Einaudi cronista di scioperi di Luigi Roux
Einaudi cronista di scioperi ANTEPRIMA / UNA BIOGRAFIA DEL PRESIDENTE, CHE OGGI COSSIGA CELEBRA A DOGLIANI Einaudi cronista di scioperi Nei reportage per «La Stampa» sulle lotte operaie di fine Ottocento le radici della sua polemica anticorporativa NEL 1897 a Einaudi veniva lasciata [da La Slampa diretta da Luigi Roux] la tessera di «redattore e collaboratore». Si trovava a lavorare con pochissimi altri colleghi, spesso imparentati con lo stesso Roux. Dalle 21 alle 2 del mattino «faceva la guardia», cioè compiva da solo il lavoro «di cucina» di redazione. Si trattava infatti — ricordava molti decenni dopo — di "articolare (cioè mettere i punti e le virgole, aggiungere parole ecc.) i telegrammi..., aggiustare le corrispondenze in arrivo, compaginare, d'accordo col foto, le ultime notizie». E ancora, "misurar collo spago i pezzi tipografici per vedere quanta roba entrava e quanta doveva essere scorciata o scartata. Bel lavoro, interessante, che nessuno al mondo mai ha insegnalo ed in segnerà mai. mestiere che, alla pari di ogni altro lavoro di intuizione, si impara facendolo». Il primo articolo firmato uscì il 7 agosto 1896: trattava della Finanza locale in Italia ed era una recensione al volume omonimo di Pietro Lacava, edito per l'appunto da Roux. Col tempo, gli articoli assunsero un tono più personale, mostrando precisi filoni di interessi, coincidenti in sostanza con quelli scientifici dell'autore (...). Il 15 settembre 1897 Luigi Roux gli scriveva: "... Nel Biellese ferve un grave sciopero. Vorrei farne fare uno studio coscienzioso sotto il punto di vista economico-politico-sociale. Ho bisogno per ciò di persona capace, intelligente, volonterosa. Avrei scelto voi. Se potete ab bandonare subito Dogliani e re carvi nel Biellese per la opportuna inchiesta sul campo della lotta, partite appena ricevuta questa mia, e venite [a Torino] che c'intenderemo». Il giorno dopo Roux gli preparava una lettera di presentazione per gli industriali, così concepita: «Egregi signori, l'avv. Luigi Eynaudi [sic] distinto «evnomista e nostro collabo'ratore è da noi incaricato di un esame'c di una inchiesta focale sulle industrie e sugli scioperi nel Biellese. La prego vivamente di accoglierlo con benevolenza e di fornirgli, occorrendo, quelle informazioni che possano giovargli». L'industriale biellese che lo aiutò di più nell'inchiesta fu l'amico Emanuele Sella, i cui lanifici si trovavano a Valle Mosso. I caratteri dell'indu- stria laniera della Val Sessera. epicentro dello sciopero con i suoi 200 operai, sono quelli tipici della rivoluzione industriale. Negli Anni Ottanta del secolo erano state portate a compimento la soppressione del lavoro a domicilio e la concentrazione della tessitura in opifici, il che aveva provocato i primi scioperi contro quella che Einaudi descrive come «la disciplina ferrea della fabbrica». Nella prima fase di industrializzazione era avvenuto che molti operai fossero diventati industriali, che dirigevano direttamente lo stabilimento senza ricorrere alle forme della società anonima. La produzione era molto diversificata, e questo rendeva difficile la formazione di consorzi. Ora però, soggiunge Einaudi, i casi di rapide fortune sono molto più rari. Gli operai sono fra i più abili d'Italia, e i loro salari f sonc^mtaVtforipi 3.1 quelli dei tessitori veneti e toscani. Non si battono per ulteriori aumenti, ma per una riduzióne dell'orario di lavoro da 13 a 10 ore. I padroni offrono invece di portare a 11 le ore di permanenza in fabbrica, con due mezze ore per la refezione. Le posizioni dunque non sono lontanissime, ma l'accor do è difficile per la fierezza de¬ gli operai. In gran parte piccolissimi proprietari agricoli essi stessi, si sono massicciamente convertiti al socialismo dopo la disfatta di Adua. Questa «aristocrazia operaia» riscuote presso di lui un'ammirazione senza riserve, anche per la di' sciplina mostrata in occasione dello sciopero. Con tutto questo, però, Ei naudi non lesina le sue critiche ai dirigenti operai per la scelta del momento in cui proclama' re lo. sciopero, che è quello della preparazione del campionario da inoltrare ai grossisti, e che provoca al settore danni che non possono non toccare anche gli operai. Più generalmente, a lui non interessa tanto la tattica seguita dagli scioperanti, quanto la «psicologia» dello sciopero, i motivi di fondo che lo hanno determinato. Ecco quindi in primo piano i mutamenti.della, morale individuale e sociale, il «Bisogno UT vivere 'Insieme», una sorta di spontaneo collettivismo che si è affermato al posto dell'antica morale familiare: da cui lo sviluppo dei luoghi di ritrovo, dai circoli ai caffè alle osterie, che Einaudi registra puntualmente, senza moralismi (...). I sindacati operai — che Eina. di, con un pizzico di civetteria esterofoba, ha sempre chiamato «leghe» — spingono a loro volta i datori di lavoro a organizzarsi. In questo modo le parti saranno indotte a discutere e ad accordarsi, e lo sciopero sarà Yextrema ratio. Nell'ultimo articolo della serie, il 6 ottobre 1897, vedeva favorevolmente il ricorso delle parti al giudizio arbitrale. «L'arbitrato vuol dire sottomissione del giudizio individuale che può fallire perché interessato nella questione, al giudizio di una persona estranea la quale più diffìcilmente fallirà perché imparziale. Allo stato di guerra succedono cosi le trattative che creano e rafforzano la pace». Questa posizione è tanto più interessante in quanto, di lì a poco, avrebbe abbracciato l'idea contraria. Gli scioperi ebbero anche una coda giudiziaria, che culminò con una sentenza di assoluzione per i lavoratori. A commento di essa, il 3 novembre, Einaudi si poneva il problema della concorrenza fra industrie «a salario alto» (come quelle del Biellese) e quelle «a salario basso». Si doveva elevare nelle prime la produttività del lavoro, in modo da mantenerne la competitività: «Per quante affermazioni si facciano in contrario, è certo che gli industriali esteri lottano con vantaggio contro i nostri non malgrado, ma grazie ai salari alti». In secondo luogo si dovevano «stringere in un'unica asso dazione gli operai non delle sin gole vallate, ma di tutto il Biellese, ed anzi di tutta Italia, e persuadere gli operai delle vallate a paghe più alte che i sacrifici fatti per gli operai più miseri di altre regioni ridondano a loro diretto vantaggio». Un saggio di salario uniforme avrebbe infatti evitato bruschi spostamenti di capitali c di macchine dove la manodopera è più a buon mercato. E' chiaro che la contropartita da parte delle leghe doveva essere di autolimitare le proprie richieste là dove — come nel Biellese — i lavoratori già godessero di alti salari. Questo articolo, dal titolo // significato di una sentenza, fu molto apprezzato in sede socialista, ma forse più per il suo messaggio politico, che non per la sua precisa proposta di strategia sindacale (...). Politica ed economia sono più strettamente intrecciate negli articoli sullo Sciopero del porto di Genova, usciti fra il 21 dicembre 1900 e il 25 gennaio 1901. A Genova, infatti, a differenza che nel Biellese. l'agitazione era stata provocata da una decisione delle pubbliche autorità: quella del prefetto Camillo Garroni di sciogliere la Camera del lavoro, che già era stata sciolta nel 1896' dal suo predecessore Davide Silvagni ed era stata immediatamente ricostituita dai lavoratori con i medesimi componenti, in gran parte socialisti. Intervistato da Einaudi, Garroni si era giustificato sostenendo che i legittimi rappresentanti dei lavoratori dovevano essere considerati soltanto i membri operai dei collegi dei probiviri Si apriva perciò ai lavoratori del porto di Genova un'alternativa: o eleggere nuovamente, stavolta nella commissione dei probiviri, gli stessi capi socialisti, cedendo sul punto di principio; oppure riprendere la battaglia su questo punto, rischiando di perdere la guerra. Einaudi esamina minuziosamente la composizione della classe operaia del porto, l'ascendenza storica corporativa di molte associazioni, la particolare funzione dei «confidenti» o intermediari fra manodopera e i commercianti, l'elevatezza dei salari giornalieri che però non compensa l'assoluta incertezza del lavoto, e gli sforzi della Camera del lavoro di unire insieme gli affiliati alle otto leghe del porto. Qui tocca con mano l'inadeguatezza del collegio dei probiviri come organismo rappresentativo dei lavoratori nelle controversie con i datori di lavoro. Ma c'è una ragione ulteriore per schierarsi contro la linea del prefetto. Il suo patrocinio del collegio dei probiviri getta una luce sfavorevole su quest'ultimo, ne fa un organo del «socialismo di Stato». Einaudi dunque plaude alla ricostituzione della Camera del lavoro, avvenuta il 21 dicembre 1900, allorché il governo Saracco, «che aveva voluto far atto di autorità collo scioglimento, ha dovuto piegare dinanzi alla formidabile protesta degli scioperanti», non meno di ventimila. Anche in questa occasione vi è posto per qualche nota di colore sull'aristocrazia operaia che sorge dall'organizzazione di resistenza. Fra i facchini, i barcaioli e i «consoli di carovana» è dato trovare letterati, matematici, filosofi, insomma operai-intellettuali del tutto autodidatti ma ben in grado di tener testa alla controparte padronale anche in fatto di istruzione e di dialettica. Il reportage fu rielaborato in un saggio per la Riforma sociale del gennaio 1901. Un mese dopo, i portuali di Genova scioperavano di nuovo, stavolta per la sopraggiunta crisi della cantieristica e i licenziamenti conseguenti. Qui — e con maggiore evidenza che negli articoli sul Biellese — la posizione di Einaudi si irrigidisce: al giudizio eticopolitico di simpatia si sostituisce il giudizio economico di condanna. La crisi del cantiere era prevedibile, perché si trat- tava di un'industria artificiosamente gonfiata dai premi alla marina mercantile. Si aboliscano perciò anzitutto i premi e la protezione all'industria siderurgica, che obbliga i cantieri a comprare a caro prezzo le materie prime. Una ristrutturazione sarà peraltro inevitabile; con questi provvedimenti, infatti, «potrà lenirsi la crisi odierna; non scomparire del tutto». La difesa del posto di lavoro non rientra nella funzione istituzionale delle leghe. Tuttavia, anche se esse debbono astenersi dall'interferire nel meccanismo del libero mercato (e quindi dall'impedire che un'industria in crisi chiuda), le leghe debbono essere riconosciute come le sole e autentiche rappresentanti dei lavoratori. Questi concetti sono alla base di un intervento sullo Sciopero dei fonditori di Torino (La Stampa, 13 febbraio 1901). I tentativi del sindaco di risol¬ vere lo sciopero con un arbitrato di due rappresentanti degli operai e di due rappresentanti dei padroni sono criticati da Einaudi proprio in base alla non rappresentatività rispetto alla classe operaia dei due lavoratori chiamati nel collegio arbitrale. Ma c'è di più: in questioni del genere, neppure la contrattazione a livello di azienda serve; è necessaria la presenza di una «rappresentanza collettiva». Si tratta indubbiamente di posizioni molto avanzate. Forse per rendere più accetta al lettore'moderato la sua argomentazióne, Einaudi agita To spauracchio delle prevedibili conseguenze del rifiuto di riconoscere le leghe da parte del padronato: l'esasperazione dell'odio di classe da parte dei lavoratori, la loro caduta «in balia dell'educazione socialista», come stava succedendo in Francia (si era al tempo del governo di coalizione Wal- deck-Rousseau, con il socialista Millerand al Commercio), «dove i padroni sono alla mercé di politicanti rivoluzionari mandati alla Camera e al governo dagli operai. Ma se questo non si vuole — conclude Einaudi — si segua l'esperienza dei paesi veramente conservatori, dove gli industriali non hanno temuto di discutere a paro a paro cogli operai coalizzati, ed elevandoli a dignità di contraenti collettivamente riconosciuti [la sottolineatura è nostra], li hanno trasformati per modo che adesso i lavoratori socialisti del contimente vituperano i compagni inglesi coll'abborrito e pur tanto agognato nome di capitalisti». Arbitrato obbligatorio: il suo rischio è irreggimentare la classe operaia. La polemica anticorporativa di Einaudi — che doveva dettargli i significativi interventi degli Anni Trenta — comincia proprio da questi scritti giovanili. Riccardo Faucci 9 ■ \ Dogliani, 1952. Il presidente Luigi Einaudi e donna Ida durante una passeggiata (Foto «La Stampa») Roma, 23 dicembre 1952. Il presidente Einaudi con Charlie Chaplin al Teatro Sistina per la prima di «Luci della ribalta»
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