Il rosso e il nero sulla Laguna

Il rosso e il nero sulla Laguna A Venezia ripresa dopo la bufera, nel casinò più elegante d'Italia Il rosso e il nero sulla Laguna Gli incassi della casa da gioco sono in continua ascesa - Quest'anno sperano di chiudere con settanta miliardi di attivo - Sì ai clienti in jeans, ma no alle macchine mangiasoldi NOSTRO SERVIZIO VENEZIA — Ca' Vendramin, sul Canal Grande, è il casinò più elegante d'Italia, ma si entra anche in jeans. Si gioca in tutte le sale, esclusa la camera da letto dove mori Wagner: è riservata a mostre di pittura, rispettoso riguardo al grande musicista che nel bellissimo palazzo trascorse gli ultimi anni della vita. Il cliente di questo casinò non parla solo veneto, lombardo o piemontese. Ma anche meridionale. Arriva all'aeroporto «Marco Polo» la sera e riparte il mattino dopo, allegro o triste, a seconda di come ha girato la pallina della roulette. Un casinò raccolto, elegante nei suoi stucchi e cristalli, ma bisognoso di continue cure che vengono fatte in estate, da metà aprile a metà ottobre, quando la casa da gioco si trasferisce nel «littoria)» palazzo costruito nel 1936. al Lido, dello stesso architetto che ha realizzato il Ponte degli Scalzi e il Ponte della Libertà. La sede estiva «tonifica l'economia del Lido — spiega un dirigente — ma dal punto di vista aziendalistico, siamo penalizzati perché è più difficile da raggiungere: ci si arri va solo in vaporetto o in mo toscafo ("scioperi a parte) mentre a Ca' Vendramin ba stano dieci minuti di strada a piedi-. «E' vero, però, l'amministrazione comunale che lo gestisce non guarda solo ed esclusivamente a interessi di "bottega" — chiarisce il condirettore, dott. Antonio Clabot, che è anche capo dell'ufficio personale del Municipio — guarda soprattutto all'economia della città e quindi è giusto che in estate la casa da gioco si trasferisca dove c'è più movimento turìstico-, E più soldi perché vicinissimo all'hotel «Excelsior» che di miliardari con la passione del «tavolo verde» ne ospita parecchi. Se nel Casinò di Saint-Vincent si entra solo con giacca e cravatta, a Venezia, in entrambe le sedi, non sono molto formali: «Dovremmo forse fermare alla porta un giocatore die non ha la cravatta firmata e lasciar passare uno che ha la cravatta, ma il portafogli vuoto? Se ci comportassimo in questo modo staremmo freschi-, commenta sorridendo Clabot. Tolleranti nell'ambiguamento, ma conservatori nel gioco: delle «slots machines a Venezia, non ne vogliono proprio sentir parlare. «Forse sarebbero un grosso incremento: per farle girare non occorre personale, si paghe rebbero da sole nel giro di qualche rnese e potrebbero portare qualche miliardo in più al bilancio-, ma è una scelta che l'amministrazione comunale non intende fare «per una questione di elegan za-. Infatti è difficile pensare le rumorose «mangiasoldi nell'austera bellezza dì Ca' Vendramin. Venezia dice di essere al secondo posto come introiti e stando alle tabelle la sua ascesa è costante: nel 1983 aveva chiuso il bilancio con 44 miliardi e 837 milioni, quello successivo con 47 miliardi e 432 milioni e l'85 con 48 miliardi e 413 milioni. Questo in corso promette decisamente meglio: da gennaio alla prima decade di agosto, ha già superato i 43 miliardi e se tutto va bene, sperano di chiudere l'anno con settanta miliardi. Anche Venezia come Campione, Saint-Vincent e Sanremo ha avuto i suoi problemi. Nel maggio del 1979, 269 dipendenti tra croupiers, cassieri di sala, impiegati, carties e changeurs, furono inquisiti dalla Finanza per evasione fiscale, undici miliardi in quattro anni. Secondo l'accusa, tutti avrebbero denunciato al fisco solo 11 30 per cento di quelle realmente intascate. Poi. nell'82. scioperi a catena sempre per il problema delle mance legato alle tasse. E ancora la scoperta di una sessantina di impiegati che facevano la «cresta» sugli incassi (gli ultimi dieci arresti sono stati eseguiti nel marzo scorso). Il meccanismo della truffa era molto semplice, veniva usato il sistema delle vincite fasulle. I croupiers consegnavano le fiches a giocatori complici che, senza puntarle, andavano alla cassa e le cambiavano. Alla fine della not¬ tata, dividevano. A sentire il dott. Clabot, sembra che quello di rubacchiare sia un vizio diffuso nelle case da gioco. Ricorda di aver parlato con dirigenti di case straniere i quali hanno ammesso «che un emungimento del 4-5 per cento sia un fatto addirittura fisiologico» e aggiunge: «Pensiamo forse che il cuoco del grande albergo o del grande ospedale vada a comperarsi la bistecca? Certo, non dovrebbe essere cosi, ma sono cose che succedanoli Casinò di Venezia ha 400 dipendenti e di questi 210 sono addetti ai tavoli dei giochi. Lavorano tutto l'anno meno il Venerdì Santo e la vigilia di Natale. «E il giorno dopo, quando apriamo, da vanti alla porta c'è la coda come quelle che si vedevano durante la guerra fuori dai negozi. Chi ha il vizio del gioco deve recuperare il tempo perduto- nota sorridendo il funzionario. Ma chi vince al Casinò? La risposta è pronta: «Di sicuro sempre il tavolo. Però la pallina è un po' pazza: un giorno guadagniamo mezzo miliardo e il giorno dopo cinrj- nta milioni». Al casinò di Venezia c'è mai stata una vincita clamorosa, in una sola serata? «Sì — risponde Antonio Clabot — ma non ha mai superato i cento milioni. E' accaduto varie volte, ma quasi sempre, la sera dopo, il giocatore li !ia restituiti». Aldo Popaiz

Persone citate: Aldo Popaiz, Antonio Clabot, Clabot, Vendramin