Correggio e i Carracci verso il mondo

Correggio e i Carracci verso il mondo SI APRE OGGI UNA GRANDE MOSTRA A BOLOGNA: CAPOLAVORI DELL'EMILIA SVELANO IL '500 E IL '600 Correggio e i Carracci verso il mondo BOLOGNA — Dagli inizi di Correggio a quelli di Giuseppe Maria Crespi alla fine del '600: Nell'età di Correggio e dei Carrocci, 199 dipinti emiliani dai maggiori musei e collezioni d'Italia, d'Europa e degli Stati Uniti cominciano oggi, dalle sale del Museo Civico Archeologico e da quelle riunificate della Pinacoteca Nazionale e dell'Accademia, un viaggio che approderà, dopo i due mesi di esordio nella «Felsina pittrice» esaltata e saccheggiata dai principi e dai banchieri d'Europa nel '600 e '700, alla National Galicry di Washington e al Metropolitan di New York. E' un esordio e un viaggio che possono una volta tanto inorgoglire la nostra cultura d'arte moderna nei confronti di quella internazionale, per più ragioni. Innanzitutto perché, in una misura nettamente superiore a precedenti iniziative riferite ad altre «scuole» storiche italiane, si attua in questa occasione una vera e sostanziale reciprocità di scambio fra il patrimonio rimasto in patria e quello emigrato nei secoli: una reciprocità che negli ultimi decenni è sempre stata auspicata ma quasi sempre frustrata. In secondo luogo perché questa mostra proporrà al pubblico internazionale, con assoluta ricchezza e concretezza viva di capolavori, il risultato e la sintesi di decenni di studi e di manifestazioni espositive, soprattutto bolognesi, che avevano visto protagonisti Roberto Longhi, Cesare Gnudi, Francesco Arcangeli, Carlo Volpe (e oggi Andrea Emiliani), affiancati da illustri studiosi stranieri, da Mahon a Freedberg. Quegli studi, quelle mostre hanno progressivamente riedificato e restaurato, dopo il secolo di totale ripulsa romantica, gli edifici, gloriosi nell'Europa delle corti, della «maniera parmense» nel '500 e della «scuola bolognese», imperante fra la patria e Roma nel '600, più tardi nelle accademie del classicismo europeo. Il Vasari, gran propagandista dell'arte tosco-romana, non potè non rilasciare al Correggio la patente di primo maestro «moderno» in « Lombardia» t cioè nel Nord padano, terzo, nella sequenza delle Vile dei rivoluzionari dell'avanguardia cinquecentesca, dopo Leonardo e Giorgionc. Due secoli dopo, il giovane Boucher, certo avendo negli occhi e nella mente la Leda allora in possesso del Reggente Filippo d'Orléans, volle far tappa a Parma nel viaggio in Italia; e ancora più tardi, nel segno ulteriore del Centonovantanòve dipinti «tei maggiori musei e collezioni d'Italia, d'Europa e degli Stati Uniti - Per due mesi sono esposti al Museo Civico Archeologico e alla Pinacoteca Nazionale - Poi andranno alla National Gallery di Washington e al Metropolitan di New York Un eccezionale scambio fra il patrimonio rimasto in patria e quello emigrato nei secoli - La sintesi di decenni di studi e di mostre Due tra le 199 opere da oggi esneoclassicismo, anche Antonio Raffaello Mengs dirà, degli «angelotti» della Camera della Badessa, che «si accostano più al bello dei Greci, che nessun'opera dei moderni». Sacri dolori Poi, nel '600 e '700, Bologna e l'Europa. Jabach, il gran banchiere di Luigi XIV, possedeva, o riteneva di possedere, 362 disegni attribuiti ai Carracci; Filippo d'Orléans, nel 1727, 28 Annibale Carracci, 18 Guido Reni, 8 Domenichino; Lord Burlington, il gran patrono del classicismo palladiano inglese, sborsava nel 1715 la cifra più alta.per un singolo quadro, 1500 corone, per portarsi a casa da S. Maria della Vittoria a Roma la Madonna della rosa del Domcnichino. Dall'egemonia nella Fontainebleau di Francesco I, dopo il Rosso Fiorentino, di Prima¬ poste a Bologna: Correggio, «Laticcio e Niccolò dell'Abate, fino al '700 di Parigi, Londra (e Vienna, e Dresda), grandi e solide ragioni di storia dell'arte occidentale presiedono dunque a questa apertura bolognese di un sontuoso spettacolo finalmente offerto, e non ricevuto da oltreconfine. Ed è subito da dire che la sontuosità non è estrinseca, in quanto la ragione spettacolare non prevale mai sul significato e la pregnanza delle scelte: scaturisce, per gran forza, insieme; di intelligenza acuminata, p, pensosa e di «naturalità» pittorica* da una trama policroma che lega con nodi, qui dolci di affetti, là robusti di orgoglio e di gloria, una «emilianità dell'arte emiliana» di due secoli. Ne traccia un ricco profilo Giuliano Briganti ad apertura di catalogo (a cui sento di dover muovere un solo appunto: l'aver troppo sottinteso la grandezza di Ludovico Carrac- amento sul Cristo morto» (Parmai * e e o a a II percorso di sede in sede, a nuclei scanditi, ora serrati ora ampiamente distesi nelle sonorità imponenti dai Carracci agli estremi di Reni e Gucrcino, aiuta il visitatore a seguire quella trama e quei nodi da un secolo all'altro. Penso al rapporto di intimità psicologica ed emozionale fra la conturbante «dolcezza» di sacri dolori nelle due stupende piccole pale del Correggio, con il Compianto di Cristo e il Martirio ai quattro santi della Galleria di Parma, e il Martirio di Sant'Agnese del Domenichino alla Pinacoteca Nazionale, che tale intimo nodo preserva pur nella oratoria pietistica a dimensioni colossali. Ed è ancora più conturbante l'eredità formale fra le lamine di argento gemmante di capolavori del Parmigianino (la Sacra famiglia di Capodimonte a Napoli e il San Rocco di S. Petronio a Bologna, con la loro indistinzione efebica fra , Galleria Nazionale) e. a destra, femminile e maschile; la Caduta di San Paolo concessa da Vienna, con l'incredibile cavallo dalla gualdrappa di ermellino pronto a trasformarsi in unicorno) e l'esangue spiritualizzazione dei modelli statuari classici nell'ultimo Reni, VAnima beata della Pinacoteca Capitolina di Roma o la Sacra famiglia di collezione privata, che addirittura preannunciano Fiissl: o Blake. Quell'Ulisse - Altri legami sono proposti ex novo dalla mostra stessa, come nodi critici di affascinante complicazione. Penso ad esempio alla comparsa, accanto alla preziosissima Annunciazione di Napoli del cugino e prosecutore del Parmigianino, Girolamo Bedoli, di una «variante» in piccolo formato del Metropolitan di New York, attribuita in catalogo, dubitativamente, al Parmigianino stes¬ Ludovico Carracci, «Il sogno di so, ma che in questa occasione è comunque da confrontare con lo* Sposalizio di Santa Caterina di collezione privata, in cui genialmente l'Arcangeli individuava gli esordi «parmensi» del giovane Ludovico Carracci. Nel percorrere trama e nodi di due secoli il visitatore della tappa bolognese d'esordio è favorito dall'integrazione della mostra con il patrimonio «stabile» della Pinacoteca Nazionale. E gli sarà dunque di grande utilità, pur con un sovrappiù di spostamento; premettere al tutto una sosta, nelle sale della Pinacoteca non coinvolte dalla mostra stessa, davanti alla Pala del Tirocinio di Amico Aspertini, alla Santa Cecilia di Raffaello e all'unico capolavoro del Parmigianino rimasto nella terra d'origine, la Madonna di Santa Margherita. Passando allora al Museo Civico Archeologico, sarà me¬ Santa Caterina» (Washington, Nglio introdotto all'esordio della mostra, alle opere giovanili del Correggio, fra cui i Quattro santi del Metropolitan di New York non mi sembra possano essere stati dipinti prima dell'arrivo a Bologna, nel 1515-16 appunto della Santa Cecilia di Raffaello. Poi, le elettissime forme del Parmigianino, del Bedoli. E le loro conseguenze nella prima grande internazionalità di Fontainebleau, con la distillata astrazione di Ulisse e Penelope del Primaticcio dal Museo di Toledo, Ohio, e l'ariosa favola di natura del Ratto di Prose/pina di Niccolò dell'Abate, già nato in Francia e oggi al Louvre (ancora una volta da integrare, in Pinacoteca, con le Storie ariostesche staccate da palazzo Zucchini Soli mei). A contraltare, dense di fluidi cromatici veneto-ferraresi e di bizzarri ermetismi cari all'ultima cultura delle corti dell'Italia Settentrionale, sono affluite National Gallery, particolare) a e i a dal Metropolitan di New York, da Ottawa, da Graz, dal Museo Getty di Malibu le «favole» di Dosso Dossi. Guido Reni Questa vena eterodossa si prolunga negli stravolgimenti luministici, fin quasi ai limiti del Greco, delle tipologie di Correggio e Parmigianino da parte di Lelio Orsi. A conclusione di questa prima sezione cinquecentesca spiccano ancora la vivacità dello Scarsellino, con lo stupendo Martirio di San Venanzio da Houston, il verismo compatto e violento fino al grottesco del Passerotti, di grande peso per il giovane Annibale Carracci, — è mirabile il Gentiluomo con cani dal musco di Providence, Rhode Island — e l'unica nobilissima pala del grande e ancora troppo poco noto Bartolomeo Cesi, già pensosa sui modelli di Ludovico Carracci ma anche aperta verso il futuro del Reni. Nelle sale della Pinacoteca Nazionale è il «nucleo forte» della mostra, che segue passo passo, spesso anno per anno, la gran vicenda dalle scaturigini dei Cartacei al flusso, fino a metà secolo e oltre, di Domenichino, Guercino, Reni, Albani, fiancheggiati dai grandi comprimari, Tiarini e Lanfranco, Cavedone e Cantarmi. Qui dà pieno frutto l'integrazione fra gli arrivi in mostra e le presenze in Pinacoteca, alcune delle quali, come il grande stendardo su seta della Peste di Guido Reni, rivelate nell'occasione dai restauri (di ben 47 opere, per mezzo miliardo, prevalentemente della Montedi son). Alcuni arrivi sono eccezionali per qualità e interesse nel percorso degli artisti. Per Annibale giovane contano le due versioni del Ragazzo dx beve e la piccola Macelleria del museo di Fort Worth, per la nascita del suo classicismo proteso fino a David la Toilette di Venere da Washington, e per le matrici stupendamente reali del suo paesismo annunciatore di Poussin il Paesaggio anch'esso da Washington. Per Ludovico, dopo una prima attribuzione allo stesso Annibale giovane, la stupefacente crudezza da Sacro Monte della Flagellazione da Douai e la suptema dolcezza neocorreggesca del Sogno di Santa Caterina da Washington. Per Reni, il trionfante Nesso e Dcjanira del Louvre e una seconda versione del Davide e Golia del Louvre, appena riemersa dal mercato inglese. Per Guercino. il Sansone catturalo dai Filistei dal Metropolitan di New York, al massimo livello di violenza naturalistica protobarocca, e per Domenichino il vertice della Santa Cecilia del Louvre. infine, disceso nelle sale dell'Accademia, il visitatore potrà ammirare i bellissimi episodi collaterali del gemmeo Bartolomeo Schtdoni, mirabilmente incerto fra Maniera del passato e sodezze navalistiche, e dell'erotismo classico di Guido Cagnacci, ricercato da Venezia fino a Vienna, da cui viene la «dolcissima» Morte di Cleopatra, veramente degna di un postribolo imperiale; per arrivare allo scorcio fra i due secoli, con il furibondo scatto di violenza del giovane Giuseppe Maria Crespi nella Tentazione di Sant'Antonio da S. Nicolò degli Albari di Bologna, le gemmee sontuosità dei Burrini, il precoce sfociare della Tradizione classica in puro neoclassicismo nelle due tele di Marcantonio Franceschi™. Marco Rosei