Bonn chiude le porte alla speranza di Alfredo Venturi

Bonn chiude le porte alla speranza Le nuove restrizioni per gli Asylanten ripropongono la difficile condizione degli stranieri in Germania Bonn chiude le porte alla speranza Nel '74 i lavoratori immigrati erano due milioni duecentomila, oggi sono ridotti a un milione e mezzo - Hanno pagato per primi il rallentamento del boom economico -1 timori del diffondersi di una pericolosa xenofobia - Un film scomodo sui ghetti in cui vive la comunità turca DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BONN — Un giorno d'estate del 1962, alla stazione di Colonia. Da un treno a lunga percorrenza scende, disfatto dalla stanchezza, un giovane portoghese. Ha attraversato mezza Europa, è venuto a lavorare nel Paese del miracolo economico. Incredulo, scosso, trova le autorità che lo attendono e gli fanno festa. E' il milionesimo lavoratore straniero a migrare nella Repubblica federale. Gli offrono fiori, brindisi, discorsi, una motocicletta. Vent'anni più tardi, 11 Bundestag approva una legge per sbarazzarsi di una parte dei Gastarbeiter, i lavoratori ospita ormai divenuti folla. Una legge che impegna, e non poco, le finanze federali. A ogni straniero che lasci per sempre il Paese viene offerto un premio di diecimilacinquecento marchi, circa sette milioni di lire. Più altri millecinquecento marchi, un altro milione, per ogni figlio. Purché se ne vadano tutti. Naturalmente il sistema non si applica a chi, come gli italiani, gode in questo Paese dei diritti Impliciti nell'essere cittadino della Comunità europea. Altri incentivi li studiano le imprese: la Mannesmann, per eF-.mpio, offre a chi accetta di andarsene tre mesi di salario in più, e una somma proporzionale agli anni di anzianità aziendale. Il meccanismo funziona: trecentomila stranieri in due anni, soprattutto turchi e jugoslavi, imboccano la via del rimpatrio. C'è dunque un abisso fra la Germania degli Anni Sessanta, che offre fiori agli immigrati, e la Germania degii Anni Ottanta che li sollecita a levarsi di torno. Ov viamente è un abisso economico prima ancora che psicologico. La Germania degli Anni Sessanta è un Paese che ha appena completato la ricostruzione, e si lancia trionfalmente verso il ruolo di potenza economica. Il rico strutto apparato industriale comincia a marciare a tutto regime: le doti nazionali di competenza, disciplina, senso organizzativo danno finalmente i pacifici frutti della prosperità. Ma servono braccia: per le miniere, per le fabbriche. Braccia straniere, perché lo sviluppo dell'economia ha ormai oltrepassato le dimensioni demografiche del Paese, nonostante l'alta densità dopo le penose migrazioni dall'Est. Il ruolo dei Gastarbeiter è essenziale: la Germania deve molto alle masse salite dalla Turchia, dall'Italia, dai Balcani, dalla penisola iberica. La popolazione immigrata, i lavoratori con le loro famiglie, arriva negli anni culminanti dello sviluppo a sfiorare 1 cinque milioni. A questo punto muta la congiuntura: il miracolo è finito, il Paese continua si a svilupparsi, ma nei settori a bassa intensità di manodopera. Non solo non servono più nuove braccia, ma ce n'è in soprannumero. L'apparato industriale sa resistere alle nuove sfide soltanto alleggerendo gli organici. DI qui gli incentivi a chi accetta di lasciare il Paese. Oggi i lavoratori stranieri sono un milione e mezzo: erano due milioni e duecentomila nel '74. Sono stati loro, più dei tedeschi, a pagare in termini di occupa zione il prezzo della mutata congiuntura. Di fatto la disoccupazione, che in questo Paese si aggira attorno all'8,5 per cento, sflora il 13 se ci si limita alla comunità straniera. Una comunità ancora foltissima: oltre quattro milioni, Prima di tutto turchi, quasi un milione e mezzo, dei quali centoventimila concentrati a Berlino Ovest, poi jugoslavi, seicentomila, italiani, mezzo milione: quindi greci, austriaci, spagnoli, portoghesi. I Gastarbeiter sono ancora considerati essenziali: gli esperti del mercato del lavoro dicono concordi che numerosi settori dell'economia federale, dalle miniere all'edilizia, dall'industria automobilistica al turismo, non potrebbero fare a meno della manodopera straniera. Ciò di cui 1 tedeschi farebbero volentieri a meno è la massa esuberante di chi cerca asilo politico, gli Asylanten di tanto si è parlato. Proprio in questi giorni un'ime sa con l'altra Germania ha bloccato il flusso più nutrito di questa marea alluvionale, quello che utilizzava la porta aperta di Berlino. Ma ormai sono più di seicentomila i profughi del Terzo Mondo che hanno chiesto asilo alla Germania. Né ci si illude che l'intesa con la Ddr, operativa a partire da ottobre, risolva come per incanto il problema: gli Asylanten cercheranno altre strade per bussare alle porte della Repubblica federale. In ogni caso, c'è il problema dei seicentomila che già sono arrivati in Germania, e attendono il loro destino nei centri di raccolta. Il loro destino, dal punto di vista giuridico, è abbastanza chiaro: nella grandissima maggioranza, oltre il 90 per cento, non avranno lo status di rifugiati politici. La magistratura federale ha infatti stabilito che non basta venire da un Paese in guerra, com'è il caso dei profughi iraniani, o mediorientali, per avere un simile status. Bisogna esibire le prove di una persecuzione individuale. Dunque, domande per la massima parte respinte. Ma fra la domanda respinta, l'appello, l'ultima istanza passano anni: e intanto che fare di costoro? Ovviamente non possono lavorare, sono dunque a carico del bilancio federale. Quest'anno gli Asylanten costeranno quasi tre miliardi di marchi, duemila miliardi di lire. Ma non è tanto il costo che preoccupa: in fondo il bilancio federale è fra i più prosperi al mondo. Ciò che preoccupa è la ventata di insofferenza che ha percorso il Paese: si è parlato di xenofobia, si è usata perfino una parola tabù in Germania, razzismo. Xenofobia, razzismo? Certo, molti episodi di intolleranza. Il gruppetto di nostalgici nazisti invita i tedeschi a .prendere le armi» contro i libanesi, gli iraniani, i palestinesi, i ghanesl. che affollano i centri di raccolta. Ci sono villaggi mobilitati per impedire, appunto, l'insediamento di questi centri. Ci sono sindaci che rifiutano, esibendo regolari delibere del Consiglio municipale, di alloggiare gruppi di Asylanten Un ritornello rimbalza da un capo all'altro della Germania: perché proprio qui? Portateli da un altra parte, anzi rispediteli a casa loro. Il risentimento contro i profughi finisce in qualche caso con il coinvolgere anche i lavoratori stranieri: almeno quelli fra i Gastarbeiter che più sono sentiti estranei dalla società tedesca. Come i turchi, che non di rado sono stati vittime, a Amburgo, della gratuita violenza di quei ragazzi senza capelli e senza idee che si fanno chiamare skinheads. Ne è passata di acqua, sotto i ponti del Reno e dell'Elba, da quando un immigrato portoghese si vedeva accolto con discorsi e regali. Sulla grama condizione della comunità turca in Germania si è diffuso, in un libro recen te, GUnter Wallraf : il giornalista che si è calato, truccandosi e travestendosi, nella comunità di cui ha condiviso la difficile esistenza. Il suo libro, 'Ganz tintene, è stato a lungo nelle classifiche dei più venduti. Ora è uscito anche un film. Lo ha diretto un regista turco che vive qui, Tevftk Baser. S'intitola .Quaranta metri quadrati di Germania». Quel quaranta metri sono tutto quanto può permettersi di conoscere, di questo Paese, Turni la moglie di un lavoratore turco. E' infatti la superficie dell'appartamento che occupa, nel quartiere amburghese di Sankt-Georg. Due stanze, la cucina, il bagno: ma è un palazzo per Turna, con le sue reminiscenze anatoliche lacere e polverose. Da quel palazzo, del resto, la donna turca non può uscire, nemmeno può affacciarsi in strada. E' suo marito, Dursun, che la rinchiude accuratamente con la doppia mandata ogni volta che il mattino se ne va al lavoro: i tedeschi sono corrotti, le spiega, e non parliamo delle tedesche, meglio stare alla larga. Da questo mondo chiuso, che porterà ovviamente la donna alla disperazione, esce non solo il quadro di una certa condizione femminile, ma anche della vita alienante di un milione e mezzo di turchi in Germania: con lo scontro delle mentalità, con il rimpianto di una tradizione misconosciuta o derisa. Quaranta metri quadrati di Germania è la metafora di una comunità chiusa, alle prese con una società che non ama sentirne parlare. Ce n'è voluta, prima che Baser riuscisse a trovare 11 finanziamento per il suo film: ri fiutato dalle reti televisive per via dei dialoghi in turco con sottotitoli. E, più tardi, non è stato facile inserirlo nei circuiti della distribuzione. I noleggiatori scuotevano il capo: troppo opprimente. Il regista è dovuto peregrinare all'estero, farsi premiare a Cannes. Soltanto cosi ha potuto vedere la sua Turna, finalmente liberata dalla clausura, proporsi da quei quaranta metri quadrati all'attenzione della società tedesca. Alfredo Venturi

Persone citate: Ganz, Gunter Wallraf, Sankt