«Spari nel buio urla poi la fuga»

«Spari nel buio, urla, poi la fuga» Intervista agli italiani: una di loro ha smascherato il pirata che fingeva d'essere un ostaggio «Spari nel buio, urla, poi la fuga» Michele Colombo: «Non ho visto scappare l'equipaggio, ma è stato un tradimento. Il capo dei dirottatori ci tranquillizzava nella nostra lingua» - Giulio Bortolussi: «Sdraiato ai piedi d'un terrorista, gli guardavo la pistola. Poi ho capito, bisognava tentare» - Trecento metri di corsa, «i più lunghi della mia vita» tremolare, poi si sono spente. Generatore scarico, pensavo: staccare la corrente è tutt'altro. Avevamo dovuto abbassare le tendine alcune ore prima, dopo aver consegnato i passaporti. Nell'oscurità più completa 1 4 ci hanno fatto distendere per terra. Quindi l'ordine, urlato. Li ho visti lanciare le bombe prima di impugnare i mitra. Erano a basso potenziale, altrimenti non sarei qui. Non so se volessero ammazzarci tutti. Ma qualcuno, credo le hostess, era riuscito frattanto ad aprire i portelloni d'emergenza, quelli con gli scivoli: ci siamo buttati fuori». Aggiunge Bortolussi, bocconiano, anche lui nel gruppetto dei sei: «La fuga non è stata istantanea. Io mi trovavo in coda all'aereo, con Monica Giannini, sdraiato ai piedi d'un dirottatore. Se faccio un passo ci ammazza, pensavo. Teneva la pistola alla cintola, continuavo a guardarla. Poi ho capito che bisognava tentare. E' andata bene». — Incubo finito. «No — dice Colombo — sono iniziati i trecento metri più lunghi della nostra vita. Fuori dall'aereo era buio pesto, non un riflettore. La hall sembrava lontanissima, e dietro di noi crepitavano ancora le armi. Una corsa cuore in gola, interminabile. Poi c'è venuta incontro la polizia, abbiamo visto le ambulanze in movimento». — £ i reparti speciali? Quelli che si accingevano al blitz e sarebbero intervenuti subito dopo la sparatoria? «Mi sembra proprio non ci fossero. Le detonazioni sono cessate quando ero a una cinquantina di metri dal jet. Ho scorto agenti e soldati, ma la parola assalto è ingiustificata». — Eppure i primi resoconti parlano di due terroristi rimasti uccisi. «Non posso confermarlo, ma altri 2 erano riusciti a infilarsi tranquillamente nel gruppo del fuggitivi. Si, volevano camuffarsi da ostaggi». «Uno stava incollato al gruppetto italiano, nella hall — s'intromette Bortolussi —, sperava di farla franca, aiutato dalla confusione: niente luce, per un black-out, e grida ovunque. Ma una-di noi — no, non so dirle chi (sembra fosse Alessandra Bettole milanese, 23 anni, studentessa d'architettura) — l'ha riconosciuto, incredula. Una dura colluttazione, poi gli agenti sono riusciti a trascinarlo fuori». — E le vittime, i feriti? «C'era troppo caos per contare — risponde Colombo — ma vedevo sangue ovunque. Ci hanno portati via, fortunatamente. L'ambasciata d'Italia è riuscita a trovarci una sistemazione, al resto penseremo quando fa giorno». — Ritorno? «Appena possibile, ma prima vogliamo buone notizie sui ricoverati. Non si sa ancora nulla di certo, neppure se utilizzeremo voli di linea o manderanno a prenderci un aereo speciale. Ora devo mettere giù, a risentirci in Italia». Le testimonianze degli altri ostaggi italiani confermano questa versione. Ursula Fait, 25 anni, amica di Michele e Giulio già sui banchi di scuola, sonnecchiava quando 1 pirati sono saliti a bordo. «Ho impiegato qualche attimo a rendermi conto della situazione. Stavo chiedendo notizie a un vicino: mi sono vista puntare alla fronte la canna d'un fucile mitragliatore. Era il capo, voleva ci alzassimo, mani in alto, per ammassarci nel corridoio centrale. La tensione era enorme, poi ha cominciato ad allentarsi. Apprezzavano il nostro comportamento, ce l'hanno fatto capire. Anche per I servizi igienici, nessun problema: bastava ci alzassimo a turno. Il tempo trascorreva lento. Qualcuno ha tirato fuori le carte, si è messo a giocare. Poi buio, e gii spari. Hanno cominciato tutti ad urlare e piangere. Ho visto uno spazio vuoto davanti. Ero vicino alla cucina, mi sono gettata avanti. Qualcuno aveva aperto un'uscita di emergenza: la salvezza». Nella hall, ad attendere gli ostaggi c'era anche l'ambasciatore d'Italia, Amedeo de Franchis, giunto a Karachi da Islamabad. Con lui, il console generale Salvatore Corsini. «Entrambi hanno seguito con trepidazione la vicenda» spiegano alla sede diplomatica italiana. «Adesso (ore 02 italiane, le sei in Pakistan) sono dai feriti». E' stato lo stesso de Franchis, verso l'alba, a rassicurare quanti chiedevano notizie. «Tutti salvi. Solo Maurizio Castelli e Virginio Carati hanno riportato lesioni, ma non gravi». L'ambasciatore ha discorso lungamente con gli italiani, le loro testimonianze — afferma — concordano. «L'energia elettrica era terminata, i dirottatori, forse temendo un attacco, hanno fatto fuoco. L'equipaggio, che pare essersi comportato molto bene, è riuscito ad aprire i portelloni d'emergenza. Alcuni ostaggi si sono fatti male nella fuga attraverso gli scivoli. Non sono lesioni gravi, ma pur sempre lesioni. Il cancelliere della sede diplomatica italiana a Karachi Giovanni Moschetti parla di «grossa confusione. I momenti più difficili li abbiamo trascorsi nel tentativo di rintracciare tutti i nostri connazionali. Per diverso tempo non siamo riusciti a capire dove fosse Virginio Carati. Sapevamo che Maurizio Castelli era in ospedale, ma c'è voluto tempo per rintracciare l'altro ferito». Anche la sistemazione in hotel ha creato qualche problema, e non solo agli italiani. Karachi dispone infatti d'una rete modesta: solo undici alberghi con telex (già il Midway ne è privo), difficoltà a trovare sistemazione nel cuore della notte, servizio talora approssimativo. Uno dei più lussuosi, il Metropole, ospita tra l'altro gli uffici Pan Am e i funzionari della compagnia si sono prodigati per alloggiarvi i passeggeri Usa. Quanto agli italiani, le autorità di sicurezza e consolari si sono trovate d'accordo nel cercare una sistemazione comune per tutti: meglio qualche scomodità in più — e ve ne sono, a sentire il racconto di Colombo — che spezzare un gruppo unito da diciotto, lunghe ore di panico. Enrico Benedetto Alessandra Bettole, 23 anni, milanese, ha fatto arrestare dalla polizia pakistana un terrorista che, scampato alla sparatoria, aveva tentato di scendere dall'aereo nascosto tra i passeggeri Ursula Fait, 23 anni, studentessa abitante a Milano che ogni tanto si dedica all'attività di fotomodella, era andata in India col fidanzato Enrico Amat di San Filippo, di origine sarda

Luoghi citati: India, Islamabad, Italia, Milano, Pakistan, Usa