendite dell'oro nero hanno in pratica monopolizzato l'attenzione dei governi portando a trascurare l'agricoltura che ormai rappresenta solo un quinto del prodotto interno lordo. Per la Nigeria è una difficile lotta contro il tempo: nel Duemila quando l'estrazione del petrolio comincerà a diminuire la popolazione si calcola avrà raggiunto il tetto dei 155 milioni e il trenta per cento vivrà negli insediamenti urbani. Per quella data è indispensabile aver vinto la corsa allo sviluppo. Si piazza un oleodotto

Persone citate: Babangida, Bonny, Dick Arsenault, Robinson