II triangolo amato da Rondi di Stefano Reggiani
II triangolo amato da Rondi II triangolo amato da Rondi DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Il triangolo ideale di Rondi potrebbe essere quello di certi nobili zaristi: la Russia dell'anima, la Francia dell'esilio, l'Italia dell'innocenza. Poi, si capisce, all'atto di stendere 11 programma, i tre capisaldi si sono un po' smarriti nell'obbligo della quantità, nella forza delle occasioni, nelle tentazioni d'autore. Ieri Rondi li ha rispettati nella dichiarazione inaugurale, dettando anche alcune linee interpretative (o piuttosto spiegando, com'è giusto, le sue). Dalla Russia vengono Balajan e Soloviev, annunciati come gli autori dell'era Gorbaciov, innovatori dello stile UBalajan è come Godard»), Manca solo il più celebrato e già noto, AlexeJ Oerman: è stato sequestrato in anticipo da Locamo (dov'è stato punito con un ridicolo quarto premio) e probabilmente per ripicca la Mostra s'è privata anche del precedente Oerman, inedito fuori della Russia e fino a ieri proibito all'esportazione. («Ma ora in Russia non c'è alcuna difficoltà ad avere i film che si vuole-). Dalla Francia, magari in polemica con le distrazioni di Cannes, viene un gruppo di autori giunti da tempo o da poco nel Pantheon dei viventi, in un'ideale Accademia del cinema; e capita che i nomi prevalgano sulle opere, Resnais ha un piccolo film televisivo già trasmesso. Però Resnais, secondo Rondi, illustra una caratteristica che sarebbe di tutta la Mostra, la reinvenzione del cinema dal teatro, la riscoperta della drammaturgia teatrale in chiave di specifico filmico. (Benissimo, anche se la severità s'infittisce e se c'è il sospetto che si tratti di una scelta condizionata dal¬ la ristrettezza del bilanci). La divisione del programma in capitoli separati, se vieta a chiunque uria visione complessiva del risultato, favorisce e stimala le preferenze e le antipatie dell'organizzazione. Stanno nel quartiere residenziale («non dite ghetto-) di «Venezia Giovani» 1 film-spettacolo americani, da Badham a Carpenter a Reltman, l'aggiunta dei matti Zucker e Abrahams in qualche modo legittima la separazione (come s'usava a sollievo plebeo del vecchio teatro drammatico: seguirà una brillantissima farsa). D'altra parte, s'Incontrano due esigenze, gli americani non sentono la necessità di rischiare il concorso coi filmspettacolo, Rondi non sente la necessità di metterli In concorso (l'unico americano in concorso è Harrison, anche Nichols si chiama fuori). Ma si capisce che la disseminazione ha favorito soprattutto il cinema italiano e l'implicita scommessa di una sua rinnovata vitalità: è il più numeroso, il più invadente, presumibilmente il più sostenuto e raccomandato («ma la qualità era indiscutibile-). CI sono italiani nel cartellone principale (Avati, Comencini, Maselll, Mazzucco) e in ogni altro capitolo, perfino In quell'impensabile sezione di Venezia Speciali chiamata Spazio libero degli autori, vero festival nel festival (ma sono stati selezionati o no?), nella quale figura un professore universitario passato alla regia, Abruzzese, Insieme con Littin ed altri stranieri eccellenti. La sezione De Sica è stata lodevolmente ridotta a cinque esordienti e c'è un debuttante italiano anche nell'autonoma Settimana della critica, per 11 passato severissima con gli italiani. Speriamo, speriamo. Se la scommessa di Rondi anche solo in parte riuscirà, saremo consolati del pochissimo di buono che l'Italia ha fatto vede- re recentemente ai festival. A Cannes hanno trovato solo simpatia 1 film di Fago e Colli, Berlino ha campato sull'onnipresente e supersfruttato Moretti, Locamo ha rivelato non più che delicatezza e intelligente consapevolezza nei film dei debuttanti italiani. E' come una dieta di brodini, cosi aspettiamo qualche piatto forte e il menu di Venezia ha mobilitato molti cuochi dell'età di mezzo, la più responsabile, e c'è effettivamente aria di riscossa. Certo, bisogna tener conto, per ogni futura considerazione, del fatto che quasi tutti 1 film italiani da festival sono ormai di produzione televisiva e che l'edizione di quest'anno della Mostra ne dà una conferma fin troppo esemplare. Le tre reti Rai si spartiscono 1 film del cartellone principale e praticamente anche il resto. Certo, sono molto stretti 1 rapporti tra Biennale e Rai, ma l'affermarsi del cinema televisivo corrisponde a un fenomeno in atto nei Paesi europei di più gloriosa tradizione, 11 mecenatismo con fondi pub bllci dove il rischio è troppo alto o dov'è scomparso del tutto il capitale privato. Questo non porta, come temono alcuni, a un assoluto impoverimento televisivo del cinema, ma certo a una selezione del generi, delle trame, delle spese. E fa diventare argomento non da specialisti la natura del cinema televisivo. Claudia Cardinale s'è battuta legittimamente per la qualifica di film al televisivo La Storia, rivendicando implicitamente la distinzione minima ma essenziale: finché si usa la pellicola c'è cinema, è dal nastro elettronlco in avanti che può cominciare la discussione e magarl.peri'f estivar,' l'fttlWM razzo. *~ ••• • • • ■ . Stefano Reggiani r o è e M
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