Consulto per i futuri medici di Clemente Granata

Consulto per I futuri medici A settembre si riuniscono a Milano i presidi delle Facoltà di Medicina e Chirurgia Consulto per I futuri medici Per arginare il sovraffollamento un decreto permette di indicare i «tetti» delle iscrizioni - Ora si darà il «via» al nuovo ordinamento degli studi - Previsti due cicli triennali, con almeno 5500 ore di attività didattico-formativa DAL NOSTRO INVIATO MILANO — I provvedimenti adottati di recente dai rettori delle quattro Università del Lazio per razionalizzare l'iscrizione delle «matricole» e tentare di ridurre il sovraffollamento, in particolare, a «La Sapienza» di Roma non sono destinati a rimanere l'unico esempio d'intervento nella sempre spinosa materia degli accessi agli atenei. Il 22 settembre alla «Statale» di Milano si terrà il «gran consulto» delle facoltà mediche italiane, rappresentate dai presidi che cercheranno di individuare una serie di criteri per programmare il numero degli iscritti in corsi di studio cosi importanti e impegnativi. Già esiste un decreto presidenziale, emanato il 28 febbraio scorso, il quale affida alle autorità accademiche il compito di indicare il numero massimo di studenti che possono iscriversi al primo anno di Medicina e chirurgia, tenuto conto del potenziale didattico e delle strutture disponibili per il corretto svolgimento dei corsi. L'indicazione sarà poi trasmessa al ministero della Pubblica Istruzione che prenderà le decisioni nell'ambito della programmazione universitaria nazionale. Ma il criterio semplicemente quantitativo, contenuto nel decreto, in genere non è giudicato sufficiente. Più volte, anche da al- cuni presidi, è stata sottolineata l'opportunità di introdurre altri metodi selettivi per l'ingresso nelle facoltà (per esempio, test o conformità con gli studi compiuti nelle secondarie). E' chiaro che, in proposito, non possono essere prese iniziative senza una precisa legge e che in ogni caso è necessario, prima d'intervenire, conoscere in linea di massima quali saranno l'impostazione e le finalità dei futuri licei; ma è altrettanto chiaro, secondo parecchi esperti, che è necessario adottare con urgenza quegli interventi normativi. E alla riunione di Milano non mancherà chi lo sterrà con particolare vigore. L'esistenza di circa 145 mila iscritti alle facoltà di Medicina e chirurgia, l'inflazione di medici (in media un sanitario ogni 285 abitanti, rapporto che non ha eguali al mondo), i primi allarmanti fenomeni di disoccupazione nel settore (si parla di 30 mila neolaureati già in difficoltà nel trovare un lavoro del tutto soddisfacente) non consentono, se¬ condo gli interessati, di perdere altro tempo, anche se è già in atto un calo fisiologico dei nuovi iscritti. A Milano, per esempio, nell'ultimo triennio si è registrata una diminuzione media di circa 200 iscritti nei confronti degli Anni Settanta, ma la cifra che presumibilmente si raggiungerà quest'anno (1250 matricole), secondo il preside Antonio Scala, dovrebbe essere quasi dimezzata per consentire un pieno e soddisfacente svolgimento delle attività didattiche. Le facoltà di Medicina e chirurgia si trovano, dunque, al centro dell'attenzione. Da un lato esse potranno sperimentare, prima di altre, i criteri di una programmazione impostata su scala nazionale (estensibile poi, cosi si pensa, ad altri settori dell'Università); dall'altro, dopo molti ripensamenti e polemiche peraltro destinate, come vedremo, a riproporsi in parte nei prossimi tempi, sono state dotate di un nuovo ordinamento degli studi (la famosa tabella XVIII) idoneo a pre¬ parare, secondo i riformatori, un medico più adatto ad affrontare 1 compiti che lo attendono, culturalmente e professionalmente, più attrezzato. Sono molte le facoltà, sia umanistiche sia scientifiche, che vogliono rivedere i propri piani di studio, ma Medicina e Chirurgia è stata la prima a tradurre in atto questa intenzione. Soffermiamoci sulla tabella XVIII, che forse sarà pienamente funzionante a partire dal 1987. L'ordinamento precedente, salvo qualche ritocco e dettaglio successivo, risaliva, nel suo impianto generale, al 1938. Un periodo di tempo troppo rilevante per poter nascondere rughe e acciacchi. Secondo gli esperti, le incongruenze più gravi erano queste: esistenza di un numero eccessivo di materie d'insegnamento inserite nel curriculum senza coordinamento ed integrazione fra di loro, con sovrabbondanza degli aspetti specialistici; mancanza di obiettivi di apprendimento «definiti»; assenza di attività pratiche degli studenti nei primi anni di corso: grandi sforzi mnemonici, ma, spesso, risultati poco gratificanti. Il tutto, inserito in una concezione degli studi medici che prendeva in esclusiva considerazione il malato, senza esaminare le necessarie interrelazioni tra malattia e ambiente sociale, senza sviluppare in modo adeguato il capitolo della prevenzione, senza prendere nella dovuta considerazione una disciplina importante quale la Medicina del lavoro. Il nuovo ordinamento, frutto di mediazioni a volte faticose (ì progetti di riforma erano numerosi e quasi ogni partito aveva voluto predisporrle uno), cerca di eliminare questi inconvenienti. Cosi, come traguardo, prevede che il laureato non sappia soltanto curare, dimostrando di avere una notevole dimestichezza con analisi ed esami di laboratorio, ma sappia anche adottare le necessarie misure preventive di tutela e promozione della salute e conoscere a fondo la normativa e la legislazione sanitarie. Come mezzo per raggiungere questo obiettivo, l'ordinamento predispone almeno 5500 ore di attività didatticoformativa (teorica e teoricopratica), due cicli triennali di studio, la determinazione di specifiche aree didattico-formative, tra le quali, nel primo triennio, spicca per il rilievo ben maggiore rispetto a quello precedentemente assegnatole, l'area biologica. Le aree del secondo ciclo sono le seguenti: metodologia dell'approccio clinico, terapeutico, preventivo e riabilitativo; patologia sistematica ed integrata medico-chirurgica; scienze del comportamento umano; scienze neurologiche; specialità medico-chirurgiche; medicina clinica; pediatria; ginecologia ed ostetricia; patologia applicata; diagnostica per immagini; emergenze medico-chirurgiche; medicina e sanità pubblica. Uno degli aspetti generali più rilevanti del nuovo piano di studi è che il futuro medico dovrà frequentare gli ate¬ nei con sempre maggiore assiduità e abituarsi, con le attività pratiche, a «saper fare» in modo più spedito di prima. Dire che la nuova impostazione incontri il consenso generale è inesatto. C'è chi, pur lodando alcune innovazioni, è molto critico sul fatto che gli insegnamenti clinici, a differenza di quello che succede nella maggior parte dei Paesi più avanzati, incomincino soltanto al quarto anno e lamenta tutta una serie d'incongruenze che da ciò possono derivare. E chi, pur apprezzando il modello della tabella XVIII, teme che esso rappresenti soltanto il regno delle buone intenzioni non traducibili in fatti concreti: in certi settori, dall'insegnamento tutoriale alla prevenzione, ci si limiterebbe, per esempio, ad alcune indicazioni generiche che potrebbero lasciare il tempo che trovano. Senza contare che non si manca di gridare al pericolo di una possibile scomparsa della lezione accademica classica, il che si tradurrebbe in un effettivo impoverimento degli studi. Sono argomenti di un dibattito che sarà ripreso nelle facoltà nei prossimi tempi. E il «gran consulto» del presidi di Medicina fissato a Milano all'inizio dell'autunno potrà costituirne un'interessante occasione. Clemente Granata

Persone citate: Antonio Scala

Luoghi citati: Lazio, Milano, Roma