Moscati racconta la favola del teatro

Moscati racconta la favola del teatro A Benevento «L'aria del sorbetto», con la Di Lucia e Bisacco, regia di Gregoretti Moscati racconta la favola del teatro Un delizioso apologo sulle croci e le delizie del palcoscenico - Squisita cplonna sonora, tutta di brani rossiniani DAL NOSTRO INVIATO BENEVENTO — Critico e saggista teatrale, ma, a quanto sembra, sempre più intenzionato a divenir drammaturgo. Italo Moscati ha proposto l'altra sera, nella Rassegna Città. Spettacolo, e per la regia del suo stesso direttore artistico, Ugo Gregoretti, una deliziosa favolaapologo sulle croci e sulle delizie del far teatro, intitolata L'aria del sorbetto.- A Napoli, intorno al 1816, un impresario-biscazziere, Torvaldo, pretende dal giovane compositore Emilio, dal marchese librettista Pupetto, un Otello di Rossini in versione ammorbidita: senza cioè l'uxoricidio finale, anzi con la riconciliazione tra 11 Moro e Desdémona. La corte di Ferdinando è per dolcificar Ja vita: esige il lieto fine, come pretende nell'Intervallo sorbetti dolcissimi, mentre i cantanti si riposano e si esibiscono inutilmente i sostituti. Ma il bello e ardimentoso Emilio, la celebre soprano Margherita, trascinano il pavido Pupetta al finale vero, quello fulgido e terribile che conosciamo: naufraga nell'impresa Torvaldo, che fallisce anche come sorbettlere con un suo micidiale sorbetto al basilico proposto incautamente, proprio la sera della prima, al sovrano. Non starò a dirvi che Emilio e Margherita s'amano di fervido amore, dinnanzi a Torvaldo ruggente di gelosia: lo avete già capito da voi. E non starò neppure a chiarire che dietro quel tre personaggi Moscati garbatamente nasconde lo stesso Rossini, la Oolbran e il famigerato impresario Barbala. Questa non è una commedia d'amore, non è neppure una commedia di rivisitazione storica. E' proprio, come scrivevo, un apologo sulla vita teatrale, sulla solidarietà fittizia, sulle brusche avver¬ sioni, sui rapporti di forza, sull'ambiguità del comportamento di chi vive all'ombra polverosa del velario di proscenio. Con una. scrittura nitida, dal lessico raffinato (una rarità sulle nostre ribalte) Moscati allude garbatamente a tutto questo, ma ci diverte anche col fascino lieve della sua vicenda, per chi la voglia assumere soltanto a livello letterale. E tutto, nello spettacolo, è molto garbato: dalla regia di Gregoretti, a suo agio perfetto nella trama delie occasioni (colpi di scena, rotonda gestualità, gioco con gli oggetti) alla scena di manierosa eleganza di Renato Lori (un gran salotto-camerino In squisito stile Impero, fitto di consolles, canape e specchiere) al costumi canoviani, tra tenerezza e Ironia, di Madonna Bono. Squisita poi la co¬ lonna sonora, una decina di brani tutti rossiniani, a cura di Pasquale Scialò. A colmare il vero diletto dello spettatore c'è un quintetto d'attori di smalto fino. Margherita è Rosa Di Lucia, che offre un nuovo saggio di quel suo recitar straniando, come se rimirasse la sua soprano tra complicità e malinconia. Roberto Bisacco è un Emilio ardente, ma anche lui con juicio, cioè con bei guizzi di misurato disincanto. E tutto goloso del suo ruolo, tra protervia, gelosia, debolezza indifesa, è come Torvaldo Mario Maranzana, uno dei nostri più lntelllngentl e colti attori di carattere. n trepido Pupctto è un molto gustoso Vittorio Di Bisogno, e c'è una soubrette tagliente, Violetta, l'incisiva Stefania Spugnini. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Benevento, Napoli