Trappole per traduttori
Trappole per traduttori LA LINGUA CHE PARLIAMO Trappole per traduttori La questione sollevata a proposito dell'opportunità, di leggere autori latini e greci in numero cospicuo in traduzione, al di là di un apprendimento in sede liceale delle lingue che consenta di affrontare gli originali, certo in quantità minore ma più diretta, non può non suscitare qualche considerazione da parte di un linguista. E' un fatto che le traduzioni, belle infedeli o brutte fedeli, come si dice in termini abusati, sono in genere delle ombre degli originali e da accettare, semmai, come una necessità, a meno che non siano dovute a uomini che sanno creare di nuovo, rielaborare in qualche modo, con magia di lingua e di immagini, il testo dal quale partono: ed allora vanno al di là della semplice traduzione sostituendosi, dal punto di vista formale, agli originali. Quando ho letto su un quotidiano i saggi di versione in francese della Divina Commedia compiuti da una benemerita studiosa, ho pensato, di fronte ad una forma piana e semplice, quasi letterale, agli sforzi compiuti da André Pézard (Premio Galilei 1973) per tutte le opere di Dante pubblicate nella collana della Plèiade, escogitando una lingua francese che alternava voci e costrutti arcaici con moderni, moduli semplici e complessi con artifici ingegnosissimi, distinguendosi dunque, non solo per una originale resa del testo ma per un accostamento al diversi livelli di espressione di un poeta come Dante. A Siracusa, nella scorsa stagione teatrale, è stata rappresentata una tragedia di Euripide, Le supplici: ebbene, il titolo era reso con Le madri, con una operazione che può suscitare perplessità al di là delle ragioni che hanno potuto suggerirlo. Di fronte a traduzioni fredde, quasi di laboratorio, un poeta Italiano ha auspicato di poter leggere lavori compiuti da cattivi traduttori, di quelli che, quando ero giovane, ho conosciuto leggendo romanzi stranieri, e particolarmente francesi e russi. Contare su un cattivo traduttore non vorrà però dire desiderarne uno che faccia spropositi come quello che. dovendo rendere il verso di un poeta francese che parlava di grenadiers e cioè di «melograni», tradusse «granatieri», tratto In errore dal duplice significato del francese grenadier. Se nell'elenco dei grandi scrittori piti letti in Europa, secondo un referendum pubblicato da Tuttolibri nel 1984, Leopardi figurava al trentanovesimo posto, insieme con Curzio Malaparte (t) sorge il fondato timore che i Canti siano poco traducibili nelle lingue straniere. In realtà, quello che possiamo cogliere nelle traduzioni — fatte le debite, scarse eccezioni — è il contenuto, che i Canti leopardiani certo trascendono. Ma al linguista, oltre ai problemi letterari e stilistici, sono necessariamente presenti altre questioni Inerenti alla natura delle singole lingue. Pochi esempi per mostrare le insidie delle traduzioni: prese le voci albero, foresta, bosco, è facile tradurre in francese 1 primi du? termini: arare e /ore/; quanto a bois, non vi è equivalenza completa con bosco perché bois vuol dire anche «legno.. In tedesco Holz significa «bois» nel valore di «legno* e non di «bosco» e Wald vuol dire sia «bois» che «bosco», sia forét che «foresta». Rivolgendoci alle lingue classiche, una delle difficoltà nella traduzione del greco di Omero è costituita dal nome dei colori. Se consideriamo l'aggettivo Italiano, di uso letterario, glauco, il significato fornito dai vocabolari è «di colore azzurro chiaro tra il verde e 11 celeste» (si ricordino le «glauche selve d'olivi» di Carducci). La voce è presa dal latino glaucus che nei vocabolari è dato col valore di «verdiccio, verdeazzurro, grigio, azzurro grigio». Il latino glaucus è preso dal greco glaukós che nell'Iliade è attestato una sola volta, riferito al mare: forse vuol dire «azzurro chiaro» ma c'è chi l'intende cól valore di «luccicante» o «lucente». Poi c'è, a complicare le cose, l'epiteto glaukopis proprio della dea Atena, «dall'occhio glauco» ma alcuni hanno sospettato che nel primo elemento del composto si celi la voce glaux, glaukós «civetta», animale sacro alla dea. Per mettere Insieme i due concetti, qualcuno ha pensato al colore degli occhi della civetta! Insomma, a glaukós è difficile dare un significato originario incontrovertibile. In latino, del resto, non esistono termini singoli per «marrone» e «grìgio». Se i lettori degli originali sono consapevoli di tali difficoltà, è da immaginare l'ammattimento del traduttori e l'effetto sui prodotti dalle traduzioni. Tristano Boleill
Persone citate: André Pézard, Carducci, Curzio Malaparte, Tristano, Wald
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