Quelle tigri con i calzini corti

Quelle tigri con i calzini corti DOVE VANNO LE DONNE GIAPPONESI: L'EMANCIPAZIONE DIFFICILE Quelle tigri con i calzini corti E' ancora forte il mito nipponico della donna bambina - Tra i diciotto e i ventiquattro anni, le «burikko» si travestono da scolarette per rassicurare l'uomo - Ma non sono felici: o arrivano subito al matrimonio, spesso combinato; o si buttano nel lavoro - Se sono brave, la tribù maschile le isola come rivali - «Vuoi importi? Fai capire a tutti che hanno a che fare con una vecchia maligna» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — Il direttore della sezione cultura del ministero dell'Educazione si chiama Shumon Miura, è un noto scrittore sulla sessantina, sposato con una nota scrittrice cattolica, Ayako Sono. Questo signore l'anno scorso si è imposto all'attenzione generale per aver detto: «Un uomo si considera finito quando non è più fisicamente in grado di violentare una donna». Vi sono state proteste, garbale e no, da parte di uomini e di donne. Sua moglie, che è una «presenzialista-, sempre disposta a dire la sua su divorzio, aborto, famiglia ed è un'apostola della maternità e della santa vita coniugale, ria preferito tacere. Miura si è difeso dicendo che voleva semplicemente alludere alla tristezza dell'incipiente vecchiaia, lui non ha mai usato violenza a nessuna donna, si è espresso così soltanto perché è un modo di dire. E di pensare? Si direbbe disi. Ma quando è die una donna si sente finita, fuori gioco? Per Keiko Iguchi, autrice di numerosi libri sulla condizione femminile, la donna giapponese ha la durata di vita media più corta del mondo, ventitré anni: «Le statistiche dicono che è di 79,66 anni, ma in realtà gli anni in cui una donna vive davvero sono poco più di una ventina. In una scuola media una mia amica insegnante ha dato alle allieve il tema "I vostri piani per il futuro". Ebbene, la maggioranza delle ragazze si sono dilungate a descrivere i loro progetti fino all'età di ventitré anni concludendo che da quel momento, siccome si sarebbero sposate, tutto dipendeva dal marito, non c'era più bisogno "di darsi pensiero"». Mi chiede una ragazza di venticinque anni se da noi è «ero che, dopo aver avuto uni figlio, una donna pu'6 continuare a lavorare oamtrprima. 'Le dico di siTòfie molte volte dipende da una scelta personale ma che nulla osta. Mi guarda perplessa e commenta: «Ma un'impiegata non può riprendere il suo posto dopo che ha avuto un figlio. E' troppo vecchia, non è più attraente...». Un anno fa è entrata in vigore una legge che proibisce la discriminazione sul lavoro in base al sesso: una legge assai criticata perché non prevede nessun tipo di sanzioni contro i datori di lavoro che si rifiutano di applicarla. •Legge o non legge siamo sempre alle solite», dice una laureata in chimica che ha tentato inutilmente di farsi.-assumere da una coso farmaceutief^^ip"nòrt.ho avutici posto perché mi hanno detto che ormai dovevo pensare a sposarmi e che quindi era inutile investire su di me. Ho protestato dicendo che si trattava di discriminazione sessuale. Tranquilli e sicuri di essere nel giusto mi hanno risposto che per carità, non ne facevano una questione di sesso ma di età. Mi piacerebbe sapere come ci si può laureare in chimica prima dei ventitré anni». Ryoko Rato è una -donna in carriera', una fascinosa e elegante cinquantenne, dirige una sezione della Daiwa Security, ha sotto di sé una cin¬ , quantina di impiegati maIschi. Come è.riuscita a farsi strada? «Ho seguito il consigliò c,B^^'jià. dato.^op dei, nostri grandi capintesta: se vuoi importi fai capire a tutti che hanno a che fare con una vecchia brutta e maligna. Le dirò, il sistema ha funzionato, ma che fatica!», risponde con un dolce sorriso la signora Rato. Le più forti Evidentemente deve richiedere molto coraggio una simile scelta controcorrente in una cultura dove impera il mito della donna-bambina al punto che è stato coniato un neologismo, burikko, che significa «fingere di essere in- zcSfsN fantile*. Le burikko sono ragazze dai diciotto ai ventidue-ventiquattro anni che si vestono .e si comportano in modo da sembrare innocenti, birichine quel tanto che basta, sottomesse, dipendenti, delle brave adorabili scolarette dodicenni. A Tokyo si incontrano a frotte nel quartiere più frequentato dai giovani, Harajuko: hanno magliette con su scritto, per esempio. «Non vedo l'ora di arrivare alla pubertà», nastri nei capelli, calzini corti, orologi da polso con su Topolino o Snoopy. Saltellano, ridacchiano, camminano tenendosi per mano e facendo dondolare le braccia su e giù, avanti e indietro... Niente in loro è spontaneo, ingenuo, fresco, ogni gridolino estatico e ogni particolare dell'abbigliamento sono invece frutto di ricerca esasperata, di imitazione del modello della «diva adolescente* imposto dalla televisione, e non ci vuole molto a accorgersene ma è proprio questa messinscena che piace. In realtà le burikko sono, nella loro fascia di età, le donne più forti e più esperte, socialmente e sessualmente, delle tigri travestite da cucciolone. Hanno capito che quello che conta è creare un'illusione che solletichi la fantasia e rassicuri l'uomo, sono la versione più moderna e sofisticata, forse con una punta di ironia, dell'immagine della donna giapponese tradizionale, tanto saggia e tanto «giapponese* da non essersi fatta accalappiare nella rete del femminismo che, come ha detto la sociologa Chie Nakane, è un'importazione straniera, del tutto incompatibile con la tradizione culturale giapponese. Finzione Ma sono davvero felici e realizzate queste donne per le quali il femminismo dei primi Anni Settanta è passato, dicono, come una nuvola passeggera? «Lo sono fino a ventitré, venticinque anni al massimo», dice una delle esponenti di un gruppo femminista sopravvissuto, «ma poi è tutta una finzione, spesso molto dolorosa». Cosa vuol dire "realizzarsi"?», si domanda Mitsu Tanaka, teorica del femminismo giapponese. «Quello che voglio non è un marito o un bambino. Voglio avere un'anima più forte per potermi consumare nella disperazione o nella tenerezza, questo io voglio». Le burikko hanno probabilmente un'anima forte ma non si consumano a nessun fuoco, neanche a quello dell'amore. Come la massima parte delle ragazze giapponesi aspettano di arrivare al matrimonio che è una cosa seria e combinata dalle famiglie — ancora oggi più del 50 per cento dei matrimoni sono combinati da matrone mediatrici, con scambio di fotografie di «lei* a «lui* e viceversa, nonché di estratti dei rispettivi depositi bancari — e intanto giocherellano con l'amore, hanno i loro flirt. Ma arrivate ai venticinque anni devono sposarsi, altrimenti vengono espulse dalla tribù femminile. «Cosa vuole, ormai ho ventotto anni e ancora non ho trovato marito. L'unica per me è buttarmi sul lavoro», mi dice una laureata in sociologia. In effetti le donne die lavorano dopo aver superato l'età da marito sono fuori dalla tribù delle donne e fuori da quella degli uomini. Non vivono in «separatezza* ma in isolamento. Lo spiega bene Tomoko Murata, una quarantenne che dirige la sezione «creativo» della Dentsu, una delle maggiori agenzie di pubblicità e pubbliche relazioni del Giappone: «Quando ero giovane non davo importanza al fatto di essere uomo o donna, sul lavoro intendo. Però con il passare del tempo mi sono accorta che gli uomini diventano odiosi verso le donne che hanno superato i trentacinque anni perché le considerano delle rivali. E noi donne che lavoriamo siamo isolate, dei punti dispersi, non siamo riuscite a costituire una linea continua di relazioni come hanno gli uomini che tra di loro sono solidali. Ve li immaginate due uomini che camminano a braccetto per la Ginza scambiandosi confidenze? Direste subito: ma guarda quei due, sono di certo gay... Ecco, a me pare che nel mondo del lavoro tutti gli uomini siano gay, è un mondo di omosessuali. Che fare? Poco. Per ora noi donne possiamo soltanto diventare;delle allegre guerrigliere. delle franche tiratrici. Ognuna-co- minci a sparare per conto suo alle schiene maschili, senza fare troppo chiasso. Ogni colpo di fucile è un piccolo buco e se continuiamo a sparare cosi di nascosto e in aUetiia per un centinaio d'anni, forse magari il mondo cambierà • Disperate Questa è l'opinione della s.' gnora Murata ci<e ha l'aria di scherzare ma mica poi tanto Ad ogni modo è più ottimista di una ex giornalista settantenne, femminista della prima ora, la quale per anni ha curato le. rubrica della posta del cuore su une dei più diffusi mensili femminili del Giappone. «La mia esperienza si ferma a cinque anni (a, mi dice, ma non credo che le cose siano molto cambiate nel frattempo. Spesso ricevevo lettere di ragazze disperate le quali mi scrivevano :he il loro unico desidero era essere indipendenti, libere. Che non potevano tollerare il maschilismo degli uomini, la loro brutale scortesia. Allora cercavo di capire che tipo ui ragazze erano e se mi convincevo che erano intelligenti sul serio e con una forte personalità, davo in privato un consiglio "antigiapponese", che l'Imperatore mi perdoni... Sposate uno straniero, consigliavo. A quelle che non mi sembravano forti fino a questo punto consigliavo invece di garantirsi per lo meno l'indipendenza economica tramite il lavoro, anche se purtroppo sapevo bene che una simile soluzione è provvisoria. Perché? Ma perché se è facile trovare un posto per una donna giovane, è difficile conservarlo quando si diventa una donna matura. Le impiegate da noi si chiamano "fiori d'ufficio", lo sapeva? Sì? Allora ha capito cosa voglio dire». Renata Plsu '• <finb;- ^precèdenti'articoli dell'inchiesta sono apparsi* il 3 é'ìI-19 agosto). Tsukuba. Foto di gruppo per le hostess di Science City. «Se è facile trovare un posto per una donna giovane, è difficile conservarlo quando si diventa una donna matura» (Foto Jupan pictorial)

Persone citate: Ayako Sono, Dove, Keiko Iguchi, Miura, Rato, Ryoko Rato, Tanaka

Luoghi citati: Giappone, Tokyo