Per un Rossini tutto da scoprire

Il mostro ohe non mostruosa Il mostro ohe non mostruosa Per un Rossini tutto da scoprire Tg or* 13,30; 20; 13— Maratona d'estate: Rassegna internazionale di danza: Repliche pregiata: Contemporanea 13,45 Idolo Infranto, di Carol Read, con Ralph Richardson, Michèle Morgan. Gran Bretagna drammatico 194B 15,20 Muppet Show, per i ragazzi 15,50 Pac Man, antologia di cartoni animati 16,35 Sette spose per tette fratelli, telefilm 17,25 Tom Story, cartoni animati 18,30 Una coccarda per II re, sceneggiato. Con Mario Valgoi, Anna Miserocchi, Gastone Moschin, Mariolina Bovo 19,40 Almanacco del giorno dopo 20,30 Zorba II greco, di Michael Cacoyannis, con Anthony Qmnn Alan Bales, Irene Papas. Grecia drammatico 1965 — Le vicende di un inglese giunto a Creta per riattivare una miniera s'incrociano con quelle di Zorba, un greco dalla straordinaria personalità, che decide di aiutarlo nell'impresa. Il progetto tallisce. Zorba sposa un'ex ballerina destinata a morire poco dopo, ma le avversità non riescono ad attenuare il suo ottimismo 23 — Speciale Tg1 23,50 Appuntamento al cinema, i film che vedremo sul grande schermo Un'opera prodotta con un cast dì tutto rispetto nelle parti vocali e con un'eccellente orchestrazione Tutti quelli che guardano la televisione tutti i giorni fino a tardi, quando vanno a letto e spengono la luce, puntualmente si ritrovano al capezzale il mostro di famiglia che esibisce l'incubo del giorno. «Vengo dal tuo sgabuzzino degli incubi e intendo gettarti in una tinozza ricolma di entusiastici Hare Krishnasl» mi ha detto il mio denunciando una colpevole disattenzione nei confronti di «Se bop a fu/a» su italia 1. «E io dovrei perdere il sonno per questo dopo anni che seguo da tans le telecronache di Poltronleri sulla Formula 1? — ho ribattuto —. Un vero incubo è abitare in un quartiere dove tutti dopo le otto di sera prendono il tresco sul balcone verso strada, tu hai detto a una ragazza di passare a prenderti per andare a cena e, sul fare delle otto e mezza, su una spyder ovviamente decapottata, si presenta il fratello, Martin Degville, leader del complesso punkrock Sigue Sigue Spuntnlk». «Non posso competere» ha tagliato corto il mio mostro di famiglia rientrando nello sgabuzzino. Sbagliava, perché la morale di questa videofavoletta sarà che non tutti i mostri vengon per mostruosare. Già lo sappiamo che la canzone oggi è soprattutto immagine, ma bisogna tener conto che il Degville in questione, più qualche coatto raccattato e una maggiorata da Hamburger Serenade dedicata a Fellini, si ammanta di suoni: -Simili a cento televisori accesi contemporaneamente su cento diverse emittenti» e specifica in proposito: «Abbiamo origine da Elvis Presley, Cochran, David Bowie, Bolan, i Sex Pistols e i Suicide». Il look (Martin è stato stilista punk a Parigi per otto anni creando moda esclusiva per transessuali) è un crescendo mirabile. Parte da un semplice animatore di club per sadomasochisti, fino a confondersi con lo stregone di Hanta Yo che lunedi scorso stava su Canale 5 e io credevo di aver sbagliato incubo. Alla immutabile criniera arancio, nera, rossa che spiove sulla faccia che si intravede tra i buchi di un collant a rete che fa da maschera per dare risalto alle pitture di guerra, il leader nelle matinée indossa una semplice armatura da giocatore di foot-ball americano con cartuccere d'acciaio in vita su pantaloni in cuoio da motociclista ma chiusi con lacci intrecciati che sfumano in stivaletti da boxeur arrivato (fluorescenti con frange), ma con tacchi a spillo. La sera, c'è guanto artigliato di leopardo, vecchia mutanda con bandiera a stelle e strisce dei Rolling Stones a mo di foulard e mantella di code di gatto come solo Katia Ricciarelli Baudo mette quando va a cena fuori col marito «Mi ispiro a Mad Max, al suo mondo» sospira il Sigue Sigue Sputnik. Sarebbero film sul dopobomba: il mondo è un deserto dove tutto è assemblaggio; come a dire che un pezzo di lavatrice può finire dentro il cofano di un'auto, un'autobotte fare da garsonnière, il cibo per cani e gatti essere lo stuzzichino per l'aperitivo. E non c'è dubbio che Martin Degville sia un assemblaggio dei suoi ispiratori. Ha preso il peggio, e ovvio. E' cosi cammina svelto e ambiguo, ma senza la classe di Amanda Lear; muove il bacino, ma come in una caricatura di Elvis the pelvis; mima, goffamente, amori solitari e furenti con l'asta del microfono che se lo vede Jagger lo denuncia per millantato credito. Falso come pochi, insomma. E allora che mostro è? Appunto. Lui stesso lo dice: «La mia è una violenza pianificata. La gente viene ai concerti e mi grida fascista, tate schifo, altre cose, ma è contenta. Vogliamo diventare più grandi della Walt Disney, più ricchi della General Motors. Nel nostro mondo, tutto viene ringurgitato, così ci riusciremo». Parla tranquillo, docile, da manager che ha già aperto una boutique in Kensington, a Londra. Ps: per queste note mi sono servito di una striscia del fumetto «Stoom Country», di una lezione di Levy Strauss riletta ascoltando Tina Turner, ma più che altro mi sono Ispirato alla parolaccia del mese che un cinesino pronuncia in tv per fare pubblicità ad una casa discografica: «Puzzettei». Con tante «e» a il punto esclamativo. il compatriota Blakc e il nostro Morino un «tre forze» del migliore tenorismo rossiniano di oggi. C'erano anche, tenori meno importanti, Ernesto Gavazzi e Diego D'Auria, che. con il bravo basso Giorgio Surjan e l'altro basso Ambrogio Riva, e il soprano Patrizia Orciani, completavano le parti minori. C'era curiosità per il modo come la signora Baudo avrebbe affrontato l'impervio cammino «fiorito» di Bianca. Opportunamente riposata e rinfrancata nella voce e nello spirito, sgombrata l'ubiquità del tipo Bregenz-Macerata. decisa a giocare meno al risparmio, la Ricciarelli (pur manchevole nella cabaletta finale) ha mostrato che la classe non è acqua, dando a Bianca l'apporto non solo del prezioso smalto timbrico ma anche di un'inattesa corposità e di una ritrovata fermezza della zona acuta e. soprattutto, di una vibrante partecipazione espressiva. Ma l'attesa maggiore era naturalmente per l'esordio pesarese della Home. E' bastato il magico quarto d'ora centrale del secondo atto perché la grande Marilyn, perfettamente carburata, sfoderasse tutte le qualità ad altissimo tasso di virtuosismo espressivo che l'hanno resa giustamente nota in tutto il mondo facendo del recitativo aria e cabaletta di Falliero il «clou» della serata. Al momento giusto Madame Rossini aveva saputo offrire il più affinato dei «dessert» a un «gourmet» d'eccezione come il sommo Rossini, che vivamente ringraziava la sua deliziosa ospite con alcuni minuti di un'interminabile acclamazione che precedeva il trionfo finale per tutti. Mancava soltanto il gesto benedicente di Pippo Baudo, che avrebbe ben potuto esclamare: «Fantastico!». PESARO — A mezzanotte di sabato, in quell'autentico forno crematorio dell'Auditorium Pedrotti — dove si rappresentava Bianca e Falliero, l'ennesima «sconosciuta» di Rossini —, si alzò la voce di Bianca Contarmi (al secolo Katia Ricciarelli, più bella e radiosa che mai) a intonare il famoso quartetto che sembra mandasse in visibilio i contemporanei di Rossini, pubblico e «addetti ai lavori», come Stendhal e un musicista come Pacini. Oggi francamente si stenta a rendersi conto di come una pagina del genere, considerata addirittura la più famosa dell'opera, potese suscitare tanto entusiasmo. Lo stesso credo possa dirsi dell'opera intera, che pure, al suo apparire alla Scala nel 1819, conobbe un grande successo sanzionato da qualcosa come 39 recite. La verità è che, se Bianca e Falliero fosse, poniamo, di un Mosca o di un Generali, si griderebbe forse al capolavoro; ma, essendo invece di Rossini, è stata surclassata da opere nate prima e da altre venute dopo. Ai margini del libretto del Romani c'è un fatto storico, la congiura del marchese di Bedmar. ambasciatore spagnolo a Venezia, che nel 1618 mise in allarme la Serenissima. Il generale Falliero (contralto «en travesti.) ritorna dall'avere soffocato il «pronunciamento», pronto a impalmare la bella Bianca, figlia di un membro dell'onnipotente Consiglio del Tre, il cattivissimo Contareno (in realtà Con tarini), che vuole invece dare la figlia in sposa al collega Capellio. Dopo vari intrighi tutto finisce per il meglio, con Ros slni il quale, tanto per non perdere le buone abitudini, ricicla dalla precedente Donna del lago la felicissima cabaletta «tanti affetti» che praticamente chiude l'opera. In sostanza Bianca e Fallie- \laril\n Home con Katia Ricciarelli in una scena dell'applauditissima «Bianca e Falliero» il caso di bilanciare da un lato la convenzionalità di molte pagine con i pochi momenti di autentica ispirazione, e dall'altro le frequenti espansioni liriche con le vigorose impennate ora di Falliero ora di Contareno. Quest'ultimo era affidato alla voce di tenore adattata a un ruolo paterno (come in Tancredi e come sarà nel Maometto II}, in sostanza a un baritenore, più croce che delizia di tante recenti riesumazioni rossiniane. A Pesaro ha prevalso la «delizia» rappresentata dal canto, sufficientemente disinvolto anche se non sempre perfettamente a fuoco, di Chris Merritt. con ro si rivela, scartata l'ipotesi del capolavoro misconosciuto, per quella che è: un'opera ricca di musica gradevolmente convenzionale, dalla quale, quando la fantasia del genio creatore prende il sopravvento sul superbo mestiere di geniale artigiano, sprizzano scintille che si traducono in momenti di profonda suggestione e di intensa bellezza (cito fra tutti la cabaletta di Bianca «oh! serto beato»). E' un'opera quindi che dev'essere lieta di aver potuto fare ritorno una volta sulle scene, in attesa, salvo imprevisti (possibili ma non probabili), di poter tornare tranquillamente a dormire per un altro secolo. Ed è giusto, poiché rientra perfettamente nella logica delle istituzioni, che il Festival di Pesaro abbia rappresentato Bianca e Falliero con quella cura che sola giustifica la riproposta di tali opere. Pier Luigi Pizzi ha offerto allo spettacolo la cornice sobriamente fastosa del tardo '500 veneto, giocando prevalentemente sui toni rossi dei bellissimi costumi, l'uno e gli altri ispirati a Paolo Veronese e al suo celebre quadro «Il convito in casa Levi». Donato Renzetti ha affrontato con l'impegno richiesto il non facile compito di rivitalizzare un'opera morta e sepolta, c'è Giorgio Guaterai

Luoghi citati: Gran Bretagna, Grecia, Londra, Macerata, Mosca, Parigi, Pesaro, Venezia