Sopravvivere in solitudine di Gigi Mattana

Sopravvivere Sn solitudine L'impresa di Marco Di Franco sul Bianco tra passato e futuro Sopravvivere Sn solitudine Le difficili condizioni a 4800 metri: dieta monotona, paura dei fulmini, deperimento, bufere DAL NOSTRO INVIATO COURMAYEUR — Sul Monte Bianco non c'è spazio per la mediocrità. Anche se è estremamente difficile iscrivere l'Impresa del venticinquenne milanese Marco Di Franco in qualche categoria, il valore in assoluto è elevatissimo. Non è freeclimbing né alpinismo clas|; sico, non è esplorazione né survival vero e proprio (per 1 puri la presenza della radio è peggio di Satana). E allora la stressante «vacanza solitaria» di 54 giorni in una tendina a 4810 metri chiamiamola ricerca dei propri limiti, introspezione, battaglia contro la noia e anche contro gli elementi perché, pur in questi anni in cui tutti parlano di Himalaya, affollano le vie dell'Himalaya e purtroppo vi muoiono a decine, la più alta vetta delle Alpi è sempre capace di castigare chi la affronta impreparato. E ciò anche a Ferragosto. Alla partenza, il 4 luglio, Di Franco aveva annunciato di voler compiere il tentativo senza festeggiare alcuna ricorrenza, ma la sua prova non può non rientrare nell'ambito delle celebrazioni per 11 bicentenario della conquista. Il filo logico che la lega alla salita di fatica e di paura che Jacques Balmat e Michel Paccard percorsero nel 1786 è molto forte, forse più di una scalata estrema o su una via nuova: il timore di trovare i draghi o di non riuscire a sopravvivere cosi a lungo senza nessuno accanto hanno lo stesso sapore di mistero. Le bufere dei primi giorni quando la tendina era quasi sepolta dalla neve; i duecento alpinisti che nei giorni di punta arrivavano in cima; la dieta monotona (4800 metri sono quasi il limite a cui l'organismo umano non acquista acclimatamento ma in lunghi soggiorni progressivamente deperisce), la paura dei fulmini, il volo dei corvi e addirittura di due farfalle. Non contano nulla la salita e la discesa con l'elicottero. Tutto ciò viene a toccare, da parte di un ragazzo che non è scalatore, .l'aspetto più pregnante dell'alpinismo attuale, che è quello della solitudine. Andare soli in montagna, anche se la nostra epoca più di altre vive di exploit, è cosa anche di ieri Forse adesso conta pure la molla del denaro (ma non c'è nulla di demonico nel voler guadagnare per fare gli alpinisti a tempo pieno), ma la ricerca della perfezione, l'impeto, lo sprezzo del pericolo di Wlnkler, Preuss o Lammer ottantanni fa si potevano realizzare soltanto con la ricerca testarda della soli¬ tudine, di un rapporto con la montagna senza spettatori. E non è peregrino notare come un grande alpinista e buon compagno di cordata come Giusto Gervasutti scrisse le sue pagine forse più belle su quella voglia che lo colse improvvisa di salire al Cervino da solo a Natale. In termini di popolarità (che nel suo caso significano poi gustose possibilità di finanziamento) la prima scalata di Relnhold Messner all'Everest senza ossigeno gli rese infinitamente di meno del Nanga Parbat, più basso e conosciuto solo a chi aveva già vissuto col pensiero l'epopea di Hermann Buhl, ma vinto in solitaria. Per stare soli ad alta quota e nel gelo polare (e magari con tutte e due le maledizioni insieme) oltre ad averne le capacità bisogna sapersi gestire bene. Recentemente Giuliano Giongo, narrando la sua traversata dello Hielo Continental in Patagonia, ha subito le «tirate d'orecchi» di Walter Bonatti pur entrando in dissidio con lo sponsor, generoso si, ma che gli chiedeva modelli comportamentali per lui difficili da seguire. Ogni tanto nell'alpinismo o nell'esplorazione nasce qualcuno fatto con la pasta del solitario: il «canto del cigno» di Bonatti al Cervino fu forse, anche per il contenuto emotivo e polemico che aveva,, il più bell'esempio sulle-Alpi ;~Measner è-torn*to alle spedizioni con pochi compagni collaudati come Kammei'lander anche perché gli diventa impellente la conquista di tutti i 14 Ottomila (ma l'Everest da Nord e da solo resterà una pietra miliare); i «giovani leoni» del Bianco, da Proflt a Piola, da Escoff ler a Bolvin non possono legarsi a un altro; il povero Renato Gasarono, caduto un mese fa sul K2, trovava la forza di vivere le sue allucinanti giornate andine e himalayane grazie alle due parole che la sera poteva scambiare per radio con la moglie Goretta alla base della parete. Il Monte Bianco ha visto un'odissea che sarebbe piaciuta a De Saussure quando ideò quella ascensione in nome della scienza ma anche dei Lumi. Un grande ghiacciatole come Giancarlo Grassi, parlando della recente sfortunatissima spedizione Citroen all'Everest (furono registrati venti a quasi duecento all'ora per giorni di seguito) continuava a dire: «A restare soli ci si sarebbe lasciati morire tutti: E si capisce come sotto le unghiate del gelo anche la presenza di un Armaduk può essere il talismano per non impazzire. Gigi Mattana La vetta nevosa del Bianco, teatro delle grandi avventure

Luoghi citati: Cervino, Courmayeur