I nostri soldi

I nostri soldi di Mano Salvatorelli I nostri soldi di Mano Salvatorelli cDopo aver sudato le fatidiche sette camicie, siamo • riusciti, mia moglie ed io, a un'età non più verde, ad acquistare un alloggetto. a prezzi che in Riviera sono di speculazione, e non di mercato, per cui lascio immaginare quali e quanti sacrifici ci siamo imposti, per lunghi anni, in quanto svolgiamo il lavoro di modesti impiegati». Questo inizio, deamicisiano. è del signor Giovanni Maccario, di Ventimiglia. che mi autorizza a pubblicare il suo nome per esteso, "perché — afferma con orgoglio — sono in regota con il fisco e con la coscienza». Non mi sembra il caso, pertanto, di turbare questa invidiabile serenità con una discussione sul fatto che i «prezzi di mercato» possono anche contemplare la «speculazione», se chi vende approfitta, ovviamente, del fatto che in certe località, come può essere Ventimiglia. i prezzi sono più alti che, poniamo, a Vicovaro nel Lazio. Ma non è questo il motivo della lettera del signor Maccario, che sarà bene continuare a leggere. «Alla successiva realizzazione di un altro gruzzolelto — prosegue il lettore, sorvolando questa volta sui relativi sacrifici — si poneva il problema di un suo conveniente impiego, e per tale scopo ho "scroccato" ipareri che lei diffonde da questa rubrica (ma, appunto, perché vengano "scroccati", n.d.r.). Quindi, è il caso di dire che dei suoi consigli ho fatto tesoro (piccolo), così ripartito...». E qui segue l'elenco di un modesto «ventaglio» di investimenti, per una sessantina di milioni complessivamente, che mi sembrano molto ben assortiti, ma che preferisco non riportare per non fare pubblicità né torto ad alcuno. All'improvviso, però, sulla serenità e l'oculatezza del nostro lettore appare l'ombra del dubbio. «E' mia intenzione, però — afferma, con un sussulto d'insofferenza, quasi un grido di libertà —, scrollarmi di dosso questa stramaledetta abitudine al risparmio a ogni costo, ed essendo prossimo alla pensione, con la ristretta liquidazione d'impiegato pub- letto già da parte, non debba preoccuparsi d'una eventuale nuova crisi economica mondiale. Alla quale, tanto per concludere, io non credo affatto. Colt e fisco La signora Liliana La Pietra, di Torino, sessantenne, parzialmente invalida, separata dal marito e con due figli universitari conviventi, mi scrive una lunga lettera per illustrarmi la sua situazione e domandarmi se non può essere considerata «datrice di lavoro e in tal modo avere la possibilità di scaricare dalla dichiarazione dei redditi stipendio e contributi» relativi a una collaboratrice domestica fissa che ha in casa da trent'anni. La signora Liliana aggiunge che, a parte il suo caso, «costituito da ragioni affettive e di salute, vi sono donne lavoratrici per le quali, fissa o a ore, una colf è indispensabile». E conclude: «Per favore, mi direbbe cosa ne pensa?». Cara signora, la penso come lei. Però, la legge, una delle tante che precedettero l'entrata in vigore della riforma tributaria del 197374, la pensa diversamente, escludendo domestici e portieri dalle categorie di lavoratori dipendenti i cui rispettivi datori di lavoro possono essere considerati tali anche agli effetti fiscali. Ciò fu fatto, almeno ufficialmente, per esonerare questi anomali «datori di lavoro» dall'obbligo di tenere il libro matricola, il libro paga, eccetera, compreso il conferimento al dipendente del modello 101 per la denuncia dei redditi. In pratica, però, c'era e c'è tuttora il rovescio della medaglia, e cioè l'impossibilità di scaricare le spese sostenute. L'argomento è stato più volte oggetto di polemiche, anche perché queste somme finiscono, invece, per avere una doppia imposizione: la prima come redditi imponibili del datore di lavoro, la seconda come redditi delle «colf», che pur devono denunciare a loro volta quanto guadagnano. Non è escluso che, un giorno o l'altro, una soluzione equa si trovi.

Persone citate: Giovanni Maccario, Maccario, Mano Salvatorelli

Luoghi citati: Lazio, Torino, Ventimiglia, Vicovaro