Chi uccise Masaccio col veleno? di Pierangelo Sapegno

Chi uccise Masaccio col veleno? SOLUZIONE TRA IL SAGGIO E IL ROMANZO DI UN GIALLO DEL '400 Chi uccise Masaccio col veleno? Risponde uno storico, dopo aver raccolto indizi da antiche cronache e dipinti: l'amico Masolino da Panicale DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE — Morì, il Masaccio, forse di veleno. E andò a morire a Roma, in quell'anno del Signore 1428. Aveva 27 anni, e il mondo ancora da conquistare. A Firenze c'era ser Filippo Brunelleschi che lo stimava assai, aveva gli amici e una casa, e avrebbe dovuto pure ultimare gli affreschi per la cappella Brancacci. Chissà quale uzzolo gli prese: carico -sacchi e cianfrusaglie su una mula e andò, scendendo la via del destino, sulla strada della città etema. Lì ci morì, «dicesi di veneno», scrisse il Billi, un cronista del '500. Lì ci mori, misteriosamente. Nessuno seppe mai chi fosse stato il suo assassino. Andrea Mugnai, che è un collaboratore dello storico Franco Cardini, ha elaborato una teoria tutta sua su questo omicidio. Sta per scriverne un libro, metà romanzo e metà saggio, metà vero e metà inventato, forse anche un film. A uccidere il Masaccio, giovane pittore dal talento indiscutibile, potrebbe essere stato un altro pittore, suo conterraneo, più in là con gli anni, ma un po' meno bravo: il Masolino. Tommaso di ser Giovanni Cassai era detto il Masaccio forse per il suo carattere brusco e aspro. Aveva occhi neri e grandi, un naso gentile, ma una bocca piccola e dura, quasi cattiva. Veniva da San Giovanni Valdarno da una famiglia di falegnami. Era arrivato a Firenze nel 1417: aveva trovato la guerra con Milano e la peste che ammazzava la gente a mucchi, sedicimila morti contarono i cronisti dell'epoca. Conobbe presto il Brunelleschi e nel '22 si iscrisse all'arte dei Medici e Speziali, per diventare pittore indipendente. Neanche due anni dopo lavorava nella Chiesa di S. Ambrogio accanto a Tommaso di Cristofano Fini detto il Masolino, un tipo dal naso grande e impertinente, le labbra carnose, lo sguardo sornione. Masolino aveva già quarant'anni e s'era messo a dipingere molto tardi. Veniva da Panicale, ch'è a due passi da San Giovanni Valdarno. Insieme, i due cominciarono poi ad affrescare la cappella Brancacci. E qualche autore ha fatto in fretta a malignarci sopra, per via anche dei soprannomi che paiono sberleffi toscani, tanto da supporre rapporti particolari. Di fatto, i due si separarono e si ritrovarono più volte. Nel '23, Masolino prese tutta la sua roba e se ne andò in Ungheria, lasciando solo Masaccio a finire la cappella Brancacci. Ma questi ci lavorò sopra senza concludere. Masolino tomo a Firenze nel '27, per poi raggiungere di nuovo il compagno a Roma nella primavera dell'anno seguente. A Firenze in quei tempi c'era la guerra con i Visconti, e le commesse non erano tante. Per la Repubbli¬ ca, minata anche all'interno, erano anni difficili. Proprio in quel periodo fu decisa l'istituzione del catasto, ch'era il modo di istituire le tasse secondo i redditi, e Giovanni di Bicci de' Medici, che era il rappresentante dei popolani nel Consiglio, lo sostenne più di tutti. E dal catasto risulta che il Masaccio era conciato davvero male, doveva stringere la cinghia per campare e non aveva il becco d'un fiorino per far fronte ai creditori. Forse anche per questo parti per Roma. Lì, Martino V aveva da poco sconfitto lo scisma. Ma, nonostante qualche insediamento religioso, quella era ancora una città di pecorai, e la notte, fra le vie strette e sudicie e le case povere e malandate, diventava terra di paura e di conquista per gaglioffi e tagliagole. A Roma nel maggio del '28 scese anche il Masolino. Qualcuno ha scritto che «di una loro nuova attività in comune è testimonianza sicura il laterale del trittico per Santa Maria Maggiore». Certamente, i due si rividero. E certamente uno mori, e l'altro non volle più far ritomo a Firenze, se non da morto, benché lassù avesse lavori da concludere. Su queste vicende reali, su questi appigli storici, sfruttando le ambiguità e le invidie di un rapporto intricato fra due artisti anche in parte lontani fra loro, Mugnai vuol costruire il suo giallo, dove la realtà si mischia alla fantasia in un viluppo difficile da districare. La chiave del giallo, almeno quella, per ora rimane nel mistero. Chissà, forse, lascia intuire Mugnai, sta nella cappella Brancacci. Dopo la morte del Masaccio, i lavori alla cappella Brancacci restarono sospesi. Nel '34, poi, Felice Brancacci che quei lavori aveva ordinato, uno dei personaggi più importanti della Repubblica, fu costretto all'esilio. E solo nell'81, finalmente, Filippino Lippi ultimò gli affreschi del Masaccio. Qualche anno prima lo Scheggia, fratello del Masaccio, ex soldato di ventura finito anche lui a guadagnarsi il pane facendo il pittore, aveva raccontato al biografo di Brunelleschi la strana morte di Tommaso, ucciso dal veleno, forse in un'osteria di Roma. E si chiedeva, lo Scheggia, parlando ad Antonio Marietti: «Assassinato da chi? E perché?». Pierangelo Sapegno^ Masaccio. Una delle figure della Cappella Brancacci