Le patate del Don

Le patate del Don STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO Le patate del Don E' tempo di raccogliere: sui prati sta a seccare al sole e all'aria di settembre l'ultimo sfalcio. L'odore di questo è più acuto e garbo di quello del fieno di luglio; allora, per la brina che aveva annullato sul nascere la prima fioritura, il raccolto è stato scarso più di sempre; i mucchi pronti ad essere caricati sui trattori per il trasporto nei fienili erano più piccoli e radi che non questi di oggi.1 Ma un raccolto compensa l'altro e i settemila capi bovini che vivono sull'Altipiano avranno alimento anche per il prossimo inverno: dalla qualità di questi fieni dovrebbe venire un buon formaggio invernengo. 11 formaggio fatto in tempo d'inverno ha la pasta più chiara e il sapore meno deciso di quello fatto nella stagione del pascolo; è anche più costante nella qualità perché d'estate gli sbalzi del clima, il mutare dell'erba con il trascorrere delle settimane, le differenti altitudini degli alpeggi ci danno un prodotto più vario. (Ma gli appassionati sanno qua! è la malga più buona e un bravo casaro!). L'intenditore sa anche che profumato e saporito tra tutti è il formaggio prodotto in giugno, quando sui pascoli sbocciano innumerevoli fiori. Ma ora, lassù, la montagna diventa selvatica e fredda; nei luoghi dove fino alla prossima primavera non arriverà il sole ristagna un odore greve di terra e di erbe che sanno di iodio, rifiutate da ogni erbivoro. Ieri, mentre stavo nel campo a levare le patate, sono transumate le pecore sulla via del ritorno alla pianura; erano un migliaio e lasciavano bioccoli di lana lungo le recinzioni: una lana finissima e bianca e lunga, che una volta i ragazzi che seguivano allegri il gregge raccoglievano per fare guanciali ma che in questi nostri tempi solo gli uccelli rac-. coglieranno per foderare i rydi. «Per noi èffjQfg^Qtate/», mi disse il giovanotto che' chiudeva il gregge" e chic con sollecitudine invitava gli agnelli a camminare. Sottobraccio portava l'ultimo agnello nato lungo la strada, e i due cani tenevano raccolte le pecore che tentavano di entrare negli orti lusingate dai cavoli e dalle verdure. Ora aspetterò la primavera per vederle ritornare. Che malinconia. Ripresi con la zappa a levare le patate, ma il pensiero seguiva altre strade lontane nel tempo e nei luoghi. Attorno agli Anni Trenta, quando venne la grande crisi, tutti, qui in montagna, ci mettemmo a coltivare patate. Le patate erano la maggiore risorsa per chi era rimasto a casa; il recupero dei materiali della Grande Guerra dava la possibilità di comperare il companatico. Chi non possedeva un pezzo di terra dissodava e coltivava i terreni del Comune in enfiteusi; c'era anche chi pagando la concimazione con il letame e l'aratura con il cavallo aveva l'uso per un raccolto sui pascoli magri, che l'anno successivo venivano seminati a biada o a segale dal proprietario. Ma quando eravamo sul fronte dell'Est, dopo la «sacca» del Don e si camminava verso l'Italia per quelle tene senza fine e più nessuno si curava di noi, ancora e sempre le patate erano il nostro maggiore sostentamento. Un giorno di marzo arrivammo in un villaggio della Bielorussia e non avevamo niente nello stomaco e niente nelle tasche; il capotai maggiore Tardive], che era il più bravo e generoso di tutti noi, si accorse che nella campagna attorno al villaggio c'erano dei piccoli cumoli ancora coperti dalla neve. «Lì sotto, mi disse, ci sono le patate, ma non bisogna discoprirle perché poi gelano e non potranno seminarle. Non è giusto neanche rubarle tutte da un deposito perché poi, magari, la famiglia rimane senza scorta. Intanto andiamo nelle isbe, poi ci penseremo». Quando venne buio mi disse: «Vieni con me sergent magiùP». Aveva preparato un bastone e a una estremità aveva infisso un chiodo. Quando arrivammo dove c'erano i cumoli con le mani tirammo via la neve, facemmo un piccolo pertugio sulla terra e poi sulla paglia che ricopriva le patate e con il bastone, a una a una infilandole, ne prendemmo una decina da ogni deposito, rimettendo poi tutto ih ordine. Rita narftmo jgdjte'ftBfc con le %sctìe feen^gonfie é per quella sera i resti della nostra compagnia poterono mangiare un piatto singolare: patate con il buco. Quando ci ritrovammo nel Lager ancora le patate ci salvarono un po' dalla fame. Sempre Tardivel riusciva a procurarsi delle bucce che poi lavate appiccicavamo al tubo della stufa: quando erano cotte e ro¬ solate si staccavano da sole e con un pizzico di sale che conservavo in un cartoccio diventavano saporitissime. Andava il pensiero rievocando quésti fatti e questi luoghi, volti di compagni perduti lungo la via della vita; come per suo conto la zappa continuava ad affondare con riguardo nella terra e con un movimento di rientro faceva uscire al sole di settembre le provvidenziali patate. Patate bianche con la scorza ruvida, ottime per gli gnocchi e per le minestre perché a bollirle si aprono asciutte come farina brillante; patate rosa scuro che resisteranno fino al prossimo raccolto, buone da affettare e da umidi. E prima dei geli raccoglierò anche le carote, i sedani, le cipolle che conserverò senza frigoriferi. Sopra la catasta della legna secca, al sole, stanno ora ad asciugare gli agli, prodotti con gli spicchi che qualche anno fa una ragazza russa mi donò in un grande albergo di Mosca; sono piccoli, di colore rosa ma profumatissimi. Quando saranno bene asciugati, a mazzi, li appenderò in soffitta é nelle sere di vento e neve, con il peperoncino rosso che un amico dal Mar Jonio mi manda ogni anno, daranno sapore e profumo agli spaghetti: uno sposalizio tra il sole della Magna Grecia e la campagna della Russia in una raccolta cucina di montagna. Tra ottobre e novembre raccoglierò gli ultimi funghi della stagione, l'Agarico violetto, che poi, sott'olio, sarà buon contorno ai lessi e al cotechino fatto con il maiale casalingo. Con tutti questi lavori: invernare le api, mettere in ordine i libri nei nuovi scaffali, raccogliere i prodotti della tèrra, travasare il vino, dovrò anche trovare il tempo per portarmi giù la legna dal bosco, non servirà per questo inverno ma.per quello al di là. Procurarsela cosi è differente che* comperarla, e poi ripulisco il Dosco.vll calore della )c- re di quello del gasolio; se anche dovesse venire molta neve e isolarmi (com'è accaduto l'inverno scorso), cadere la linea che porta la corrente elettrica e quella del telefono, avrò sempre caldo, e lume, e cibo e vino, e romanzi e poemi da lèggere e, forse, ancora storie da scrivere. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Mario Rigoni Stern, Tardivel

Luoghi citati: Bielorussia, Grecia, Italia, Mosca, Russia