La legge di Citizen Hersant di Barbara Spinelli

La legge di Citizen Hersant IN CRISI I GIORNALI FRANCESI: PERDONO COPIE E PRESTIGIO La legge di Citizen Hersant All'irresistibile ascesa di «patron» Hersant al «Figaro», è seguita quella del finanziere Goldsmith alI'«Express» - Entrambi nutrono disprezzo per i giornalisti, procedono per epurazioni e sostituzioni - La stampa dà un'impressione di provincialismo e inconsistenza Capovolte, secondo Revel, le buone regole dell'informazione - Calano anche i settimanali e gli intellettuali sono sempre più lontani PARIGI — A giudicare dal fervore dei dibattiti parlamentari, e dalle rancorose dispute su Berlusconi e sulla stampa contesa fra destra e sinistra, si direbbe che la Francia è il Paese d'Europa dove con maggiore accanimento si discute l'avvenire dei mezzi di comunicazione di massa, il loro rapporto col mondo politico e la loro missione. Il Paese più americanizzato anche, dove il quarto potere è in costante ebollizione e dove abbondano, specularmente, i magnati della stampa, temibili e avventurosi come altrettanti Charles Poster Kane. Lo scorso inverno i riflettori si accesero sull'irresistibile ascesa di Robert Hersant, il padrone di Figaro e di una miriade di giornali di destra. Quest'estate va in scena il romanzo a puntate di Jimmy Goldsmith, il finanziere franco-britannico che controlla /Express e sembra deciso a trasformarlo in settimanale di battaglia dei neoliberali puri e duri. Non contento del giocattolo che ha comprato nel 76, dei suoi toni misurati e dell'impegno scettico che la redazione ha appreso da Raymond Aron, Goldsmith vuole adesso che /■Express rechi l'impronta del proprio genio: a questo scopo ha spostato i giornalisti come pedine, tra luglio e agosto, ha imposto militanti a lui fedeli, ha licenziato in tronco redattori che riteneva irriducibili. La stampa di sinistra si indigna, parla di un'ennesima offensiva della destra, e insiste sul carattere politico del regolamento di conti all'Express. C'è insomma molto nervosismo negli ambienti giornalistici, come accade quando una valorosa cittadella è ripetutamente presa d'assedio e dalla mattina alla sera affila i propri coltelli. L'immagine è però ingannevole, e tutta questa effervescenza traspare assai poco dai giornali che quotidiana mente sono in vendita nelle edicole di Francia. Più corretto sarebbe parlare di deserto dei tartari, di attese e lotte rinviate: le polemiche divampano e si spengono prima di divenire interessan ti, il nervosismo è scialbo se non apparente, la grinta delle testate davvero non è percepibile. Per l'osservatore della Francia, poco importa se occasionale o no, l'appuntamento con la stampa francese è divenuto un'esperienza quasi scombussolante: fonte di continue delusioni. Possi bile che un grande Paese d'Europa — il più sicuro, almeno, di essere Grande — abbia una stampa così provinciale, cosi inconsistente? Chi non ci creda provi la mattina a comprare una mazzetta di ■ quotidiani nazionali: prenda il Figaro, o il Figaro-Aurore, il Quotidlen de Paris e Liberation, Les Echos e Le Matin, La Croix e quant'altri. Vedrà che ci vuol più tempo per leggere la Frankfurter Allgemeine, più tempo per scorrere i tre quotidiani nazionali italiani, o il Times o El Pals di Madrid, che non una decina e più di giornali francesi. Figaro fa pensare a un accendino non solo gettabile, ma che nemmeno funziona: contiene qualche invettiva contro le sinistre e dopo due minuti lo puoi buttare. Il Quotidien fece scalpore quando fu inventato, negli Anni 70, per i titoli ingegnosi e la scrittura scapigliata: oggi è un giornaletto di parrocchia, gettabile dopo un minuto e mezzo. L'Aurore se hai fatto l'errore di comprarlo devi restituirlo all'edicolante e reclamare le mille lire che hai sborsato: è la copia di Figaro. Una be//a di Hersant. Il Matin voleva essere la risposta della sinistra al monopolio delle destre sulla stampa, e non ha mai decollato. Liberation naturalmente è un altro paio di maniche. E' spregiudicato, ha alcune inchieste originali e titoli allettanti. Ma è divenuto pettegolo, fuori Parigi perde il suo smalto, pullula di trovate e ha poche idee che durano. Due o tre anni fa conobbe il suo momento di gloria, cinse d'assedio perfino quel mostro sacro, ma sfiata¬ to, che era Le Monde. Oggi Le Monde è in rimonta, si è snellito, ritrova la forza di una tradizione, toma a credere in se stesso. E' un giornale in difficoltà ma è l'unico che regge, in mezzo allo sfacelo generale. Jean-Francois Revel. editorialista a Le Point e ex direttore dei/Express tdiede le dimissioni nell'81, quando Goldsmith silurò Olivier Todd per una copertina che faceva apparire Giscard più vecchio di Mitterrand) sostiene che i lettori francesi, e dunque anche i giornalisti di qualità, hanno da una decina d'anni traslocato nei settimanali, o in periodici specialistici di successo come Expansion. O nella televisione. Che i quotidiani regrediscono, perché per l'appunto non sono .macchine di in¬ formazione., all'americana. «Nei nostri quotidiani la regola del giornalismo è rovesciata: l'informazione è libera, e il commento è sacro», ironizza Revel. Ultimamente però anche le cifre sulle vendite dei settimanali sono allarmanti: /Express, che è il periodico-guida, ha perduto il 5 per cento dei lettori, Le Point l'8. E a sinistra i concorrenti tracollano: il Nouvel Observateur ha perso più del 12 per cento in un anno. I motivi di questa perdita di identità, nella stampa francese? In parte è il lutto dell'età d'oro delle riviste, che ancora pesa: lo sprofondare a partire dal '68 di periodici che non solo diffondevano idee — come fu il caso di La Nouvelle Revue Francaise, Esprit, Temps Modernes o «Lettres Nouvelles» — ma spronavano i giornali tradizionali ad averne di loro, a curare la scrittura, le inchieste. Negli Anni 70 sono nate nuove riviste di qualità (Débat, Commentaire, il nuovo Esprit di Paul Thibaud); nell'84 è sorta a Parigi una rivista di dimensione europea — la Lettera Internazionale di Antonin Liehm — ma ancora la stampa francese non ne profitta, ancora appare insanabile il divorzio fra intellettuale e giornalista, fra giornalista e lettore. Gli intellettuali intervengono sempre più raramente sui giornali. Più che in qualsiasi altro Paese si rifugiano nei libri, nei pamphlet: troppi, si dirà, ma la stampa è divenuta inaccessibile, i giornalisti vi hanno preso il potere e tengono a mantenerlo. In parte è mutata la domanda del lettore: nell'era della televisione sono preferite le riviste specialistiche (di storia, arte, informatica, di geografia) e non i giornali che rincorrono il piccolo schermo e indicano come si deve parlare, e pensare, nel magico circolo parigino. In quest'ottica, è più facile capire le vicende dell'Express, le ambizioni politiche che dworano improvvisamente i Citizen Kane alla francese, il disprezzo viscerale che personaggi come Goldsmith o Hersant nutrono per i giornalisti, il potere redazionale dato agli uomini dell'amministrazione, o perfino della pubblicità. E la scure che cade soprattutto sui giornalisti non classificabili politicamente, come dimostra il licenziamento all'Express di Philippe Meyer, reporter troppo indipendente della cultura, o di Jeanne Villeneuve, reporter dell'economia. E' anche più facile capire i come mai Goldsmith riesca in Francia e abbia invece fatto fallimento in Gran Bretagna, dove i giornalisti 10 hanno messo ai margini, e dove è rapidamente naufragata la rivista Now! che il finanziere fondò alla fine degli Anni 70. Forse personaggi come Goldsmith hanno la partita facile perché i giornalisti in Francia non riescono a meditare sui propri scacchi, a farsi concorrenza tra di loro, a divenire insomma un contropotere. Affascinati dal Palazzo, ne scimmiottano le dispute, denunciano ora l'offensiva di destra, ora quella della sinistra, si estenuano in polemiche contro i monopoli di stampa. Revel, che non è sospettabile di connivenza con Hersant o Goldsmith, sostiene che le concentrazioni -sono oggi indispensabili se si vuol razionalizzare le gestioni, ridurre i costi generali, sfruttare a pieno le tipografie». Ben altro è quindi il male, stando a Revel e al lettore fattosi più esigente. Ben più inerente alla professione: il giornalista francese è assai poco americano, non si muove se le autorità non parlano. Lo si è visto nello scandalo Greenpeace, rapidamente archiviato. E ancor più nell'affare di Cernobil, addirittura occultato. Forse 11 male è nella frase pronunciata recentemente da Serge July. direttore di Liberation: .Abbiamo la classe politica più intelligente d'Europa», ha scritto in un libro peraltro acuto su Mitterrand. Pronunciata da un giornalista, una frase simile è sempre sospetta. A suo modo prefigura sempre un piccolo suicidio. Barbara Spinelli Parigi. Robert Hersant, proprietario del «Figaro» e di molti giornali provinciali di destra