Donne in carriera un miracolo americano di Ezio Mauro

Donne in carriera, un miracolo americano La scalata al potere accelera i ritmi: entro il Duemila gli esperti prevedono che diventeranno padrone del business negli Stati Uniti Donne in carriera, un miracolo americano DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON — Duecento donne americane sono sparite per qualche mese, all'improvviso. Sono le superlaureate del 1976, una classe come tante, con 1039 studentesse di diciassette Università che avevano conquistato il «master» in amministrazione aziendale. Dieci anni dopo, duecento se ne sono andate, ritirandosi dall'ufficio, dalla carriera, dal percorso gerarchico aperto dalla laurea. Cercandole, le hanno trovate quasi tutte nello stesso posto, perché le fughe individuali, ubbidendo a qualche richiamo misterioso, erano finite insieme nel gran mare americano del business, fatto di piccole e grandi aziende, di imprese individuali, di società tagliate su misura per bisogni che nascono e cambiano, magari muoiono. «7o so perché vengono qui, la stessa strada l'ho fatta anch'io — ci spiega Barbara Hackman, laureata alla Harvard Business School, poi dirigente alla Singer e alla Citybank, prima di mettersi in proprio —. Erano stufe di sentirsi invisibili, con progetti, idee e parole ignorate' da tutti finché non le riprendeva qualche collega maschio. Lavorando per conto loro, le donne manager è come se acquistassero un corpo, una testa e una voce: diventano visibili-. Finalmente l'America si è decisa a guardarle, e subito si è stupita. Gli esperti di statistica hanno incomincia- to a elaborare cifre che gli analisti di Wall Street definiscono impressionanti: silenziosamente, le donne si sono impadronite in Usa di un'azienda su quattro, guidano tre milioni e mezzo di imprese, saranno padrone incontrastate degli affari americani prima del Duemila, se è vero che la presenza femminile nel lavoro indipendente cresce a una velocità cinque volte superiore a quella maschile. Un ritmo di cui pochi si erano accorti, perché le donne marciano da sole, non danno nell'occhio, comandano per ora aziende di piccole dimensioni. Un risultato è che le donne oggi producono direttamente, in proprio, un decimo del business nazionale americano, ma non è tutto. L'altro risultato è che questo — attraverso il rischio, l'intuizione, una «rivoluzione quieta» — è 11 modo con cui nel 1986 le donne ritornano a dare l'assalto al cielo degli affari, che per loro sembrava proibito. Il primo assalto è cominciato dieci anni fa. dentro le grandi società a caccia di manager nelle migliori Università Usa. Allora, le donne erano il 19 per cento di tutti i dirigenti aziendali americani. Oggi sono già un terzo del totale, alla Pepai Cola i manager al femminile arrivano al 28 per cento, alla McDonald al 46, alla Banca d'America raggiungono il 64 per cento. Nella lista delle 500 aziende degli Stati Uniti con lo sviluppo più veloce — quelle destinate a crescere più in fretta — 23 hanno una donna come capo esecutivo, a Washington e dintorni (dove il miraggio dei lavori qualificati offerti dal governo e il fascino del potere attirano le migliori ambizioni professionali) le donne manager e professioniste, insieme, hanno appena superato tutte le altre categorie: sono più numerose delle impiegate, delle commesse, delle blue-collar, cioè di ogni altro lavoro femminile nella capitale. Però, se i manager-donna che entrano nelle aziende americane sono ormai il 50 per cento, quelli che arrivano a livello medio-alto seno il 25, e solo il due per cento tocca il top nelle grandi corporation. La paga femminile resta inferiore (anche con il «master» le donne guadagnano in media 9 mila dollari all'anno in meno degli ex compagni di scuola), le possibilità di diventare presidente o vice rimangono scarse, l'infelicità aziendale è in agguato. «Negli ultimi cinque anni le donne manager hanno raggiunto posizioni mai sfiorate prima — ci conferma Susan Winer, che a Chicago ha lasciato il lavoro da dirìgente per mettersi in proprio —. Afa chi si accorge che non entrerà mai nel giro degli "old boys", fa bene ad andarsene. Noi non possiamo perdere tempo: se il vertice della piramide è bloccato, meglio uscir fuori e cercare un'altra strada per salire in cima-. Impazienti, decise, flessibili, le donne americane degli affari non hanno tempo di aspettare il futuro. Eppure lavora per loro. Nel 1963, tra 1 laureati in campo letterario e scientifico, ogni mille donne entravano nel mercato del lavoro 1396 uomini, mentre oggi, vent'anni dopo, per mille ragazze laureate ci sono solo 937 ragazzi. Le superlauree in business vanno una volta ogni tre a una donna, mentre dieci anni fa il rapporto era di uno a dieci. Cosi la barriera che chiude alla carriera femminile la porta del top management, dicono gli esperti, salterà presto dovunque, prestissimo nel campo dei servizi finanziari, assicurativi e della distribuzione, dove le donne sono quasi la metà di tutti 1 manager al lavoro. .Ragionevolmente, possiamo prevedere che la prossima frontiera, che è quella del senior management, verrà superata senza intoppi entro dieci anni, pro¬ babilmente prima — ci spiega Patricia Harrison, presidente dell'Alleanza nazionale delle donne in economia —. La presenza femminile ai piani bassi della carriera dirigenziale è enorme ed è ormai molto forte anche nei piani intermedi. La spinta verso l'alto è irresistibile-. Vista dalla cima, la scalata dà la vertigine per la vastità dell'assalto. In vent'anni, le donne americane che lavorano sono passate dal 35 al 55 per cento, in sei anni — gli ultimi — hanno occupato l'80 per cento di tutti i nuovi posti creati dall'economia degli Stati Uniti, tra quattordici anni, se la tendenza continua, saranno la maggioranza della forza lavoro Usa. La presenza femminile cresce nelle professioni (ormai divise a metà tra i due sessi), intasa i campi tradizionalmente riservati alle donne (con la vetta del 99,5 per cento tra gli igienisti dentali), affiora nei mestieri più testardamente maschili, raddoppiandosi tra gli autisti di camion e di autobus, decuplicandosi tra i meccanici, marcando l'I per cento — il primo — persino tra i taglialegna. All'apparenza le donne fanno tutto, lavori brutti e lavori belli, ma al riparo delle grandi cifre in realtà si stanno spostando in massa dalle occupazioni manuali alle scrivanie, cominciano a premere già dal fondo del mercato del lavoro, sollecitando tutta la piramide femminile ad allungarsi verso la cima. Prima per necessità poi per convenienza, hanno accettato il pregiudizio maschile secondo cui il settore dei servizi è il più adatto alle loro qualità e oggi si trovano a dominare l'area più flessibile e dinamica dell'economia. A chi vuol sapere perché corrono e verso che cosa, rispondono con motivazioni diverse, qualche volta contrastanti. Certo, una gran parte di loro lavora semplicemente perché ha necessità di guadagnare, e quel 45 per cento della forza lavoro femminile che è «single» deve pensare a mantenersi. Ma tre donne su quattro confessano che lavorerebbero anche se non avessero bisogno di soldi e poi ci sono quelle che Jean Rei'.h Schroedel, nel libro Sola tra la folla, chiama le «pioniere»: ragazze che sfidano se stesse con il lavoro e vedono U mestiere come una frontiera da attraversare, scelgono di fare l'addetto al laminatoio, il collaudatore di pipe, il pilota di rimorchiatore, il manovratore di quella palla di ferro che butta giù i palazzi. In alto o in basso, nella scala del lavoro femminile, è la stessa cosa. Per cercare di spiegare che tipi sono le pioniere, il libro di Schroedel le chiama tomboli, maschiacci, come se nella loro scelta di sperimentare non ci fosse solo uno scarto di volontà un salto di coscienza, ma qualcosa di più, una specie di mutazione antropologica. Tentando di capire chi sono le nuove professioniste, le donne del top management, Patricia McBroom arriva più o meno alla stessa conclusione, parlando nel suo libro di un «terzo genere», dopo quello maschile e quello femminile. Non è in questione l'apparenza, il look, la cornice (nonostante un cambiamento ci sia anche qui, con le donne dirigenti che rifiutano ormai i consigli del guru delle businesswomen, John Molloy, escono dalla rigidità del corporate look, personalizzano l'alta moda da ufficio con accessori fino a ieri proibiti, colori brillanti, gioielli evidenti), ma il comportamento e la mentalità 11 modo di lavorare e cioè di vivere. Il «terzo genere, è sempre concentrato su se stesso, qualche volta naif sul potere, perché non si accorge che è basato sulle relazioni e pensa che funzionare bene, da soli, sia quanto basta. La sua paura è di essere «noce» o «pomodoro», cioè troppo duro o troppo morbi¬ do. La sua condanna è che ci sono atteggiamenti consigliati sia alle donne che non sono manager, sia agli uomini che lo sono, e che per il «terzo genere» sarebbero dannosi, come sorridere spesso. Il suo futuro è qualche volta banalmente ibrido: Jeanie Duck. una consulente di management di Minneapolis che ha studiato da vicino 26 donne di successo negli affari, le ha trovate convinte che convenga imparare a pescare, a giocare a golf, a guidare automobili sportive, per continuare nello scambio informale del relax il rapporto professionale con il collega maschio pari-grado. Bisognava capire prima che siccome ha successo, ed è diventata visibile, la donna manager arrivata al top ispira modelli di comportamento, suggerisce tendenze, non solo cambia ma diventa agente di cambiamento sociale. Ad Harvard, il professor David Bloom si è accorto alla fine di una ricerca sul campo che l'H per cento delle donne d'affari non intendono sposarsi per dedicarsi di più al lavoro, mentre quelle che hanno aspettato i 27 anni per avere il primo figlio guadagnano il 36 per cento in più di quelle che l'hanno avuto a 22. Ma allargando lo sguardo giù dalla vetta, oggi si scopre che la tendenza scende a cascata per la piramide del lavoro femminile, con le ragazze che in tutta l'America stanno spostando nel tempo matrimonio e maternità nel nome del lavoro, le donne sposate senza figli a 34 anni che sono il doppio del 1970, il lavoro di casalinga che diventa l'immagine rovesciata delia donna proiettata fuori casa alla ricerca del successa L'America comincia a chiedersi dov'era il maschio, mentre la donna saliva verso la cima del business. Coinvolto due volte, in ufficio e in casa, dalla mutazione sociale in corso, l'uomo americano sembra l'unico soggetto incapace di influenzarla, oggi. Un libro di Anthony Astrachon (Come si sente l'uomo) dimostra che il manager, giovane o vecchio, è incapace a trattare con la donna pari grado, le indagini sul comportamento aziendale denunciano che anche il boss, su in vetta, si sente a disagio quando ha una donna dietro. Ma non c'è bisogno di studi per capirlo. Basta leggere le lettere scritte dai manager di tutti i livelli alle rubriche di buone maniere sui giornali per avere un consiglio: con tutte queste nuove colleghe che sono anche donne, come si fa? Bisogna alzarsi in piedi ogni volta che arrivano o se ne può fare a meno? 8i deve continuare ad aprir loro la porta? E il conto, soprattutto, alla fine del pranzo chi lo paga il conto? Ezio Mauro

Persone citate: Anthony Astrachon, Barbara Hackman, David Bloom, Jean Rei', John Molloy, Patricia Harrison, Patricia Mcbroom, Singer, Susan Winer