Gli Usa puniremo i mandanti

Gli Usa: puniremo i mandanti Shultz rientra a Washington, riunita in permanenza la «task force di crisi» Gli Usa: puniremo i mandanti Entro oggi la decisione, ma sulla rappresaglia non c'è concordia - Evitate, finora, esplicite accuse alla Libia DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON — Gli Stati Uniti individueranno e puniranno i mandanti dell'olocausto di Karachi: questo è il monito che, in un clima di sdegno e di cordoglio, si leva da ieri da una Washington attonita e furente. In assenza del presidente Reagan, colto dalla tragedia mentre concludeva le sue vacanze in California, 11 Segretario di Stato Shultz, 11 più implacabile nemico del terrorismo, ha assunto il controllo della situazione. Shultz è rientrato precipitosamente da Harvard, dove aveva tenuto un discorso di politica estera, e si è chiuso per due ore al centro di ascolto del settimo piano del Dipartimento di Stato, dove per 24 ore la Task Force — il «gruppo delle crisi. — ha seguito gli eventi in Pakistan. Non è chiaro se l'Amministrazione abbia già indizi precisi sulla provenienza dei terroristi, sugli appoggi ricevuti, sui regimi che possono averli sponsorizzati. Ma i servizi segreti americani lavorano febbrilmente con quelli europei e mediorientali, innanzitutto quelli israeliani, per ricostruire l'itinerario dei dirottatori. Entro pochi giorni, forse poche ore, potrebbero venire in possesso degli elementi necessari per una rappresaglia. I reaganauti si rifiutano di dire se sarà armata, come rifiutano di puntare 11 dito contro Gheddafi. E tuttavia forte è l'impressione che la Libia, nonostante il suo diniego ufficiale, sia sull'elenco dei sospetti, insieme con l'Iran e la Siria, e che gli Stati Uniti intendano compiere una spedizione dimostrativa. Una decisione — non necessariamente un'immediata azione militare — è attesa entro oggi. Dal Dipartimento di Stato, Shultz si è consultato più volte con il presidente Reagan. con il direttore del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca Poindexter, rimasto tutto il tempo a Washington, e con il ministro della Difesa Weinberger, anch'egli rientrato da Harvard. L'unanimità non è completa: Weinberger esita a impegnarsi in un'azione di forza che rischierebbe di vedere gli Stati Uniti isolati dall'Europa e dagli altri alleati. Ma l'opinione pubblica, sebbene choccata, preme per un gesto di forza. E le dichiarazioni dei giorni scorsi, che la superpotenza è pronta anche ad agire da sola, minacciano di ridurre i margini di manovra di Reagan. Secondo il Dipartimento di Stato, consultazioni urgenti si svolgeranno nelle prossime ore nell'ambito della Nato, con il Pakistan, e coi Paesi confinanti con la Libia e con la Siria. L'altro Ieri, il portavoce Redman aveva fiduciosamente dicniarato che «esi¬ ste un vasto consenso sulla necessità di fare pagare un caro presso a chi sponsorizza il terrorismo'. Tra gli esperti del Medio Oriente e del terrorismo, anch'essi traumatizzati, le opinioni sono risultate divise. Michael Walhous ha accusato Gheddafi, e in particolare Abu Nidal, che a lui si appoggia, di complicità nell'eccidio. Omar Kader ha diffidato i reaganauti dal giungere a conclusioni avventate, e ha suggerito «erte è giunto il momento di operare con saggezza... negoziando sui mali del mondo arabo*. I punti di riferimento sicuri per ora sono pochi. Il primo è che uno dei dirottatori sopravvissuti è un palestinese del Libano, e aveva un passaporto del Bahrein; il secondo che scopo dell'operazione era liberare i terroristi imprigionati a Cipro per l'assassinio di tre israeliani a Larnaca, un anno fa. La matrice del dirottamen¬ to del jumbo sarebbe quindi nell'area del Mediterraneo sudorientale, dove in breve tempo gli Stati Uniti possono concentrare la Sesta Flotta. Il dibattito politico e militare fa scendere per un momento in secondo piano particolari importanti, come l'abbandono dell'aereo da parte del comandante e dell'equipaggio. Nel parere di alcuni esperti, potrebbe aver contribuito a fare precipitare gli eventi. La carneficina è avvenuta quando Reagan aveva ormai predisposto tutto per un intervento americano. La Delta Force, il corpo speciale antiterrorismo, lo stesso che sbarcò a Sigonella dopo il dirottamento della Achille Lauro, stava per raggiungere l'aeroporto di Karachi. Al porto, aveva gettato l'ancora una fregata lanciamissili della flotta dell'Oceano Indiano, e altre unità navali da guerra erano in navigazione alla volta della città pakistana. Nel Mediterraneo, la portaerei Forrestal, reduce dalle manovre al largo della Libia, aveva lasciato Napoli dirigendosi verso Cipro e il Libano seguita da una squadra da combattimento, nel caso che i dirottatori fossero riusciti a ripartire con il Jumbo per Larnaca. Nonostante il dispiegamento di forze, il presidente sperava tuttavia in una pacifica soluzione della crisi. Su sua consegna, la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e il Pentagono avevano mantenuto un rigido silenzio. Dopo la denuncia fatta agli europei dall'ambasciatore americano all'Onu Walters sui nuovi piani terroristici di Gheddafi. i reaganauti avevano rifiutato compatti di collegare i diEnnio Caretto (Continua a pagina 2 in nona colonna) (Altri servizi alle pagine 2 e 3).