A Modena: «La zootecnia è ko» di Remo Lugli

A Modena: «La zootecnia è ko» La reazione al blocco Cee nel principale mercato per la commercializzazione del bestiame A Modena: «La zootecnia è ko» Il direttore dell'Inalca: «Anche i Paesi terzi sospenderanno gli acquisti» - In pericolo decine di posti - Tra le aree più colpite: Veneto, Emilia, Lombardia e Piemonte DAL NOSTRO INVIATO MODENA — Nell'ambito della commercializzazione del bestiame in Italia, Modena rappresenta un punto focale: è qui che si può sentire il polso della situazione determinata dall'insorgere dei focolai di afta epizootica e dai conseguenti provvedimenti della Cee. Il mercato modenese è il più grande d'Italia e uno dei maggiori d'Europa: vi passano quasi 200 mila capi all'anno, 3500 la settimana, con contratti settimanali sui 5 miliardi di lire. «La situazione era già preoccupante nei giorni scorsi — dice il direttore Guido Longhl —. Lunedi, mercato principale della settimana, si è avvertito un calo netto delle contrattazioni per l'effetto della recente chiusura alle nostre carni da parte della Grecia e per l'attesa di quanto avrebbe potuto stabilire la Cee. Quest'ultimo provvedimento è pesante, inciderà negativamente sul mercato per la parte che era destinata all'esportazione; ma avrà soprattutto ripercussioni nel settore dell'industria, anche con chiusura di impianti'. A Castelvetro, nella Pedemontana modenese, c'è lo stabilimento dell'Inalca, la più grande Industria italiana di macellazione, sezionamento, importazione ed esportazione di carne (in un anno 150 mila bovini macellati e una commercializzazione di 110 mila tonnellate). Sentiamo il commento del direttore generale, dottor Nando Benimeo, ex veterinario regionale e ora anche editorialista deila rivista Eurocarni. Pure lui è pessimista: «£' un provvedimento pesantissimo — dice —. Le più danneggiate dall'attuale decisione saranno le industrie di macellazione e di trasformazione che avranno un danno contingente per la perdita dei mercati e un ulteriore danno proiettato nel futuro perché, i clienti verranno subito acquisiti da altri Paesi della Comunità europea e anche al di fuori di essa. C'è da aggiungere che anche i Paesi Terzi di fatto seguiranno l'esempio della Cee e interromperanno gli acquisti'. Spiega Benemeo che già da qualche tempo il mercato era difficile, poco remunerativo a partire dagli allevatori. «Ora, l'impossibilità di esportare riverserà ulteriore carne sul mercato interno con calo dei prezzi. Non Ve dubbio che ci saranno industrie che dovranno ridurre l'occupazione'. L'Italia è deficitaria per un 40 per cento di carne macellata e di bestiame vivo, tuttavia ha una sua esportazione consistente. Spiega il direttore del mercato modenese che rimandiamo all'estero le parti meno pregiate del bovino. Siamo soprattutto consumatori delle parti posteriori che ci danno le bistecche, le parti anteriori sono apprezzate, ad esempio, dalle industrie tedesche che se ne servono per i wurstel e i loro Intingoli. La mancata collocazione di queste parti dell'animale a noi non gradite, oltre a privarci di un'entrata di molte centinaia di miliardi, crea immediati scompensi di mercato perché le nostre industrie di trasformazione non possono improvvisamente assorbire un surplus di merce che la clientela non chiede. Dal blocco delle importazioni da parte degli altri Paesi della Comunità europea sono escluse le carni disossate. L'eccezione riguarda i prosciutti che normalmente hanno l'osso, ma per l'esportazione già da tempo venivano sottoposti a disossatura. E' un settore anche questo molto importante. Sentiamo il dottor Gianni Gorreri, direttore del consorzio del prosciutto di Parma. « Un regolamento comunitario stabiliva già che i nostri prosciutti potevano essere importati sema problemi avendo essi una stagionatura di dieci mesi. D'altra parte lo stesso regolamento stabiliva che i prosciutti da importare dovevano essere disossati e lavorati negli stabilimenti che una commissione aveva ritenuto idonei'. Il settore prosciutti sta vi¬ vendo un periodo di particolare benessere e, purtroppo per il consumatore, di prezzi in ascesa. Del consorzio del prosciutto di Parma fanno parte 250 salumifici, tutti ubicati nelle vallate del Parma, del Baganza e del Taro, l'area che per legge è ritenuta idonea per una stagionatura capace di offrire al prodotto quelle determinate particolarità che lo caratterizzano. In quest'area possono confluire i prosciutti di suini allevati in quattro regioni: Emilia, Piemonte, Lombardia e Veneto. L'anno scorso sono stati stagionati 6 milioni e 850 mila pezzi, il 10 per cento in meno deli'84. Già nell'83 c'era stato un calo nel consumo di prosciutto con conseguente riduzione del prezzo, il che aveva portato sette ditte al fallimento e altre dieci erano finite in cattive acque. Ma quest'anno, per vari fattori: il caldo prematuro, l'effetto Cernobil che ha indotto i consumatori a rinunciare a molti altri cibi, il prezzo che era rimasto fermo per due anni, hanno fatto salire di colpo il consumo del prosciutto e di conseguenza anche il prezzo che ha subito addirittura un'impennata di un trenta per cento. Venduto all'ingrosso a 15-16 mila lire, cui vanno aggiunti il 18 per cento di Iva, il 33 per cento di scarto e l'utile del dettagliante, il prosciutto va in vetrina a non meno di 3000 lire l'etto. Sfiorato dalla mannaia del blocco Cee, il prosciutto riesce dunque a prolungare la sua stagione propizia. Per la carne bovina, come s'è visto, le campane suonano invece tristi. Dice l'esperto Benimeo: 'Questa è la volta che l'Italia deve decidersi a rimboccarsi le maniche per eliminare decisamente l'afta epizootica. Dobbiamo soprattutto dedicarci al controllo dei trasporti che ora praticamente manca'. Remo Lugli

Persone citate: Gianni Gorreri, Nando Benimeo