I mandanti invisibili di Aldo Rizzo
I mandanti invisibili I mandanti invisibili Dopo Karachi, Istanbul. Dopo il tragico sequestro del «Jumbo» americano, la strage nella sinagoga degli ebrei turchi: se è possibile, ancora più odiosa, perché segnata da un marchio antisemita di tipo nazista, fuori da ogni verosimile riferimento con i termini, anche i più aspri, della lotta politica nel Medio Oriente. Se si chiedevano le prove dei sospetti americani di una nuova ondata terroristica, queste sono venute, più tempestive e più gravi di quanto, probabilmente, gli stessi americani pensassero. Ma, forse, non era difficile fare simili previsioni, quando restava sostanzialmente intatta, nonostante gli attacchi militari alla Libia, la nebulosa del terrorismo mediorientale, fra gruppi suicidi più o meno spontanei e coperture più o meno velate di governi «militanti», non tutti politicamente passibili di rappresaglia militare (la Siria, l'Iran). Più difficile era ed è fare discendere dalle previsioni comportamenti veramente efficaci, eie.'. capaci d'individuare responsabilità precise e di punirle adeguatamente. Da molti anni ormai Israele segue il criterio di rispondere a ogni azione terroristica con contrattacchi massicci su accampamenti e basi che «dovrebbero» ospitare esecutori o mandanti. Di questo passo, è arrivato a bombardare il quartier generale dell'Olp a Tunisi. Ma il terrorismo non è finito, come si vede: anche quando sembra seriamente colpito, ricomincia a mietere vittime. Gli Stati Uniti hanno adottato lo stesso criterio più recentemente. Dopo il «raid» di aprile su Tripoli e Bengasi, è parso che essi potessero avere maggiore successo. Ma anche la stasi delle azioni criminose, indubbiamente seguita ai loro attacchi aerei, è cessata di colpo. Una nuova rappresaglia avrà più fortuna? E rappresaglia contro chi? Se anche fossero disponibili, in quest'occasione, prove certe della re sponsabilità di Gheddafi, resterebbero abbastanza gruppi di disperati e fanatici pronti a uccidere e a morire; e resterebbe l'enigmatico Assad di Siria protetto da un trattato con l'Urss, per tacere degli ayatollah di Teheran. E allora bisogna rassegnarsi a convivere col terrorismo?' In parte è cosi. Certo, sarebbe assurdo scivolare nel fatalismo, oppure rimandare la pace degli aeroporti e delle sinagoghe a quando saranno risolti tutti i conflitti nel Medio Oriente. Fra l'altro, il terrorismo, non solo in Medio Oriente, non è riconducibile, se non in una certa misura, ai problemi politici o irredentistici: per il resto è «ideologia» o fanatismo. Ma sembrano destinati a restare vani i tentativi di trovare il famoso «burattinaio», l'uomo nero che manovra i fili per tutti, anche se è comprensibile, e può non essere inutile, colpire chi ha responsabilità specifiche e sicure. Essenzialmente, le strade di un'efficace strategia contro il terrorismo sembrano due. La prima è quella d'incoraggiare adeguatamente le componenti moderate e ragionevoli del composito mondo arabo e islamico (e questo riguarda anche, o molto, lo Stato d'Israele). Il contenzioso arabo-israeliano non basta a spiegare il terrorismo, ma ne è pur sempre un fattore scatenante. L'altra strada è quella di una cooperazione internazionale veramente attiva e operante, a tutti i livelli, in funzione preventiva prima ancora che repressiva. Una cooperazione alla quale si vorrebbe vedere associata anche l'Urss, se non fosse che la Tass, a volte, sembra l'agenzia Jana di Tripoli, della quale del resto diffonde i comunicati. Aldo Rizzo
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