Il sonnambulo del potere di Igor Man

Il sonnambulo del potere Il sonnambulo del potere Da 13 anni Augusto Pinochet comanda il Paese lanciando l'esercito contro il suo «popolo ingrato» - Nel '74 la madre disse: «Augustino, per imporsi, dovrebbe uccidere i suoi nemici, ma non ne uccide abbastanza» - La moglie: «Ha un cuore d'oro, è un buon cattolico» - 0 cardinale Silva Enriquez: «Possiede troppe intelligenze» Pinochet ha celebrato il tredicesimo anniversario della presa del potere in quel clima di guerra che gli è congeniale. E' una «guerra sporca», fatta di assassini e di torture ma i) dittatore dagli occhi verdi la considera una «crociata» contro il comunismo. «Il Cile è in guerra contro la Russia che, da quando l'esercito ha asiunto il controllo del Paese, non ha mai cessato di attaccarci», ripete ossessivamente il «Primo Mandatario» che ha sempre accusato Mosca di «rifornire d'armi i terroristi senza Dio, di foraggiare ideologi da strapazzo, preti in jeans e politici decerebrati nel tentativo di rovesciare il governo cileno. Ma non prevarranno». , L'U settembre 197J era un giorno di primavera australe, come ieri, giornata davvero trionfale per il tiranno. L'assalto alla Moneda fu l'atto finale di un golpe che strisciava oramai da tempo, ed onestà vuole si dica che ad aiutare Pinochet non furono solo gli uomini di una «seconda linea» della Cia, per citare le memorie di Kissinger, ma anche, se non soprattutto, gli uomini del Mir (Movimiento Isquierda Revolucionaria) che con il loro infantilismo politico avevano reso indigesta un po' a tutti la «salsa cilena» con cui il presidente Allende cercava di condire la sua unidad popular. Salvador Allende era un mite medico socialista e massone di 64 anni. Amava la vita, i fiori, i cani. Era d'una galanteria un po' all'antica, fatta di bigliettini profumati e di furtivi incontri ma aveva il senso della storia. Lui, rivoluzionario appassionato ma nemico della violenza, in una intervista, rimasta famosa, aveva detto a Rossana Rossanda: «Se c'è qualcuno persuaso che in Cile un golpe sarà come in altri Paesi dell'America Latina un puro e semplice cambio della guardia alla Moneda, si sbaglia di grosso. Se l'esercito esce dalla legalità, ci sarà un bagno di sangue, sarà una nuova Indonesia». Il sangue non si è mai seccato in Cile, l'Indonesia continua. Sono appunto tredici anni che Pinochet punisce il «popolo ingrato» mandando periodicamente l'esercito a sparare contro i miserabili delle poblaciones, che gridano alta la loro protesta insieme con gli studenti, con i «colletti bianchi». L'impeto sanguinario dell'esercito cileno è un fatto originario, di nascita. Gli viene dalla scuola di guerra contro gli Araucani che durò 300 anni. Sotto la presidenza, per molti versi illuminata, di Eduardo Frei, uno sciopero nella miniera di El Salvador venne soffocato a fucilate dai militari. Sei i morti, tra cui bambini e una donna incinta. Il comandante della piazza era un oscuro ufficiale di 52 anni, padre di cinque figli, autore d'un manuale intitolato Geopolitica: Augusto Pinochet. Il padre del futuro dittatore si chiamava anche lui Augusto, lavorava alla dogana di Valparaiso. Nel 1914 sposò dona Avelina Ugarte di famiglia mezzo creola, mezzo basca. Una donna imperiosa, morta ultranovantenne a Santiago e che nel 1974 ebbe a dire del figlio, già Caudillo: «E' troppo timido, troppo sensibile. Augustino dovrebbe ammazzare, per imporsi, lutti i suoi nemici ma non ne uccide abbastanza». Augusto Pinochet esce dall'anonimato il 24 agosto del 1973 quando Allende lo nomina comandante in capo dell'esercito, convinto che quel generale «così pacioccone, fissato con la storia, disistimato dai colleghi» tutto potrebbe fare fuorché un golpe. Sua moglie, dona Lucia Hiriart Rodriguez, «prima dama della Repubblica» dice di suo marito: «Augusto è troppo generoso, ha un cuore d'oro perché è un buon cattolico»; ma il generale Gustavo Leigh, capo dell'aviazione al momento del golpe, uscito dalla Giunta «per incompatibilità di carattere» col Primo Mandatario, mi disse di lui, or è quattro anni: «Pinochet è un uomo cattivo, rozzo e ignorante, poco intelligente però furbo come uno sciacallo. Non è un buon cattolico ma un vecchio integrista». Penso tuttavia che il «ritratto» più obiettivo del dittatore io l'abbia avuto dal coraggioso cardinale Silva Enriquez che non ha mai nascosto di detestarlo. «Pinochet ha più intelligenze — mi disse in un giorno della primavera del 1983 —, l'intelligenza del potere che manifesta durante la lunga vigilia del golpe, quando scavalca coloro che lo avevano preparato. La pretesa apertura del "dialogo" con l'opposizione (1983), poi, è la prova di una intelligenza della politica eccezionale. E ancora egli possiede l'intelligenza del potere militare avendo plagiato l'esercito con un'abile alchimia di promozioni e corruzioni». Pinochet ha viaggiato poco (Stati Uniti ed Ecuador), non sembra conosca altra lingua se i non lo spagnolo ma è un letto¬ re instancabile. Sul suo comodino c'è una biografia di Luigi XIV e il Che fare? di Lenin (l'odiato nemico del quale ha peraltro adottato certi metodi). Ma il libro sul quale si è formato ideologicamente è Historia de Chile (venti volumi) scritto «per preparare culturalmente l'instaurazione d'un regime autoritario», come spiega nella prefazione l'autore, Francisco Antonio Encina. A ben pensarci, Pinochet è un uomo multiforme, «sonnambulo del suo ruolo», come scrive Armando Uribe. Un tenero nonno, un padre affettuoso, un marito galante, che scandisce la sua giornata col cronometro: 15 minuti di lettura, mezz'ora di ginnastica, etc. Il Pinochet inflessibile è un Pinochet sottile che muove, abilissimo, le sue pedine senza consigliarsi con nessuno: crede solo in se stesso, nel suo istinto di «uomo del destino». Il Pinochet privato o quello che parla coi giornalisti, con gli ambasciatori, coi vescovi adopera un eloquio spesso fiorito e sempre forbito; suitico militar per dirla alla cilena. Il Pinochet che arringa le folle, invero mai troppo numerose ancorché precettate, e che mastica petardi in tv, impiega un linguaggio rozzo, sull'orlo del turpiloquio. «La stessa esistenza di Pinochet è una bestemmia — mi ha detto un giorno un altissimo prelato cileno —, ed io. Dio mi perdoni, ogni notte prima d'addormentarmi prego che muoia presto, magari d'infarto». L'imboscata dell'8 settembre ha fugato ogni speranza di un facile o rapido ritorno alla democrazia in Cile. Gli spazi per una mediazione politica appaiono | invero angusti. Igor Man Augusto Pinochet a Messa nella cattedrale di Santiago