Ingiustizia sociale

Ingiustizia sociale VON HAYEK ACCUSA UN «MIRAGGIO» Ingiustizia sociale Se si chiedesse oggi a un campione rappresentativo di gente comune che cosa intende in generale per giustizia, la risposta più frequente non sarebbe forse molto diversa dall'aristotelico «attribuire a ciascuno ciò che gli spetta», enunciato ventitre secoli fa. Né la risposta cambierebbe in modo sostanziale se invece di persone si interrogassero testi del pensiero politico, dove essa è nata e continua a essere dibattuta con impegno maggiore di ogni altro concetto della politica. Simile coincidenza dell'idea di giustizia tra antichi e moderni, tra gente comune e studiosi, stride palesemente con la constatazione degli aspri conflitti cui hanno dato luogo, specie negli ultimi due secoli, differenti modi di interpretare questa stessa idea. Nella teoria, non meno che nella prassi politica, i problemi nascono quando si tratta di dare un contenuto concreto all'astratto «ciò che spetta a ciascuno». In età moderna e contemporanea, due proposte alternative si sono scontrate, e sui testi, e nelle lotte da cui è uscito l'assetto della maggior parte degli attuali sistemi politici. La proposta liberale, che venne concepita originariamente guardando all'indictro ai privilegi del sistema feudale, e in avanti ai bisogni dell'imprenditore capitalistico, ha insistito soprattutto sull'uguaglianza delle opportunità. Giustizia significa, in questa prospettiva, porre tutti in condizioni di competere per le posizioni socialmente più ambite muovendo da basi di partenza non falsate in un senso o nell'altro da distinzioni di censo, famiglia, fede, o ideolo- La proposta socialista, nata nell'Ottocento dal proposito di limitare la cumulazione dei vantaggi economici che finiscono per derivare da un van taggio iniziale anche piccolo, comunque acquisito, ha invece affermato con forza che ciò che conta è infine l'uguaglianza del j>unto di arrivo, in primo'3mogo dei comperisi: ^tu non guadagnerai più di me — suonava tale proposta — anche se fai un lavoro intellettualmente più impegnativo; ma neanche di meno, nel caso ti tocchi un lavoro più povero. E' stata questa, in nuce, l'interpretazione dell'idea generale di giustizia che per distinguersi dalla proposta liberale venne chiamata «giustizia sociale». Contro il concetto di giustizia sociale e le sue applicalo-, ni contemporanee una critica asperrima è-stata formulata da F. A. von Hayek, Premio Nobel per l'economia, oltre che filosofo, sociologo e politologo, rappresentante insigne del pensiero liberale, nel volume // miraggio delia giustizia sociale, ch'è il secondo dell'ampia trilogia Logge, legislazione e libertà (il Saggiatore). I punti su cui Hayek impernia la sua critica si riassumono col dire che il perseguimento della giustizia sociale ingenera di fatto gravi forme di ingiustizia; deforma strutture e modi di funzionamento della società; apre la strada a governi autoritari. Nell'accusa di voler stravolgere con grave danno collettivo il funzionamento della società, diretta ai fautori della giustizia sociale, traspare forse la componente più datata del liberalismo di Hayek. Per esso, solo il mercato, inteso nell'accezione ampia d'un si stema di rapporti umani in base al quale ciascuno vien compensato per quel che fa soltanto se trova qualcuno cui ciò interessa, è atto ad assicurare, ove sia immune da ogni interferenza, un ordine sociale in continua evoluzione. Non so quanti liberali si sentirebbero oggi di sostenere che un mercato lasciato assolutamente libero, perfino da tentativi di regolarne in qualche modo il corso, sia capace di innescare unicamente, in tutti i campi spirali virtuose. Meno agevole è forse dissentire dall'affermazione che — seppure non con il' grado di generalità che vi attribuisce Hayek — il perseguire in modo chiusamente program matico la giustizia sociale generi (sovente) non poche ingiustizie. Tale idea comporta infatti che sia un agente esterno a distribuire i compensi in quantità predeterminate, sulla base di aiteri d'assegnazione anch'essi predefiniti. A fronte sia delle differenze di risultato che si osservano tra le persone, sia delle differenze di impegno, di capacità, di fatica sopportata, un compenso uguale, indipendente dal risultato, rappresenta agli occhi dei più un modo iniquo di stabilire che cosa spetti a ciascuno. La frammentazione corporativa cui attualmente si assiste tra gli addetti ai. più diversi mestieri e professioni è una reazione forse impropria, ma inevitabile, di tale percepita iniquità. D'altra parte ad Hayek pare in gran parte sfuggire che la domanda di egualitarismo che caratterizzò gli Anni 60 e 70, bersaglio privilegiato della sua critica — l'originale del libro è del '76 — non fu soltanto, e nemmeno in primo luogo, una domanda di compensi materiali uguali per tutti. Assai più di questo, essa fu una domanda di. uguale, dignità. Fu la richiesta di essere trattati tutti'come~esseri "umani, tiKv lari eli"uguali dfrittì al rispet-' to, indipendentemente dall'età, dal sesso, dalla professione, dalle origini sociali. E se è vero che compensi materiali tendenzialmente uguali per tutti violano il concetto generale di giustizia, nel mentre vogliono realizzare il predicato «sociale» di essa, ciò non si applica al fattore dignità. Di questo ciascuno può giustamente rivendicare una dose uguale; anche in presenza, anzi soprattutto in presenza, del variare di altri compensi. Sebbene manifesti ritardi e miopie, su un terreno oltrerutto già affollato da autori più giovani e provvisti non di rado di argomentazioni più raffinate, quali Rawls, Nozick, Ackermann, non sarà facile per chi voglia seriamente dibattere questo grande tema del pensiero politico continuare a tenere in disparte il vecchio Hayek, com'è avvenuto in pratica fino ad oggi. Si possono giudicare esagerati i suoi timori per una involuzione autoritaria della democrazia, resa quasi necessaria dai troppi gruppi che competono per risorse scarse agitando a proprio favore il aedo della giustizia sociale, ma quanto sta accadendo nel nostro sistema politico ci dice che forse sarebbe un errore ignorarli del tutto. E la strenua difesa del mercato che Hayek compie non è disgiunta ih lui dalla consapevolezza che tra lo §tato e, il mercato Vi sono altre vie che i difensori, nostrani dell'uno e dell'altro non riescono a vedere, quando non le combattono in modo esplicito. Come, ad esempio, un maggior ricorso ad associazioni volontarie di liberi cittadini allo scopo di produrre e amministrare molti tipi di servizi che lo Stato, dopo essersi arrogato di forza l'incarico, ora fornisce in modo pessimo; e che il mercato riserverebbe di far pagate a troppi individui in forme e misure difficilmente conciliabili con un'idea pur amicamente aggiornata di giustizia • ■'■ Luciano Gallino F.A. von Hayek, Nobel per l'economia, filosofo e politologo