Lo «strappo» del calzino di Franco Lucentini
Lo «strappo» del calzino Festa dell'Unità a Milano: i comunisti sulla via del défilé Lo «strappo» del calzino Nell'Italia post-bellica dei grandi comizi di Togliatti e Di Vittorio, dei ladri di biciclette e dei cappotti rivoltati, conobbe una certa fortuna un ritornello che diceva: «Se non ci conoscete / guardateci i calzini: / noi siamo i liberali / del conte Carandini». In quel tempo le masse operaie e contadine tenevano la scena senza seri concorrenti, dominavano indisturbate le lettere, le arti, la filosofia, il costume, e verso un piccolo, irrilevante avversario era dunque lecito usare, in luogo dell'invettiva sarcastica, la frecciatina sfottente, mirando basso, al calzino. Di seta, senza dubbio. In tinta unita e scura, s'implicava; o al massimo con sobrii, quasi impercettibili disegni «fantasia». E in ogni caso, ben lungo, ben teso, non già da un volgare bordo elastico incorporato, ma dalla solida efficienza di giarrettiere deliberatamente vec¬ chiotte. Il tutto made in England, e poi of course, reperito presso un piccolo, esclusivo camiciaio di Jermyn Street, o al limite da Harrod's. A quali altri problemi poteva mai dedicarsi un partito ormai fuori della Storia — insinuavano in sostanza le ironiche rime — se non a queste futili civetterie? Ma la crudele betoniera del tempo non cessa mai di rigirare e rimescolare i nostri poveri ingredienti; ed ecco che, quarant'ànni dopo, alla Festa nazionale dell'Unità nel Parco Sempione di Milano, gli alti funzionari del Pei si sottopongono di buon grado (spiritosamente, si usa dire) al giudizio di tre note esperte di moda. Nella lunga marcia verso il Ministero del Prèt à porter o almeno il sottosegretariato al chintz, il Pei deve dare ancora una volta la prova di essere un partito come tutti gli altri, un partito «di governo». E ancora una volta i suoi titoli, i suoi meriti, la sua affidabilità, vengono messi in dubbio. I dirigenti comunisti sono risultati ineleganti, trasandati, squallidi, goffi. Uno, addirittura, è stato accusato da un compagno: «Sembri un tranviere!». Ciò che fino a ieri sarebbe suonato come un cameratesco complimento, un termine di paragone positivo, un «modello» da imitare, si è cosi tramutato in maligna battutina snob. Negli annali di questo avventuroso partito, protagonista di tante battaglie, movimenti, alleanze, rotture, strappi, fronti, evoluzioni, ci piacerebbe che non venisse dimenticato il nome di Vittorio Campione, il funzionario che, salito sul palco milanese, è stato l'umile eroe di quella che si potrebbe chiamare «la svolta del calzino». Invitato (sempre spiritosamente) a tirarsi su i pantaloni, egli ha esibito i suoi bianchi, irredimibili polpacci nudi, ha mostrato davanti a migliaia di militanti di essere un superato portatore di calzini corti! Non sappiamo quali disposizioni emanerà nei prossimi mesi il centro moda democratico delle Botteghe Oscure. Forse gli iscritti saranno capillarmente invitati a tralasciare Das {Capitai e la lotta di classe, per seguire d'ora in poi da vicino la «linea» emergente dalle patinate pagine di «Capital» e «Class». Nelle sezioni più remote si sentiranno autocritiche su cravatte e cinture, si terranno approfonditi dibattiti sulle punte dei colletti delle camicie, ogni federazione bandirà un concorso per eleggere i top ten, i dieci compagni più chic del partito. I liberali canticchieranno sottovoce, senza acredine, come si fa contro un avversario ormai fuori della Storia: «Se non ci conoscete / guardateci il gilè: / noi siamo i comunisti / di Natta e di Feri è». Carlo Frutterò Franco Lucentini
Persone citate: Carandini, Carlo Frutterò, Di Vittorio, Feri, Natta, Togliatti, Vittorio Campione
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