Due br evadono aiutati dall'esterno di Vincenzo Tessandori

Due br evadono aiutati dall'esterno Ricoverati all'ospedale di Novara, sono usciti dalla finestra con sbarre già segate Due br evadono aiutati dall'esterno Calogero Diana e Giuseppe Di Cecco erano in osservazione per le conseguenze di uno «sciopero della fame» DAL NOSTRO INVIATO NOVARA — Scomparsi nel nulla. Alle spalle si sono lasciati sei sbarre segate e una serie di certificati medici che ne raccomandavano il ricovero in ospedale, per accertamenti. Sono fuggiti cosi i due brigatisti rossi, indicati come «irriducibili», terroristi abituati a sparare. Sono scappati perché qualcuno, sottolineano gli inquirenti, li ha aiutati da fuori, qualcuno che ha tagliato l'inferriata e li ha attesi per portarli lontano. I nomi. Calogero Diana, 37 anni, nato a Marchiu (Belgio), militante nella colonna «Walter Alasia», noto soprattutto per aver partecipato, a Biella, all'assassinio del vicequestore Francesco Cusano e, a Milano, a quello del maresciallo degli agenti di custodia Francesco De Cataldo; un ergastolo e una condanna al carcere fino al 2065. Giuseppe Di Cecco, 31 anni, di Fara San Martino (Chieti), faceva l'operaio a Torino, militava nella colonna capeggiata da Patrizio Peci che, pentito, lo fece arrestare con molti compagni. Di Cecco era arrivato a Novara il 12 maggio 1984 e Diana il 22 giugno '85. Un anno e mezzo di vita normale, per quanto può essere normale l'esistenza all'interno di un reparto a grande sorveglian¬ za: colazione alle 7,30; aria dalle a alle 10,30; attesa del pranzo, alle 12; ancora aria fra le 13,30 e le 15,30; attesa della cena. Erano 62, ieri, i reclusi di questa sezione, alcuni politici, il più noto Giovanni Gentile Schiavone, di Napoli, Nap. Riflettendo ora sul comportamento di Diana e Di Cecco, fanno osservare al carcere, pare che i due avessero fatto il possibile per non essere notati. Del resto, dicono qui, non ci son più i turbolenti in questa prigione dal recente tragico gassato. Ma i brigatisti erano considerati irriducibili e a loro, sospettano gli inquirenti, si è forse rivolto chi tira le fila dell'ultimo terrorismo, quello che, facilmente, ha contatti stretti con l'estero. Il piano 'è stato preparato con cura meticolosa. Uscire dalla fortezza della «Bicocca», in via Sforzesca, è apparso troppo complesso, forse impossibile, e cosi è stato deciso di tentare la carta del ricovero in ospedale. E' fine agosto quando Diana e DI Cecco protestano per ottenere «migliori condizioni nella detenzione, l'eliminazione del bancone divisorio nella sala colloqui, la libertà di ricevere qualunque visita». Le lettere dei due non sono sottoposte a censura e le loro pretese vengono subito definite inaccet- tabili, ma 1 due appaiono ostinati e la mattina di mercoledì 27 agosto rifiutano la colazione, poi il pranzo. Martedì 9 settembre iniziano anche lo sciopero della sete e sabato 13 vengono ricoverati nell'infermeria del carcere. I medici ne controllano le condizioni, anche con visite notturne a sorpresa. E' il 17 quando viene richiesto il ricovero. Di Cecco ha perduto 11 chilogrammi, lo trattengono in ospedale, il suo compagno è dimagrito di 10, ma lo rimandano in carcere. Due giorni più tardi nuova richiesta dì accertamenti anche per Diana e secondo rifiuto da parte dell'ospedale. Ma le condizioni del terrorista ap¬ paiono serie: da una settimana, anche in carcere, poteva muoversi soltanto in barella. Diana raggiunge il compagno nel reparto al quinto piano dove è organizzata la sezione carceraria: tre celle allineate lungo un corridoio di una quindicina di metri più una stanza dove alloggia la scorta. I carabinieri da due giorni avevano rilevato gli agenti di polizia. Di Cecco si trova nella prima cella, Diana in quella accanto, insieme a Salvatore Sapienza, un detenuto che, proprio ieri mattina, doveva subire un intervento a una gamba. Le finestre sono a tre metri e mezzo dal pavimento, è difficile arrivare alle sbarre an¬ che mettendo una sedia sul tavolo benette non sia pai tanto difficile tagliare il ferro con i «capelli d'angelo», le sottili seghe made in Germany che, sovente, gli aspiranti evasi celano nei posti più impensati Probabilmente l'altra sera le sbarre erano già tagliate: per terra, osservano i carabinieri, non è stata trovata limatura di ferro, l'inferriata era stata attaccata con mastice scuro. Poiché le finestre erano alte, e poi si affacciano sul tetto, nessuno le ha «saggiate». All'alba, quando i carabinieri ottengono il cambio, Sapienza dorme e anche i due brigatisti paiono assopiti. Sono le sei, un'ora e mezzo più tardi l'infermiere Paolo Bellotti sale a prendere Sapienza per l'operazione: dorme ancora. Ci si accorge In questo momento della fuga. Nei letti di Di Cecco e Diana sotto alle lenzuola due fantocci fatti con i cuscini, in alto, nelle due celle, le sbarre tagliate. La via della fuga passa, sembra, per i tetti e lungo una scala a pioli che porta all'ascensore e all'ingresso principale. Ogni angolo dell'ospedale viene frugato, ma, si fa notare, per raggiungere Milano bastano 40 minuti, 50 per Torino e un'ora e mezzo per la Svizzera. Vincenzo Tessandori g 1 d i tii