Il numero uno del Bianco di Alberto Papuzzi

Il numero uno del Bianco Quarantanni fa moriva sul Tacul Giusta Gervasutti, primo alpinista moderna sul tetto d'Europa Il numero uno del Bianco «Il Fortissimo» sembrava uscito da un racconto di Conrad o di Buzzati: nelle sue imprese si fondevano sogno, gusto del rischio «inutile», sfida a se stesso, perfezionismo - Friulano, trapiantato a Torino nel "31, e subito famoso - Tanti i suoi «soci»: da Chabod a Devies, da Boccalatte a Mila - La sua morte, un giallo non tutto risolto Il primo alpinista moderno sulle pareti del Monte Bianco è un personaggio che sembra uscito da un racconto di Dino Buzzati o da un'avventura di Conrad. Si chiamava Giusto Gervasutti. tra le due guerre fu il numero uno, a Torino lo avevano ribattezzato .il Fortissimo». Tra le sue Imprese: la corsa alla Nord delle Jorasses (1936), parete sudovest del Pie Gugliermina (1938). via dei Piloni (1940), Est delle Jorasses (1942). La sua morte, quarantanni fa, sul pilier del Mont Blanc du Tacul che oggi porta il suo nome, è rimasta un giallo. Era il 16 settembre 1946. un lunedi. Alle 8 del mattino Giusto Gervasutti attacca il pilone per aprire una nuova via di roccia. Il compagno di cordata è Giuseppe Gagliardone, con il quale nel 1942 aveva compiuto la prima ascensione assoluta della parete Est delle Jorasses. Dopo quell'impresa aveva scritto: • Niente fremiti di gioia. Niente ebbrezza di vittoria. Quasi un senso di amarezza per il sogno diventato realtà*. Gervasutti era alto e atletico e aveva il culto dell'esercizio sportivo: ginnasta, schermitore, nuotatore, sciatore. La faccia poteva piacere a Carnè, il regista di Gabin: dura ma romantica, con capelli ricci divisi dalla riga e sguardo infossato in un'ombra di malinconia. Per lui l'alpinismo era tante cose: sogno, fuga, vagabondaggio, ma anche -desiderio dell'azione eroica ed inutile*. I torinesi lo avevano so prannominato -il Fortissi mo» dopo la partecipazione a un Trofeo Mezzalama. massacrante gara di sci di fondo e sci alpinismo su nevi e ghiacciai del Monte Rosa. Era nato a Cervignano del Friuli nel 1909. Si era fatto le ossa sulle montagne carsiche. Era diventato arrampicatore di vaglia sulle Dolomiti. Nel 1931 si era definitivamente trasferito a Torino, seguendo il padre, commerciante all'ingrosso di generi alimentari. Prima salita sul Bianco quello stesso anno. all'Aiguille Verte. Nella piazzetta di Chamonix. nell'aria fredda di una limpida sera, il regno del Bianco gli sembrava promettesse -tutto un mondo nuovo prima intHsibile». La figura di Balmat, il primo salitore nel 1786 con Paccard. eccitava la sua fantasia: non solo un montanaro cacciatore e cercatore di cristalli, ma -uno spirito intraprendente*, scriveva Gervasutti, «uorre&oe essere ciò che non è e che non può essere, vorrebbe fare cose sconosciute*. Nel giro di due anni era diventato famoso. Quando nel 1933 re Alberto del Belgio venne ad arrampicare in Piemonte, si chiese a Gervasutti di fargli da compagno. I suoi soci in montagna erano stati tanti:' primo fra tutti Renato Chabod. che vive a Ivrea, è accademico del Cai, ha scritto i due volumi -Monte Bianco* della «Guida dei monti d'Italia» di Cai e Touring. Poi il francese Lucien Devies, con il quale compi prodezze in Delfinato, anche i torinesi Gabriele Boccalatte e Massimo Mila, la nuova generazione degli alpinisti cittadini. Nel 1934 era entrato in una spedizione del Cai alle Ande. In una vecchia fotografia lo si vede sulla nave, con Ghiglione. Boccalatte. De Petro, Bonacossa, Binaghi, Zanetti, Brunner, i fratelli Ceresa: completo alla zuava, cravatta e berretto. Dalle Ande scrisse i reportages per «// Secolo d'Italia*, il giornale ufficiale del regime. Tuttavia, non era entrato nel ruolo di alfiere dell'italico alpinismo, come avrebbe voluto il nazionalismo competitivo dell'epoca: troppo introverso, troppo appassionato, troppo individualista nel suo amore per la grande montagna. La sua vita privata appare oggi schiacciata da quella passione. Un'altra fotografia lo mostra in zuava di velluto e scarponi in Piazza San Marco a Venezia in compagnia di una signorina sconosciuta, ma la tradizione lo vuole schivo con le donne. Renato Chabod ricorda un episodio al Rifugio Torino, con una giovane straniera -che ne era innamorata pazza*: Gervasutti pensava al canalone Nord-Est del Tacul da fare l'indomani con Chabod e fu -talmente gelido che la ragazza ridiscese, disperata e offesa*. Durante la guerra fu uno dei comandanti del «Reparto autonomo Monte Bianco», che arruolava le guide. Dopo la guerra mandava avanti una tipografia e una piccola casa editrice. Nel 1945 aveva pubblicato il suo unico libro. -Scalate velie Alpi»: pagine di diario percorse da una sottile nevrosi in un contesto di suggestioni classiche. Le sue letture, d'altronde, erano i leggendari Whymper e Mummery. E la vigilia di Natale del 1936 aveva salito da solo il Cervino per la via italiana, facile in condizioni normali, impegnativa con neve e ghiaccio. Secondo tutte le testimonianze dedicava molto tempo al Cai di Torino e soprattutto ai giovani. Paolo Bollini della Predosa, suo compagno nella via dei Piloni, oggi ingegnere a Torino, era uno studentello: «Eravamo alpinisti alla buona ed eravamo equipaggiati alla buona*, ha ricordato di recente. -Corde di canapa da 30 metri, quella che diventa dura come un bastone, chiodi e moschettoni di un tipo solo, il casco non era ancora di moda, baudrier e nut erano termini sconosciuti. I duvet erano una raffinatezza fuori dalla portata delle nostre borse». Ma torniamo a quel 16 settembre 1946 sul Mont Blanc du Tacul. il più potente e complesso dei sottogruppi del Bianco, il cui versante orientale si abbatte con una serie di piloni sul Ghiacciaio del Gigante. Gervasutti aveva deciso di scalare il pilone centrale (sul primo pilone aveva aperto una via Boccalatte). Un'ascensione di 800 metri, con diversi passaggi impegnativi. Alle 15.20 la cordata è a metà parete, quando le condizioni del tempo si fanno di colpo minacciose, come spesso può capitare sul Monte Bianco. Dopo una calata in corda doppia su due corde. Gervasutti e Gagliardone risalgono in arrampicata perché non riescono a recuperare le corde. Gervasutti supera uno strapiombo, scopre che il nodo delle corde è bloccato in una strozzatura della roccia, lo libera e cade, trascinandosi dietro le corde che si sfilano dall'anello di ancoraggio. Secondo Gagliardone. unico testimone, prima di cadere Gervasutti gli aveva detto di slegarsi. Uno sbilanciamento nel momento in cui non c'era sicurezza? Un errore di manovra? Un equivoco tra i due? Non lo si saprà mai. Gagliardone, che aveva 34 anni, restò bloccato senza corde, ma riuscì a scendere di circa 250 metri e a farsi udire da una comitiva che passava sul ghiacciaio. L'indomani le guide di Courmayeur recuperarono il corpo di Gervasutti e portarono in salvo Gagliardone (che mori in una disgrazia l'anno dopo). Cinque anni più tardi Piero Fornelli e Giovanni Mauro, andando a completare la via di Gervasutti, ritrovarono la sua piccozza. -Così è caduto», scrisse su Alpinisme Lucien Devies -il più completo alpinista italiano, uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi». Massimo Mila commentò cosi quella morte: -La precisa funzione storica che Giusto Gervasutti ha svolto nell'alpinismo italiano è stata quella di fondere le due scuo¬ le (Occidentale e Orientale) e di dinamizzare l'alpinismo occidentale con la mentalità sportiva e l'illimitato perfezionamento tecnico che sono propri dei dolomitisti». Di Gervasutti restano, oltre alle vie, il libro riedito quest'anno con testi e documenti da Alessandro Gogna, un alpinista che forse ha voluto assomigliargli (-11 Fortissimo». Melograno Edizioni. 320 pagine. 19 mila lire) e la Scuola di alpinismo del Cai di Torino, a lui dedicata, una delle più prestigiose in Italia. A Torino c'è anche un nipote, figlio di un fratello, che gestisce un negozio di articoli per la montagna e un centro tecnico di corsi d'alpinismo. Sotto la Est delle Jorasses, c'è la Capanna Gervasutti. in bilico su uno spuntone di roccia Ma di Gervasutti resta soprattutto il mito romantico di eroe tragico e inutile, uomo di confine tra due epoche: padrone di una nuova concezione tecnica e ideativa dell'alpinismo ma ancorato ai valori classici con la coscienza della loro precarietà. Dopo la Est delle Jorasses. Gervasutti scrisse anche: -Credo die sarebbe molto più bello poter desiderare per tutta la vita qualcosa, lottare continuamente per raggiungerla e non ottenerla mai». Come per il tenente Drogo di Buzzati nella sua fortezza sul deserto dei tartari, o come per un marinaio di Conrad che su un veliero stregato scruta la linea d'ombra, le sfide di Gervasutti. sulle pareti del Bianco, erano tutte contro se stesso. Alberto Papuzzi