La mela a centrocampo

La mela a centrocampo La mela a centrocampo E' l'eterna storia di Povere donne, spesso tifose più dei maschi, innamorate, addirittura adoratrici, e vittime di divi o di mezze calzette del calcio, eccole ancora una volta «usate» dai loro idoli per farsene l'alibi dello scarso vigore agonistico dimostrato in partite decisive. E' sempre la solita storia, una storia in definitiva maschilista e razzista, cominciata d'altronde con Adamo contro Eva e. guarda caso, per una cosa che nei simboli biblici in sostanza ha la forma di una palla, cioè la famigerata Mela. Dopo aver cercato e trovato guai col Totonero, molti di i questi golden-boys — giustamente puniti, e con pene ingiuste per difetto — cercano ora l'alibi a buon mercato. Enon pochi giornalisti sporti¬ Adamo ed Eva: se il fru vi, plagiati, chierichetti e turiferari a vita dei campioni singoli o delle squadre, ribadiscono nell'opinione pubblica più sprovveduta che la scarsa resa sportiva di tanti calciatori dipende dalle donne. La donna, sempre gradita come spettatrice plaudente nelle competizioni più impegnative — come le «ragazze pon-pon» americane — è cosi demonizzata come diavolo seducente e insieme depotenziante degli scontri sportivi cruciali. Eleonora Vallone, ben nota per tutte le sue doti, evidenti all'esterno, ma dicono anche per il suo talento, ha provato, a modo suo, ad accettare, o a chiedere, di andare «per lavoro» da una squadra rinomata, violando il tradizionale ritiro che sembra ormai più tto fosse il pallone... spartano del ritiro dei monaci e degli eremiti. La Vallone è andata, ha interrogato, si è poi concessa un momento di molto canicolare relax ai bordi della piscina sacra agli esercizi dei campioni, li ha lasciati guardare e poi protestare. E' stata comunque la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ha offerto, cioè, senza volerlo, ancora un alibi. Se non si vuole il sasso in fronte però, non bisogna praticare lo sport del boomerang. E' meglio non tirare il sasso e poi nascondere la mano e giurare sul pallone che loro non c'entrano. Si stabiliscano, o ribadiscano, norme spartane, ci si isoli davvero per non cadere in tentazione di tenere un piede nella scarpa sportiva e un altro in quella sessuogodereccia. Se si sceglie la scarpa con il piede sbagliato, quanto a «immagine» pubblica, l'autogol è sicuro. Ma se c'è da piangere, questi campioni piangano da soli, non chiedendo simpatie e compianti facili, come se si trattasse di bambini castigati a torto. Con tutto quel che accade tra gli scandali e i processi che sappiamo, e che stracciano equilibri e tradizioni sportive preziose, rapporti disciplinari e immagini oneste, questa presunzione è segno prima d'idiozia che di disonestà verso il proprio ruolo e mestiere, oltre tutto fra i più pagati del Paese. E non strillino di rabbia e di delusione nemmeno le donne che avrebbero voluto essere al posto di quelle che, per una volta, sono state demonizzate come Cleopatre o Semiramidi corruttrici della purezza atletica del campione, e non strillino nemmeno le più sincere tifose. Non esageriamo con questi idoli popolari di cui abbiamo bisogno, ma che hanno anche bisogno di noi: questi signori, causa dei loro stesso guai, sono vittime, o responsabili, sono atleti o bambini? Nazareno Fabbretti

Persone citate: Eleonora Vallone, Nazareno Fabbretti