Il mostro città di Luciano Gallino

Il mostro città UN SOCIOLOGO E LE METROPOLI Il mostro città Cerano una volta le città. Erano luoghi nettamente individuati, fitti di alti edifici spalla a spalla, dove masse di gente lavoravano, abitavano e ogni tanto si divertivano, uscendone di rado, in uno spazio abbastanza limitato da poterlo traversare con una passeggiata. Se si procedeva per un po' nella stessa direzione, si scopriva che gli edifici alti all'improvviso finivano. Al di là si entrava in un altro spazio latto di rare case basse, poca gente, alberi e terra aperta, verde nella buona stagione: lo chiamavano campagna. E dopo un tratto di terra aperta, lungo mediamente quanto per secoli si potè coprire con un giorno di viaggio in carrozza, si incontrava un'altra città, anch'essa un luogo separato e distinto nello spazio geograficD. Poi le città cominciarono . dissolversi. L'evoluzione dei trasporti in parte permise, in parte obbligo molta gente a lavorare in città e ad abitare fuori, sempre più lontano. La campagna fu trasformata in una costellazione di suburbi. Dove stava la città, come s'identificava, in «quale punto passavano i suoi confini, cominciarono a diventare domande meno ovvie. La città è il posto dove si lavora ma non si vive, o quello in cui si abita ma non si lavora, oppure è il territorio frastagliato e immenso che abbraccia ambedue le attività? Dalle risposte queste domande dipendono l'identità di luoghi e persone, la capacità di far piani territoriali, modelli di amministrazione, forme del tessuto urbano: ma non si vede più chi sia in grado di darle. ** Un altro impulso al dissolvinvnto delle città lo diede l'evoluzione dei mezzi di comunicazione. Prima le comunicazioni viaggiavano con le persone. Erano uomini che portavano notizie e ordini da una città all'altra, e portavano indietro le risposte: il tempo c!c-n*.> comunicazione era ugualesi tempo del viaggio-d'una' persona, e questo tempo assi curava la separata e riconosci bile identità delle città. Poi la disponibilità di mezzi per comunicare che azzerano le distanze consentì, in un primo tempo, di far lavorare in una data città masse di individui, di cui si poteva controllare l'operato standosene in un'altra città. In un secondo tempo, nel nostro tempo, essa ha permesso a un numero crescente di persone di lavorare dovunque, fuori dalla città, senza ptdtplnufcdd ' più avere con essa se non contatti saltuari. In forza di questi processi di incrocio e dispersione del lavoro collettivo sul territorio, la produzione diventa una sorta di fluido sparso che appare prender forma soltanto in un luogo ultimo, il quale spesso non è nemmeno più una città; un luogo qualunque dove il flusso dei componenti arriva convogliatovi da mille punti d'origine distribuiti chissà dove nel mondo, in mille altre città, regioni, paesi lontani. La fluidificazione dei confini d'una grande città contemporanea viene efficacemente descritta da Arnaldo Bagnasco in Torino. Un profilo sociologico che sta per uscire da Einaudi. Nel caso di Torino, essa è particolarmente visibile, perché è stata rapida quanto recente. La differenziazione produttiva, a partire da una base pressoché monoindustriaie, l'inserimento dell'economia metropolitana in nuovi circuiti nazionali e internazionali, la modernizzazione della stratificazione sociale, hanno pochi lustri. 11 problema di Torino, sottolinea Bagnasco, sta anzi nel suo esser coinvolta in processi d'interazione con altre regioni ancora insufficientemente sviluppati; mentre gli attori poli tici, sindacali, culturali che do vrebbero promuoverli e diri gerii non sono ancora riusciti a costruirsi nuove capacità d: riflessione e di governo, realmente adeguate a una distribuzione sul territorio di forze e processi sociali ch'è del tutto inedita, e in più mobilissima e multiforme, per molti aspetti ignota. D'altra parte, pur con i ca ratteri che ne mostrano la particolarità, Torino può anche esser presa come un caso che illustra, in generale, ma su una scala sufficientemente contenuta da consentirne una miglior vista, quali problemi nascano dal processo di dissoluzione delle città, dal loro amalgamarsi -con Vito, spazio sociale. ..ed -economico;che--non si sa qual forma e grandezza abbia, ma è certamente smisurato, e forse non misurabile mediante alcuna tecnica nota. Con un termine ormai un po' logoro, si può dire che essi siano soprattutto problemi di governabilità. Un governo efficace, d'una città quanto d'una nazione, presuppone che vi sia una cor rispondenza sostanziale tra il territorio su cui si esercita i suo controllo, il suo dominio legittimo, e lo spazio dei pro¬ cessi sociali, economici, culturali che sono l'oggetto da controllare. Le mura di cinta delle città riflettevano materialmente, finch'è durata, tale corrispondenza. Quando l'evoluzione dei trasporti e delle comunicazioni spezzarono definitivamente quest'ultima, la struttura del governo del territorio, i suoi strumenti e le sue tecniche di controllo, sarebbero dovute mutare in modo radicale. ** In tutto il mondo, pur in presenza di vari tentativi di aggiustamento, la rigidità delle strutture politiche e amministrative ha impedito che ciò avvenisse. Ciò ha contribuito contemporaneamente a creare le conurbazioni mostro non più definibili come città, gran di migliaia di chilometri quadrati, con decine di milioni di abitanti, come Bowash (nome dato dagli urbanisti al conti nuo Boston-Washington) o Messico; nonché a rendere sempre più difficilmente go vernabili anche aggregati urbani di dimensioni ancora tol lerabili, che fino a ieri si potevano definire città, come ne esistono tuttora parecchi in Italia. Non che il problema di in ventare nuovi modi per governare le non-città, i territori urbanizzati senza forma né confini, si presenti di facile soluzione sotto il rispetto tecnico, quand'anche esistessero volontà e forze politiche per risolverlo. Esso è reso quasi intrattabile dal fatto che a seconda dei fenomeni che interessano l'osservatore (come ben mostra Bagnasco nel caso di Torino) i confini dell'aggregato di attività e popolazione, di uomini e cose che si desidera di volta in volta co noscere a fini scientifici, fare oggetto d'un piano urbanistico o territoriale, o controllare fini di governo, appaiono completamente diversi. Diffuse, magmatiche, le nuove realtà territoriali rimandano, in luogo dell'immagine di'sér»'i* riflesso dell# rhdffce'e dei particolari interessi di eh le osserva: del politico e def^ l'urbanista, dell'imprenditore e del funzionario, assumendo volta a volta differenti forme e dimensioni. Intanto, soli su perstiti, gli antichi confini am ministrativi di comuni piccol e grandi continuano imperter riti a testimoniare sulle mappe d'un mondo del passato, quan do le città avevano mura porte, e un potere capace d controllare tutto ciò che entrava ed usciva da esse. Luciano Gallino

Persone citate: Arnaldo Bagnasco, Bagnasco, Einaudi

Luoghi citati: Bagnasco, Italia, Messico, Torino, Washington