Cile, un'altra spallata di Mimmo Candito

Cile, un'altra spallata OSSERVATORIO Cile, un'altra spallata (Due «Giornate nazionali di protesta»: come la borghesia abbandona Pinochet) Oggi, anniversario tradizionale delle elezioni, e domani, 5 settembre, il Cile antiregime torna alla mobilitazione popolare. Prima s'era pensato di convocare le manifestazioni per TU, anniversario del golpe, e poi ancora il 12; ma alla fine si è scelta una data istituzionale e non quella politica per allargare la fascia del consenso moderato e ridurre ogni occasione di contrasto. Anche con questo saggio compromesso appare comunque probabile che le due «Giornate nazionali di lotta» non chiudano il conto finale con Pinochet: il tempo delle illusioni è passato amaramente, e gli errori di questi 13 anni hanno imposto la loro lezione; tuttavia il dittatore non è mai stato tanto solo come oggi, e la consunzione progressiva della sua base di potere si mostra nella ridottissima quota residua di partiti e di classi sociali che ancora oggi si dicono disponibili a una continuazione di questa dittatura. Non sarà per oggi, ma l'autunno del vecchio è ormai avanzato. Lo schema semplificato, ma realistico, del confronto in questi ultimi anni di regime vedeva: su un lato del grafico, i partiti progressisti e quelli riformisti, e una parte ridotta della gente del Paese, i salariati più poveri, gli studenti, gli abitanti delle misere poblaciones della cintura di Santiago; sull'altro, stavano i partiti conservatori e reazionari, la buona borghesia commerciale, le classi urbane arricchite dal boom illusorio degli ultimi Anni Settanta, più, naturalmente, le forze armate compatte e fedeli. Restava in mezzo ai due schieramenti, debole e incerto, un trenta-quaranta per cento di gente comune, gli impiegati pubblici, la provincia, la piccola borghesia più tradizionale, disponibile a seguire passivamente il governo solo per conformismo e per paura d'avventure. Le fratture e le liti nello schieramento antiregime consolidavano la coalizione delle forze ufficiali, e rendevano preferibile agli incerti la scelta del lasciar fare. Oggi lo schema va disegnato con un grafico molto mutato. L'incapacità delle opposizioni di cambiare il rapporto di forze e di imporre un ritomo alla democrazia ha mostrato che l'unica strada realmente percorribile era quella di rompere l'unità dello schieramento di governo. Le fratture e le liti tra rivoluzionari, riformisti, e moderati (o, se si preferisce, tra comunisti, socialisti, e democristiani, ma con divisioni che talora passano trasversalmente alle etichette) restano ancora insanate, però nel disegno si è rimpicciolito notevolmente lo spazio che raggruppava la coalizione politico-sociale di regime. Per tre fattori soprattutto: la crisi economica che ha cancellato molte speranze d'un reddito in salita per gran parte della piccola e media borghesia urbana; la pressione incostante ma comunque continua dei partiti d'opposizione, dei sindacati, e (molto importante per il ruolo che ha nella cultura del Paese) della Chiesa; e le sempre più pubbliche ingerenze americane contro ogni progetto di continuità nel governo di Pinochet. La sinergia di questi tre fattori politici ha avviato un processo di fuga verso lo spazio occupato dall'opposizione per una parte delle forze sociali che appoggiavano il regime; ha ingrossato notevolmente la quota sospesa degli incerti, ma questa volta con un trend d'attenzione verso l'opposizione e non più verso il governo; ha convinto una parte della Giunta, e molti ufficiali, che le sorti di Pinochet non coincidono necessariamente con le loro né con il ruolo che debbono avere in futuro le forze armate. E finalmente lo schema dualistico dei soggetti politici attivi (coalizione di governo e coalizione d'opposizione) si è rotto, ed è oggi uno schema triangolare. L'equilibrio precedente ch'era bloccato, perché ciascuno dei due soggetti aveva forza sufficiente per resistere nel proprio ruolo ma non per mutare il ruolo avversario, si è ora aperto: e le forze annate possono diventare il partner di un dialogo destinato a lasciar fuori, in un angolo, il vecchio dittatore. Il processo non è ancora concluso per due ragioni fondamentali: le tradizioni disciplinari molto rigide, prussiane, delle forze armate, che fanno resistenza all'idea di un putsch; e la difficoltà di Washington a progettare un futuro credibile per il Cile dove i comunisti non pesino sulle scelte politiche del governo. Se il pc di laggiù non avesse il radicamento sociale, e la forza politica, che ha manifestato in questi anni, Pinochet avrebbe già seguito la strada di Duvalier e Marcos. Appare comprensibile il timore di Reagan che il Cile torni agli anni dell'Unidad Popular e di un'indipendenza dall'egemonia nordamericana; appare meno comprensibile che la Casa Bianca non veda ancora bene i rischi d'una guerra civile se il processo di transizione non viene liberato decisamente. Attenzione però a questi due segnali: il cardinale Fresno è all'estero per preparare la visita del Papa ad aprile, e l'ambasciatore Barnes se ne sta andando in vacanza. I due saranno assenti dal Cile per tutto il mese di settembre. Qualcosa di grosso si prepara, a Santiago Woityla sarà probabilmente salutato da un altro governo cileno. Mimmo Candito

Persone citate: Barnes, Duvalier, Pinochet, Reagan

Luoghi citati: Cile, Santiago, Washington