I conti senza l'oste di Alfredo Recanatesi

I conti senza foste I conti senza foste Le defatiganti discussioni sulla nuova legge finanziaria e su quant'altro attiene la nostra politica economica appaiono sempre più basate su conti fatti senza l'oste. Tra i molti motivi di inquietudine che la cronaca internazionale alimenta in queste settimane, infatti, non mancano quelli che investono le prospettive dell'intera economia occidentale, compresa la nostra, naturalmente. Tanto che la brusca discesa delle quotazioni azionarie alla quale giovedì ha dato la stura la Borsa di New York può aver colpito il grande pubblico, ma non può aver colto di sorpresa gli osservatori più attenti delle cose economiche. Fin dall'inizio dell'estate riferimmo delle abbondanti mani di tinta grigia con le quali, negli Stati Uniti come in Europa, i più accreditati centri di analisi congiunturale stavano modificando la fisionomia delle loro previsioni. In Italia questa correzione di rotta venne accolta con scetticismo e persino con ironia, a conferma dell'inquinamento passionale che affligge l'analisi.dei dati economici e che. con troppo semplicismo, tende a ridurre tutto alla contrapposizione tra ottimisti e pessimisti. Poi è arrivato settembre, e con esso i rapporti delle maggiori istituzioni economiche internazionali come il Gatt (che vigila sulla normativa dei commerci tra i Paesi dell'Occidente) e il Fnù (il Fondo monetario internazionale). Nell'insieme, è stato confermato un quadro tutt'altro che brillante: salvo ulteriori complicazioni, il tasso di crescita medio non riuscirà a raggiungere il 3% ed il commercio internazionale sta registrando una decelerazione così rapida che si può già parlare di ristagno. Questo si è verificato malgrado gli Stati Uniti abbiano continuato a fornire, con loro disappunto, un sostegno assai robusto alla domanda mondiale con un deficit commerciale che nei primi sette mesi dell'anno ha stabilito un nuovo primato con ben 170 miliardi di dollari (dei quali hanno beneficiato soprattutto Corea, Taiwan. Singapore, ossia i Paesi che hanno avuto la furbizia di mantenere le proprie monete agganciate al dollaro). Poiché l'industria americana, con tutta la flessione del dollaro, si sta dimostrando incapace di riequilibrare la bilancia con maggiori esportazioni, gli Stati Uniti alla fine dovranno tagliare in un modo o nell'altro le loro importazioni. Né questo è il solo motivo per temere che il ristagno del commercio mondiale volga in recessione. Giappone e Germania — lo si è detto più volte — mantengono il rifiuto di ampliare le loro importazioni anche in presenza della minaccia protezionista che viene dal Congresso americano. Ancora: i Paesi produttori di petrolio continuano a fronteggiare il crollo delle loro entrate con drastici ridimensionamenti delle loro importazioni anziché attingere alle consistenti riserve finanziarie accumulate negli anni passati. Infine, la crisi dei Paesi fortemente indebitati, dal Sud America all'Est europeo, continua ad imporre loro politiche sempre più autarchiche. I mercati azionari stanno prendendo atto di questa realtà. Chi si ostina ad ignorarla è la maggior parte dei governi, ed il nostro in particolare. Ancora ieri Craxi non ha annunciato a Bari che l'anno venturo sarà migliore di questo? Alfredo Recanatesi

Persone citate: Craxi, Gatt