Canta lo sciamano nella giungla di Mimmo Candito

Canta lo sciamano nella giungla TRA GLI INDIOS E I MISTERI DELL'AMAZZONIA INESPLORATA Canta lo sciamano nella giungla Intonando nenie e fumando droga, tutta la notte invoca in terra gli dei del cielo tra le capanne addormentate - A ogni uscio, i rossi bagliori dei fuochi che tengono lontani gli animali - Rituali collettivi millenari, guerre tra villaggi, cannibalismo: si mangiano i corpi dei nemici uccisi - Angelica, la bimba sepolta viva dalla madre e salvata da un bianco - Serpenti e incubi DAL NOSTRO INVIATO RIO IPIXUNA — Angelica è una bimbetta di questo villaggio morta, e resuscitata. Va in giro nuda e allegra, come tutti qui. Ma ha occhi neri, bui, che vedono certamente un altro mondo. Quando è morta era una piccola india, aveva meno di un anno, e sua madre l'ha uccisa dopo aver divorziato. Aveva anche un nome che nessuno ricorda. L'uomo della Funai è corso a scavare la terra con le sue mani e l'ha tirata fuori che ancora respirava. L'ha ribattezzata Angelica, ora vive nella baracca dell'uomo bianco. La madre, se l'incontra è come se non la vedesse nemmeno, come i fantasmi che sono fatti d'aria e ci guardi dentro. Lei di giorno gioca e ride, col moccio sotto il naso; la notte si sveglia urlando, e piange il suo incubo fino all'alba. Le notti, in questo villaggio perduto nella giungla, durano un tempo sema fine. Lo popolano tutti gli dei del cielo degli indios. Gli dei hanno nomi che scivolano come il vento tra le foglie della foresta; li chiamano in terra a popolare la notte i canti nasali degli sciamani, che tirano fino alle prime luci del giorno le loro nenie fumate di droga. La polifonia s'infila monotona tra le capanne addormentate, le braci davanti a ogni capanna mandano rapidi bagliori rossi. Il buio li divora subito impenetrabile. Dalla giungla arrivano i rumori inquietanti della vita e della morte. I canti degli sciamani accompagnano tutte le notti, non turbano i sogni degli Araweté ma nemmeno la paura, l'agguato, e il grido di trionfo degli animali nell'oscurità cieca che circonda il villaggio da ogni parte. Ero stato invitato a cena nella capanna di Toityi. Da quando gli dei gli mostrarono la loro benevolenza aprendogli le strade segrete della foresta, ora £ta prima vòlta che là'siorìà degli Araweté si consuma tutta in un solo villaggio; e la toponomastica delle capanne pare inventare a fatica una geografia di relazioni non abituali. Non c'è un centro della vita sociale, uno spazio dove i rituali collettivi e il cerimoniale della vita comune possano esprimere il momento dell'aggregazione secondo le regole antiche di questo popolo. E tre mesi fa, quando gli indios Kayapò attaccarono il villaggio e lasciarono sul terreno due morti, fu difficile trovare uno spiazzo dove piantare i due legni con la testa dei nemici uccisi. I corpi furono mangiati, il cannibalismo è un rito che avvicina il guerriero agli dei. Ma se proprio uno spazio comunitario si vuol trovare, questo finisce tristemente per apparire lo slargo che, sulla destra, separa le baracche della Funai dal complesso delle capanne: gli spostamenti degli indios seguono tracciati invisibili ma persistenti, non è difficile scoprirvi una sorta di inconscia subordinazione della società tribale al Posto indigenista. Formalmente le relazioni tra gli Aramele e gli uomini della Funai restano guidate da una distesa libertà, però gli atteggiamenti, Tè aspettative psicologiche; te richiesta di attrezzi, farmaci o assistenza rivelano in modo marcato un processo continuo d'interiorizzazione della dipendenza dall'uomo bianco. Cacciatori Toityi ha ammazzato un grosso maiale selvatico, una bestia irsuta e pesante che somiglia a un cinghiale; e l'invito a cena rispetta un rituale molto comune, di non mangiare mai da soli il frutto d'una buona caccia. La cena è fatta di maiale e di farina di manioca, con qualche pezzo di patata dolce. L'aggregazione approssimativa del villaggio rispetta in qualche modo scelte legate alla parentela, e la capanna di Toityi si apre su uno spiazzo che la mette in relazione diretta ed esclusiva con le capanne degli affini più stretti. La cena collettiva si svolge su questo slargo, nel cerchio d'una piccola folla seduta sulle stuoie. L'allegria è forte e contagiosa, tutti ridono e parlano a voce alta. Il rituale prevede che siano gli uomini a prendere per primi il cibo dai tegami di coccio, le donne aspettano nel cerchio delle stuoie e non mangiano fin quando i loro mariti non gli abbiano portato la carne, a larghi pezzi'tlifttdl: La cena è stata lunga, con racconti di caccia e rievocazioni che i più giovani ascoltavano a bocca aperta. Il canto degli sciamani è cominciato verso mezzanotte, quando ormai tutti eravamo a letto. Nella giungla si dorme sulle amache, con un fuoco accanto per tenere lontane le bestie. L'Amazzonia è un laboratorio biologico, dove le piante montano nel cielo per 60 metri e sono state classificate 2500 specie di serpenti, 1500 di uccelli, 2000 di pesci. Ci sono gattopardi che uccidono senza un grido, caimani infingardi, anaconda dal corpo grosso come un albero; ci sono anche parassiti insidiosi, animaletti microscopici e velenosi, centinaia di tipi d'insetti dalla forma fantastica e mostruosa. Il villaggio s'incunea dentro la foresta, il suo orizzonte è chiuso da ogni parte dall'intrico degli alberi e delle liane, taglia gl'itinerari della vita animale. Gli indios hanno imparato a sbarrare la parte inferiore dell'entrata della capanna con una tavola di legno alta 30 o 40 centimetri, per tenere lontana almeno una parte dei serpenti e degli insetti;. non è una grande protezione, ma la giungla non è'.un. giardino zoologico. La cultura degli Araweté, gli strumenti della loro vita quotidiana, le forme dei loro oggetti d'uso, mostrano un'essenzialità estrema; vi si legge una rozzezza che il seminomadismo delle tribù deve aver imposto come legge opportunistica per la fattura dei tegami di coccio, degli utensili di legno, o dei gusci dei frutti trasformati ingegnosamente in vasi e contenitori. Ma ora che, con un villaggio stabile e protetto, la sopravvivenza pare staccarsi progressivamente dal ciclo delle stagioni e dalle risorse della natura, gli strumenti e la tecnologia della nostra civiltà si fanno un'alternativa irresistibile. I cambiamenti culturali, le assimilazioni inavvertite, vengono fuori anche dalle parcelle minute della vita quotidiana, dove magari tutto sembra uguale a sempre — e le donne spidocchiano i bimbi e gli uomini partono allegri per la caccia infilando la rete inestricabile della foresta — ma dove tutto ormai è già cambiato. Anni fa avevo vissuto una decina di giorni con un'altra tribù di amerindi, gli Uros, ultimi discendenti d'una nazione sconfitta dagli Incas quattro o cinque secoli fa; è un popolo anche quello in estinzione che vive isolato all'interno del lago Titicaca, a quattromila metri sulle Ande, abitotori di isole che vanno alla deriva fatte solo di canne galleggianti. In ospedale A quel tempo i bimbi di quegli isolotti traballanti non avevano mai visto un uomo bianco, o quanto meno non avevano mai visto un orologio e un paio d'occhiali, e io ricordo come avessi dovuto prestare a turno a tutti i bimbi il mio orologio, enorme per il loro piccolo polso, che poi quei fanciulli portavano fieri in giro tenendo il braccio levato a mezz'aria (gli occhiali invece no, erano, il solo paio che avessi e comunque potevano far danni alla loro vista). In questi giorni i bimbi Araweté non hanno dato la minima attenzione né ai miei occhiali né all'orologio; sanno già cosa sono, li hanno visti addosso agli uomini della Funai. Fanno parte ormai del loro mondo di gente della foresta che sta mutando la propria pelle. Una bimbetta è stata anche portata a Belèm, in ospe- (tote, per qualche giorno. Un parassita, un moscerino, s'era scavato il nido dentro un suo orecchio, e le procurava dei dolori lancinanti; il vecchio indigenista che qui fa anche da infermiere aveva tentato di curarla, tirandole via dall'orecchio in tre settimane, prima trenta, poi quaranta, poi ancora venti vermetti. Anarchia Ltnfezione si aggravava, e il parassita penetrava sempre più a fondo dentro l'orecchio: è stata portata d'urgenze a Belém, dove l'hanno operata con un'incisione-che le ha lasciato una larga cicatrice. Le ha lasciato anche ricordi che lei racconta come un viaggio magico, di un mondo dove non esiste più la foresta e gli uomini sembrano gli dei del cielo dei morti. Alla fine mi sono abituato anch'io al canto degli sciamani, e dormo senza più sentire i loro dei che camminano tra le capanne del villaggio. Nata da una necessità in qualche modo artificiale. cioè estranea e sovrapposta al costume politribale, la vita qui mostra scarne proibizioni rituali e regole comunitarie piuttosto labili, una sorta di anarchia che ignoro l'esistenza di un leader e prevede piuttosto l'integrazione di varie leadership familiari. Il potere è rappresentato comunque dal numero dei figli, perché l figli significano matrimoni e i matrimoni comportano l'apertura di nuovi campi di mais e di manioca nella foresta, l'aiuto nella coltivazione dei vecchi campi, braccia vigorose per tendere l'arco nella caccia. Ma i matrimoni hanno anche una provvisorietà accentuata, almeno tra l più giovani, e ogni Araweté adulto si porta dal suo passato quattro o cinque divorzi; la partecipazione di più •padri, nella creazione di un figlio viene perciò considerata naturale, socialmente utile anzi come un rafforzativo delle probabilità di concepimento. Tuttavia la natura del rapporto matrimoniale è uxoricentrica, e la casa e la terra restano in proprietà alla ex moglie. Oggi ancora la vita degli Araweté nella giungla segue i costumi di un tempo millenario, sente sempre i ritmi della natura, il corso delle stagioni, le leggi della foresta. Gli uomini continuano a essere cacciatori e guerrieri, le donne preparano la terra da coltivare e tirano su i figli. La presenza di qualche uomo bianco in due baracche di legno gli ha però rivelato un mondo diverso. Segna l'inizio di una fine. Ma qui il tempo è lento e lungo, e passeranno le generazioni. Gli adolescenti e le fanciulle continueranno a essere iniziati alla vita sessuale dai vecchi del villaggio, altri campi di mais saranno aperti nella foresta, le tartarughe e i macachi daranno ancora sughi deliziosi da mangiare con la farina di manioca. Angelica, se sopravvivrà al morso del serpente e all'incubo dei suoi fantasmi, crescerà, diventerà una ragazza; sarà un'india bianca. E nella sua morte e resurrezione si leggerà forse la metafora amara di un popolo scomparso che un tempo viveva nella foresta dell'Amaezonia. Mimmo Candito (Pine. I precedenti articoli sull'Amazzonia sono apparsi il 27 e il 30 agosto). Foresta amazzonica. Indios accanto alla loro capanna, gli occhi bassi davanti alla macchina fotografica

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