Napoli: Winckelmann tra il barocco e i lazzaroni

Napoli: Winckelmann tra 0 barocco e i lazzaroni Napoli: Winckelmann tra 0 barocco e i lazzaroni done alle tre del pomeriggio non ha ancora esaurito nemmeno lui il Museo archeologico: spera entro quattro o cinque giorni, se non verrà chiuso nel frattempo con qualche pretesto, la domenica, la quaresima, la malattia della regina. Escursioni a Baia, a Pozzuoli, al Lucrino, all'Averno, «ceri paradisi terrestri*, a Capua, a Paestum, a Pompei al Vesuvio, al funerale del principe di Salerno zio del re, seguito da truppe e dal preti delle quattrocento chiese della città, ma non dal membri della famiglia reale, che hanno troppa paura del popolo per mostrarsi: chi faceva più pena erano i cavalli che tiravano la sua carrozza, vuota. Anche per Mendelssohn, Napoli è una città vivace, cosmopolita città europea, più che Roma, ma addormentata dalla mancanza di un ceto medio attivo, intontita dal continuo e contagioso scirocco. Preferisce perciò i dintorni, e scopre Capri. Mendelssohn alle sorelle, 28 maggio 1831: .Quest'isola ha in sé qualcosa di orientale, con il suo calore rovente che si riflette dalle bianche pareti delle rocce, con le palme e le cupole rotonde delle chiese, che sembrano moschee. Nella Grotta Azzurra gli scogli stanno a picco sul mare e per tutta la sua circonferenza le rocce riposano sul mare in tutta la loro estensione, o piuttosto vi sono state immerse di colpo e di là salgono fino alla volta. La nera barchetta su cui si entra distesi sul fondo scivola sopra la splendente superficie del mare illuminato dalla luce del sole e di un colore azzurro splendente, il più bello che ho visto, senza ombre, senza oscurità, come una lastra del più limpido vetro smerigliato. La luce del giorno non penetra a due passi nell'interno, e cosi si resta tutti isolati sul mare sotto gli scogli con quella singolare luce solare; è come se si vivesse per un po' sott'acqua*. WINCKELMANN a Napoli è facilmente colpito dalla fantasia curvilinea del barocco cosi diversa dalle colonne romane e dai frontoni greci. Quella «inimicizia, dei napoletani per la riga diritta, la loro «nausea» di non vederla suddivisa in curve di vario tipo dovunque, nelle case, nelle finestre, nelle carrozze, persino nei cervelli strambi e storti dei loro letterati, lo impressionano e lo esilarano: come quel professor Martorelli del seminario locale, che ha scritto per il re un volumaccio di ottocento pagine su un antico calamaio del Museo di Portici. Anche Winckelmann come e più di tutti gli altri viaggiatori rimane estasiato dalle ricchezze del Museo archeologico e di Capodimonte, da papiri e iscrizioni pompeiane. Come souvenir manda a un amico in patria un fascio di priapi, non di quelli giganteschi che recentemente un vescovo ha fatto fracassare, ma di gentili e delicati, eseguiti al tornio in bella misura e in scala ascendente, quali i napoletani portavano legati al collo contro il malocchio. Le lettere di Winckelmann da Napoli sono zeppe di anticaglie e della dottrina di chi, come scrisse Herder, trovò in Italia una foresta inanimata di pietre che attendeva da lui la vita; ma schizzano anche frasi taglienti o ditirambiche; ci sono tutti i toni del neoclassicismo e dei lumi. Ma per il colore di Napoli ci si rifa meglio a Flaubert e alle sue lettere alla madre del febbraio-marzo 1851. Cosi subito, 27 febbraio: 'Niente costume nazionale a Napoli, un po' di lazzaroni che si scaldano al sole cantando versi del Tasso, molte carrozze, molto fracasso, l'aria di una capitale, una piccola Parigi meridionale* ; e a un amico: -E' a Napoli che bisogna venire per ritemprare la giovinezza a riamare la vita*. Al 9 di marzo Flaubert, pur entrandovi alle nove e uscen- Palermo in una stampa del 1689

Persone citate: Flaubert, Martorelli, Mendelssohn