«Assolvete Califano non ci sono prove»

«Assolvete Califano, non ci sono prove » Napoli, il legale del cantautore contesta le rivelazioni del pentito Melluso «Assolvete Califano, non ci sono prove » NAPOLI — 'Non potete condannare un uomo sulla base delle fantasticherie di un divoratore di visceri umani...»: Vincenzo Siniscalchi, uno del maggiori penalisti napoletani, per una volta sceglie i toni forti e i giudici del processo d'appello alla «Nuova camorra» lo ascoltano un po' sorpresi. Qualche banco più in là, vestito d'azzurro, gli immancabili occhiali scuri. Franco Califano invece annuisce. L'avvocato sta parlando di lui, dell'unico imputato di rilievo che in appello abbia visto il procuratore generale chiedere non uno sconto, ma un aggravamento di pena. Quattro anni e mezzo in primo grado come spacciatore di droga, ma non camorrista: secondo il p.g., Armando Olivares, il cantautore invece oltre a trafficare in cocaina era anche organico alla camorra, e dunque va condannato a sei anni e 30 milioni di multa. Ma le accuse, chiede Siniscalchi, da chi provengono? Sempre dalla stessa fonte, Gianni Melluso. Il «divoratore di visceri» sarebbe lui: un calunniatore di professione che, insiste l'avvocato, nel caso di Califano ha lanciato accuse che si sarebbero rivelate false se solo qualcuno si fosse preso la briga di verificarle. «Se si assolve Califano bisogna assolvere anche Enzo Tortora», aveva sostenuto il procuratore generale nella requisitoria: l'avvocato si batte subito per demolire quésto assunto. 'Personalmente — dice — sono convin¬ to che anche Tortora sia innocente, ma legare le due posizioni non ha senso». Anche Siniscalchi, come già per Tortora avevano fatto Raffaele Della Valle ed Alberto Dall'Ora, dedica però buona parte del suo intervento alla critica di un'istruttoria 'naufragata nei marosi delle sentenze che si sono succedute in questi mesi» ed al pentitismo, 'Condizionamento fatale di questo processo». Nell'inchiesta seguita al famoso «blitz» dell'83, secondo il difensore «sono state capovolte le regole del diritto naturale, si è generata una vera e propria eclisse della giustizia napoletana». Per dodici, lunghi mesi «é parso quasi che il nostro Paese avesse delegato ad una masnada di delinquenti cinici e senza scrupoli un'impossibile gestione della giustizia: ora bisogna definitivamente spezzare questa spirale, restaurare la ragione ed il diritto». La ragione, afferma il legale, dimostra adesso che le accuse lanciate contro Califano da «Gianni il bello» sono palesemente false, 11 diritto che dev'esserci assoluzione piena. »Se si fossero verificate le prove, si sarebbe visto che Melluso, nel 78, non poteva consegnare al mio cliente tre "partite" di droga, perché all'epoca era detenuto. Né, qualche mese dopo, avrebbe potuto farlo assieme con Luigi Moccio, perché allora era Moccio, a trovarsi in carcere. Melluso inventa una solidarietà con Turatello che non era mai esistita, ed ha buon gioco ad accusare Califano: ma il solo motivo è che questo "cantante maledetto" era, lui si, amico di Turatello, e non ha mai nascosto questo legame». Melluso, continua Siniscalchi, rivela tutta l'inconsistenza delle sue accuse quando i verbali d'interrogatorio lo vedono scendere in dettagli: •Dice il falso quando descrive il locale di via Veneto in cui la prima consegna sarebbe avvenuta; dice il falso quando descrive l'ubicazione dell'Hyppopotamus, il locale di Califano; dice il falso quando fi tenta di descrivere la casa del mio cliente». Le parole di altri «pentiti» valgono poi come riscontri in negativo: perché né Pasquale Barra né Giovanni Pandico, nonostante i lunghi elenchi di camorristi, parlano mai di Califano come aderente alla «Nco»? E come spiegare, se non con un autentico moto di disprezzo, i giudizi che su Melluso hanno espresso D'Agostino, Sganzerla, Catapano? Resta, è vero, 1' accusa di Pasquale D'Amico: è lui ad affermare che nel '78 un'esi¬ bizione del cantante a Secondigliano venne ricompensata con 250 grammi di cocaina. «Afa in appello, quando poi si è fatto qualche accertamento, è stato facile stabilire che quella sera Califano cantò solo una canzone: 250 grammi di cocaina, non sarebbero stati, dunque, un compenso spropositato? É quali sono, poi, i dettagli forniti da D'Amico a sostegno dell'accusa, i riscontri, i riferimenti?». Secondo Siniscalchi, dunque, contro Califano resta nulla, se non l'insidia che ancora una volta gli è stata tesa». Il cantante «è stato coinvolto in un'accusa che si credeva di poter coltivare facilmente solo perché rivolta contro un "diverso", un ribelle, un anticonformista, che di sé ha sempre dato l'immagine del "maudìt", dello chansonnier nero». L'assoluzione, ha concluso, dev'essere dunque con formula piena: 'Solo così si potrà risarcire il gravissimo danno di una carcerazione ingiusta». Tradito da una punta d'emozione, Franco Califano ha lasciato l'aula di Poggioreale dopo un brevissimo commento : «Non vedo l'ora che questa storia finisca: lo sanno tutti, ormai sono due armi che non prendo più droga, vorrei fare una vita più tranquilla...». Le arringhe prose gu Iranno ancóra oggi e domani: venerdì, infine, le ulti, me repliche e la camera di consiglio. Per quel giorno, Enzo Tortora ha fatto sapere che tornerà in aula.

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