La multinazionale del terrore di Igor Man

La multinazionale del terrore Un salto di qualità nelle strategie di chi punta a destabilizzare il Medio Oriente La multinazionale del terrore E' finita Fepoca dei «cani sciolti» - Dietro le sigle della « Jihad» e della «Resistenza islamica» la lotta senza quartiere contro i regimi arabi moderati e le prospettive di pace - Alle spalle di Abu Nidal l'ombra di una pista che porta a Damasco to l'inizio di un possibile processo di pace in Medio Oriente, che potrebbe svilupparsi a prescindere dalla «mano tesa» dell'Olp o, più probabilmente, sulla stessa pelle dei palestinesi. La multinazionale terroristica vuole terrorizzare i leaders arabi moderati con una sistematica spirale di destabilizzazione che non potrà, prima o poi, non comportare rappresaglie. E gli innocenti che ne patiranno le conseguenze saranno indotti a caricarne la responsabilità proprio su quei regimi moderati che considerano sia venuto il momento di rassegnarsi a convivere, in pace, con Israele. Avvitandosi su se stessa una simile spirale dovrebbe fatalmente condurre o a una nuova guerra araboisraeliana o alla caduta dei regimi arabi «traditori». L'ignobile attacco alla sinagoga è stato rivendicato dalla Jihad islamica. E' la sigla che i terroristi di matrice sciita, addestrati nella valle della Bekaa presidiata dalle forze siriane, usano per etichettare azioni «cL19timhacoa dAnurucaqla «contro interessi stranieri». L'attentato del 23 ottobre 1983 a Beirut, contro il quartier generale dei marines (241 morti), fu rivendicato alla Jihad islamica; anche quello contro i para francesi, sempre a Beirut (58 morti). Lo stesso dicasi per l'assassinio di Sadat. A corroborare la rivendicazione è venuto, successivamente, un comunicato, diffuso a Beirut, dalla «Resistenza islamica» che è il braccio armato di quel «partito di Dio», hezbollah, guidato dallo sceicco Hus¬ srsbcemctttmno sein Fadlallah che aspira al ruolo che fu di Mussa Sadr, lo scomparso leader degli sciiti libanesi. Il comunicato di Beirut dice che «l'azione contro il nido di eretici (la sinagoga) è perfettamente riuscita, grazie al sacrificio dei nostri martiri (gli attentatori, due, sarebbero stati entrambi uccisi dalla gendarmeria turca), ed è la risposta alla permanente aggressione israeliana nel Sud Libano (...). Colpiremo ovunque gli eretici, con qualsiasi Tutto dunque si tiene: l'azione di Karachi rivendicata prima dalle Cellule rivoluzionarie libiche e poi dalle Cellule rivoluzionarie arabe (sigla, questa, già adoperata da Abu Nidal) e prima ancora dai jundlallah, soldati di Dio — gruppo del martire Zulfikar Ali Bhutto (l'ex presidente pakistano impiccato dall'attuale) — e il massacro della sinagoga. Tutto si tiene perché il terrorismo praticato da una vera e propria multinazionale all'offensiva per destabilizzare un'area tra le più nevralgiche del mondo, all'offensiva per sabotare qualsiasi tentativo di negoziare una pace, non è quello diremo laico dei vari George Habbash o Nayef Hawatmeh. E' un terrorismo nuovo che nasce con la connection sciita. Esso si salda con l'esodo di Arafat dal Libano nel 1982, con l'alleanza tra l'alauita Assad e lo sciita Khomeini. Il terrorismo nuovo, o diverso, è il frutto dell'innesto, nella lotta armata palestinese, dell'ideologia del martirio che esalta la cosiddetta manovalanza del terrore. I figli della jil al-dai, la generazione perduta, dirottano aerei, massacrano innocenti, ieri a Fiumicino oggi a Istanbul, convinti con ciò di lottare per la causa palestinese nel nome di Dio. Cosi si spiegano le rituali richieste di rilascio dei tanti prigionieri palestinesi sparsi nelle diverse galere del mondo, che i vari terroristi avanzano. Chi li manda non vuole la liberazione dei patrioti, né una patria per i palestinesi. Vuole il caos. Ma chi li manda? Se Abu Nidal dovesse veramente essere, come sembra lecito pensare, il «presidente e amministratore delegato» della multinazionale del terrore, non dovrebbe risultare difficile risalire agli «azionisti». Si sa che Abu Nidal ha avuto un regolare ufficio nel centro di Damasco, almeno fino a non molto tempo fa. Si sa che Abu Nidal ha avuto, in Libia, campi di addestramento per i fedayn e generosi oboli ma si sa anche che, dopo la strage di Fiumicino, Gheddafi prese le distanze da Abu Nidal «perchè una cosa è la causa palestinese, un'altra l'assassinio di innocenti». Gli americani accusarono i libici di aver organizzato l'attentato alla discoteca di Berlino Ovest. Ma dopo l'incursione su Tripoli, ammisero che quei terroristi erano stati «coperti» da diplomatici siriani accreditati a Berlino Est. Intanto avevano picchiato su Gheddafi, mancandolo per un soffio mentre non si sa se avessero (o abbiano) intenzione di punire la Siria. Il fatto è che Gheddafi e in buona sostanza un «vantone», che, cosi imprevedibile com'è, preoccupa l'Urss (anche se a Mosca fanno gola i 2000 km di costa libica) mentre Assad, da abile uomo di Stato, non spreca parole. E, soprattutto, è un alleato vero, serio e importante di Mosca. Igor Man Istanbul. Nel reparto di terapia intensiva si cerca di salvare due feriti nell'attacco terroristico alla sinagoga (Telefoto Ap)