I conti con Gheddaffi di Arrigo Levi

I conti con Gheddaf i Ma Reagan avverte l'Unione Sovietica I conti con Gheddaf i Benché poliglotta, eloquente in tutte le lingue europee compreso l'italiano, l'inviato speciale di Reagan Vernon Walters avrà qualche difficoltà ad intendersi con i governanti europei che incontrerà nei prossimi giorni, nel corso di una missione che ha per scopo di fare il punto sulla minaccia libica e di strappare all'Europa più severe sanzioni contro Gheddafi (all'Italia si chiede di non comperare più petrolio libico). L'ultima volta che Walters venne in Europa fu alla vigilia del raid americano su Tripoli: anzi, le sue consultazioni con Craxi a Roma, ultima tappa di quel viaggio, si svolsero quando gli aerei Usa erano già in volo verso la Libia. Ma questo si seppe soltanto dopo; fu allora chiaro che si era trattato di una finta consultazione e che il viaggio di Walters era stato in realtà una copertura del raid, mirante ad ingannare i libici facendo loro ritenere l'azione aerea non imminente. A sentirsi ingannati furono però anche gli europei, e il ricordo di quegli incontri non spianerà la strada a Walters. Altre difficoltà nasceranno dalla solita fuga di voci americane, con le notizie (ritualmente smentite) sulla «guerra dei nervi» che Reagan avrebbe deciso di scatenare per spaventare e provocare Gheddafi, inducendolo a reazioni scomposte, tali da giustificare una risposta militare e servire da pretesto per un colpo di Stato contro di lui. E' difficile dire quanto ci sia di vero in quest'ipotesi fantasiosa, che però rischia di spaventare gli europei più che Gheddafi, e di screditare in anticipo le nuove prove che Walters porterebbe sulle responsabilità libiche nel terrorismo. Eppure, /\merica ed Europa debbono cercare di intendersi sulla minaccia libica: quanto è grave, e quali sono le contromi sure adatte? Nessuno dubita dei rapporti tra Gheddafi e gruppi terroristici. Ma gli europei sono ancora convinti che essi giustifichino soltanto con tromisure economiche e diplomatiche, e niente di più. L'ha ripetuto ancora Craxi, affermando che «nulla giustifica un'azione militare», dal momento che «il fronte del terrorismo è apparso in questi mesi sostan zia/mente immobile)), per effetto dell' «indebolimento dei punti d'appoggio»; e le ragioni di Craxi sembrano condivise dagli altri europei (meno la Thatcher). A ciò gli americani replicano osservando che se indebolimento c'è stato, lo si deve proprio al raid d'aprile che gli europei avevano sconsigliato, sostenendo che esso avrebbe provocato una recrudescenza del terrorismo e più forti solidarietà arabe per Gheddafi: invece è accaduto il contrario. Un poco di uso della forza, sostiene Washington, non nuoce contro chi non ha certo remore ad usarla, anche in chiave terroristica. Queste considerazioni, unite al timore che l'America, lasciata sola, ricorra di nuovo ad azioni di forza, daranno peso alle argomentazioni di Walters per un inasprimento delle sanzioni; e gli europei farebbero bene a non restare sordi, come in passato, a questo nuovo appello americano. Ma agli europei preme capire anche un'altra cosa: fino a che punto questo nuovo giro di vite contro Gheddafi è motivato da considerazioni specifiche sul rapporto Libia-terrorismo? O non vi è forse anche un'altra motivazione, che riguarda i rapporti Usa-Urss e l'intenzione americana, in questa fase di pre-vertice, di lanciare avvertimenti al leader sovietico? Si dice a Washington che Reagan voglia far intendere a Gorbaciov — usando la Libia come caso esemplare — che una nuova distensione non potrà limitarsi ad intese sugli armamenti, ma dovrà coinvolgere (come avrebbe dovuto fare la prima, fallita distensione tra Nixon e Breznev) l'intero sistema internazionale. Gorbaciov dovrebbe cioè impegnarsi a ri spettare lealmente — ciò che Breznev non fece — lo status quo globale, rendendosi conto di non avere più a che fare, come Breznev, con un'America traumatizzata e resa impotente dal caso Vietnam, ma con un'America che ha ritrovato, con Reagan, la fiducia in se stessa, e che è di nuovo pronta — come diceva Kennedy — ad affrontare ogni sfida, in ogni luogo, con ogni mezzo: compresa la forza militare. Dovendo fare i conti con quest'America ritrovata, Gorbaciov dovrebbe rinunciare non soltanto al sogno della superiorità strategica, ma anche ai tentativi di allargare l'area del potere sovietico nel mondo con audaci colpi di mano. L'ultimo fu nell'Afghanistan: con Reagan alla Casa Bianca non ce ne sono più stati. La sfida di Reagan a Gheddafi sarebbe insomma una sfida a Gorbaciov; e la dura replica della Pravda sembra confermarlo. Ma se così è, è bene che l'America lo dica ai suoi alleati, allargando il campo delle consultazioni al fine di raggiungere con loro un'intesa sulla miglior tattica da adottare con Gorbaciov, per spingerlo verso una nuova distensione. E' un fatto che, finora, la fermezza reaganiana ha dato i suoi frutti: un vertice, e una stagione d'intensi negoziati. Questo gli europei lo sanno, e ne terranno conto. (Ma, diceva Helmut Schmidt, «comunque, noi europei su tutte queste cose non abbiamo più nulla da dire»: frase amara, un poco cinica, un poco realistica). Arrigo Levi