Le Corbusier «uomo visivo» e poeta di Francesco Vincitorio

Le Corbusier «uomo visivo» e poeta A VENEZIA PITTURE E SCULTURE DEL GRANDE ARCHITETTO Le Corbusier «uomo visivo» e poeta VENEZIA — Al Museo Correr, fino al 6 novembre, un'esposizione di pitture e sculture di Le Corbusier. Presentata dalla Olivetti, in collaborazione con l'assessorato alla Cultura, rappresenta la prima manifestazione celebrativa per il centenario del grande architetto, nato nel 1887 a La Chaux-de-Fonds, nella Svizzera francese. Le ragioni per cui si è preferita la pittura e la scultura, anziché una mostra «totale» sono spiegate da Renzo Zorzi nel catalogo, edito dalla stessa Olivetti e dalla Mondadori. In particolare l'attività pittorica e scultorea di Le Corbusier è molto meno conosciuta. E tuttora è considerata, da parecchi, una sorta di .vìolon d'Ingres: Forse per la ritrosia di La Corbusier a mostrarla. Malgrado che, nei suoi scritti, ne parli frequentemente come di un corso parallelo e un necessario aspetto — quasi la matrice — della sua creatività. Senza entrare in tali discussioni, mi pare che questa esposizione veneziana, magistralmente allestita da Achille Castiglione serva egregiamente a rimuovere pregiudizi. E per la sua completezza (che sarebbe stata anche maggiore se, insieme con i prestiti della Fondazione Le Corbusier di Parigi, fosse stato possibile averne dalla altrettanto fondamentale raccolta Heidi Weber di Zurigo), per la completezza, dicevo, essa consente di comprendere meglio la natura del suo impegno e il suo rigore anche nelle arti visive e l'unità profonda che lega tutta la sua multiforme attività. Soprattutto è utile per capire appieno le parole che scrisse quasi al termine del suo cammino: 'Sono un uomo visivo, un uomo che lavora con gli occhi e con le mani... la mia ricerca, come i miei sentimenti, è diretta verso ciò che è il valore supremo della vita: la poesia: Sono concetti che trovano continui riscontri nella mostra. Fin dal primo disegno che accoglie 11 visitatore, datar to 1918, studio per un dipinto intitolato n caminetto. Dove, in nuce, c'è già quell'equilibrio, appunto, tra rigore e sensibilità poetica, che sarà il segno caratteristico di tutto il suo operare. Equilibrio che si rafforza nelle successive serie di dipinti del periodo «purista», nati insieme con la rivista L'Esprit Nouveau, che egli fondò nel 1920 con Ozenfant e diresse per un quinquennio. Cinque anni di accanito lavoro e accese battaglie, durante 1 quali abbandonò il suo vero nome, C. E. Jeanneret, per lo pseudonimo Le Corbusier. E per non creare confusioni e fugare eventuali so¬ spetti di dilettantismo da parte dei committenti delle sue architetture, decise che la pittura sarebbe diventata solo il suo laboratorio segreto. Un'attività che egli continuò, infatti, a svolgere segretamente ma regolarmente: ogni giorno, la mattina riservata alla pittura; il pomeriggio all'architettura; la domenica e durante le feste, soltanto la pittura. Con straordinaria perseveranza, con la proverbiale ostinazione a far bene qualsiasi cosa. Era un esercizio creativo che sentiva come necessità biologica. Che alimentava il suo spirito e gli consentiva di maturare e verificare ciò che aveva dentro. Un affilare le armi per affrontare i difficili problemi architettonici, posti da quella che egli definiva •l'era dell'armonia: La quale, secondo lui, — ecco l'utopia corbuslerana — rappresentava la •seconda rivoluzione macchinista... dopo un primo secolo di tumulti, di caos, di sventure: Con acutezza, Giandomenico Romanelli, nel catalogo, diversamente da chi vede nella sua pittura «purista» una semplice filiazione del cubismo, ne sottolinea le consonanze con certi «ritorni all'ordine», a mezza via tra metafisica e Casorati. Forme che certamente derivano dalla grammatica creata da Picasso e Braque ma che, per la loro chiarezza e 11 più marcato equilibrio, rivelano una tendenza verso il classico. Dapprima con una prevalenza della geometria — cioè, della ragione, del mentale — poi sempre meno rigido, più spontaneo. Un lento processo che disegni e dipinti svelano già dal 1927. Come egli stesso disse: la ricerca di «un classico che scoppia di vita». Una trasformazione che deriva da un progressivo venir meno, per motivi storici e personali, della fiducia illimitata nel dominio della ragione. E al tempo stesso, probabilmente per l'esempio di Picasso, il sorgere di una spinta liberatoria che ne rompe la scorza calvinista. Si pensi all'eros che pro¬ rompe nei suoi quadri con l'apparizione improvvisa, nei primi Anni 30, delle figure femminili. Una forza prepotente, oscura, di cui prende pian piano coscienza, che gli fa scompaginare le forme e, via via, lo porta ad una pittura quasi informale. Con grossi segni neri che, con l'approssimarsi del secondo conflitto mondiale, si caricheranno spesso di tragicità. Valgano, come riprova, i primi studi per quelle sculture che poi, sotto la sua guida, realizzerà Joseph Savina. Nacquero quando, per la guerra, si era rifugiato a Ozon, nei Pirenei. Come dice bene Susanna Biadene, che se ne occupa nel catalogo, essi sono «Za rivelazione di un inconscio che emerge, liberando un'istintività svincolata da ogni costrizione teorica: Siamo a una svolta cruciale del suo percorso. Sta vivendo esperienze nuove, più spiritualmente intense e complesse, la cosiddetta «stagione furente: Nell'immediato dopoguerra avremo, infatti, la cappella di Ronchamp e il convento de La Tourette, sui quali tanto si è scritto. I prodromi erano però già evidenti nella pittura. Un laboratorio, ripeto, segreto, che lo accompagnerà fino agli ultimi giorni. Sempre intimamente legato alla sua operosità di archi¬ tetto. Come dimostrano i ricorrenti studi sulla mano (che diventerà il simbolo della «mono aperta» di Chandigarth), i cartoni per le grandi tappezzerie che egli vedeva come «te pitture murali dei tempi moderni». Una creatività prodigiosa, che nella vecchiaia diventò ancora più libera. Quasi che egli volesse realizzare in sé — viste le delusioni incontrate, per cecità dei committenti, con l'architettura — quel sogno di libertà che, insieme ai forti, intensi interessi umani e sociali, fu sempre in cima ai suoi pensieri. Ve ne è traccia pure negli schizzi giovanili su Venezia, posti come introduzione di questa mostra. Nel margine, quasi illeggibile, l'annotazione: •Je prends Venise parve qu'elle offre le monumentai et le pittoresque. Elle répond aux désirs complets d'une population libre: Libertà e poesia dunque i due poli a cui ha guardato per tutta la vita. Due idealità a cui è rimasto sempre fedele. Da artista vero, completo. Che, giustamente, qualcuno ha definito «1 'ultimo grande umanista-. Non per niente, forse parafrasando un po' ironicamente Leonardo «omo sanza lettere-, nella carta d'identità, come professione egli indicava: •homme de lettres*. Francesco Vincitorio Le Corbusier: «Fé min e» (scultura in legno del 1953)

Luoghi citati: Parigi, Svizzera, Venezia, Zurigo