Don Abbondio in Italia di A. Galante Garrone

Don Abbondio in Italia Il no dei condomini alla lapide per Terranova Don Abbondio in Italia Credo che non solo alcune fra le più alte autorità dello Stato ma molti comuni cittadini siano rimasti sconcertati e sbalorditi per il rifiuto opposto dai condomini di un palazzo nel centro di Palermo alla reiterata e ben motivata richiesta del sindaco di consentire l'apposizione di una lapide sulla facciata, in memoria del giudice Terranova e dell'agente Mancuso, «trucidati da piombo mafioso». (Per la verità, un'esigua minoranza di r- idomini, tra cui un magistrato, sarebbe stata favorevole). Si è trattato del meschino timore di essere coinvolti e offesi, nelle proprie cose o nelle persone, da rappresaglie o attentati della occulta e feroce potenza criminosa, la mafia nuova ed antica? In una parola, di paura? L'episodio ci richiama alla memoria momenti gravi del nostro recente passato, quando infuriava la minaccia del terrorismo. Accadde allora, nel maggio del 1977, a Torino, che in un processo contro le Brigate rosse più di un giudice popolare, attanagliato da paura fisica bella e buona, si sottraesse al suo dovere proclamandosi, sulla base di più o meno compiacenti certificati medici, afflitto da «sindrome depressiva». Il grande poeta Eugenio Montale, intervistato, alla domanda se, estratto il suo nome, avrebbe accettato di fare il giudice popolare, diede una risposta sincera ma infelicissima: «Credo di no. Sono un uomo come gli altri e avrei avuto paura come gli altri». Ci fu chi, su questo giornale; subito gli obiettò che non si può chiedere a nessuno di essere un eroe; ma si di vincere la paura, e magari di vergognarsene un po'. E due giorni dopo, sul Corriere della Sera, Italo Calvino consentì appieno con l'articolo della Stampa, dicendo assai bene: «Ci sono momenti in cui la paura non è più un dispositivo naturale per la sopravvivenza dell'individuo e della specie, ma una causa di pericoli maggiori per sé e per gli altri. Momenti, insomma, in cui la sola paura salutare è la paura di aver paura, e riesce a ridare coraggio anche a chi l'ha perduto». E ancora, con parole che dovremmo sempre ricordare: «Lo Stato, oggi, consiste soprattutto nei cittadini democratici che non si arrendono, che non lasciano andare tutto alla malora». Un esempio solo, fra tanti: Carlo Casalegno. In quei giorni ormai lontani, fu più volte rievocata la risposta di don Abbondio a Federigo Borromeo, che lo rimbrottava per aver ceduto alle minacce dei bravi: «Il coraggio, uno non se lo può dare». C'è da domandarsi se, di fronte all'ultimo caso di Palermo, a quell'innocua lapide palermitana, sia davvero il caso di tirare ancora in ballo la morale (ahimè eterna) del personaggio manzoniano; se, dopo avere nei mesi scorsi deplorato l'«Italia di Masaniello», non dovremmo parlare dell'«Italia di don Abbondio». Non ci piace atteggiarci a troppo rigidi Catoni. Anche noi ricordiamo le parole dei Promessi Sposi. Sentiamo una certa ripugnanza «in questo mettere in campo, con così poca fatica, tanti bei precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, di sacrifìcio illimitato di sé». Forse non si trattava (o non soltanto) di paura, bensì di altri motivi: scarsa sensi¬ bilità, pessimismo, egoistico desiderio di trarsi in disparte, «rigurgito di indifferenza e di estraneità», come diceva ieri a Palermo il fratello di Piersanti Mattarclla, assassinato dalla mafia. Di certo, un atteggiamento assai poco esaltante. E per carità, non ci vengano a raccontare, quei distinti condomini palermitani, di essersi opposti unicamente per ragioni di estetica, o perché la lapide sarebbe stata troppo alta da terra, e dunque illeggibile, o perché l'eccidio avvenne qualche metro più in là. Quando si vogliono nascondere le vere ragioni del proprio decidere, ci si riduce per forza a scuse risibili come queste. Il che — sia detto di passata — ci fa pensare alla poco convincente ragione addotta da Craxi, qualche giorno fa, per giustificare da parte del nostro governo la mancata richiesta di estradizione di un temibile terrorista, supposto organizzatore di nefandi attentati: quella di non voler esporre la Francia al sospetto di dar prova di viltà! («Acca, nisciuno è fesso...», era il commento di una vignetta di Tango). Era meglio non dir niente. Non intendiamo drammatizzare. Ma l'esperienza di anni e anni, fino a questi ultimi giorni, fatta di testimoni che si defilano («occhio non vede, orecchio non sente»), di diserzione (solo trecento persone all'inaugurazione del cippo per il giudice Terranova), di troppo morbide sentenze, di sospette reticenze o collusioni, ci rattrista e ci indigna. Non c'è bisogno di essere eroi. Basterebbe un minimo di impegno civico: sentire la propria sorte legata a quella di tutti. A. Galante Garrone

Persone citate: Carlo Casalegno, Craxi, Eugenio Montale, Federigo Borromeo, Italo Calvino, Mancuso, Momenti, Piersanti Mattarclla, Terranova

Luoghi citati: Francia, Italia, Palermo, Terranova, Torino