Università, a Legge si cambia di Clemente Granata

Università/ a Legge si cambia Pronta la riforma della facoltà di Giurisprudenza, preparata da una commissione ministeriale Università/ a Legge si cambia Gli anni di studi salirebbero da quattro a cinque, e «ti esami da 26 a 29 - Il biennio finale sarebbe di orientamento nei settori forense, d'impresa e pubblico-amministrativo - Maggiore specializzazione ROMA — Il dottore in legge è un po' un jolly, un laureato adatto a molti ruoli: avvocato e giudice, notaio e insegnante, impiegato pubblico e privato e via dicendo. Il che può dimostrare la duttilità, il carattere .polivalente, della facoltà di Giurisprudenza, sensibile alle esigenze di una cultura giuridica generale e a quelle della preparazione professionale. E' chiaro però che i mutamenti sociali, resistenza di una legislazione sempre più complessa. Inducono a rivedere un ordinamento di studi fermo al 1938 ed erede, a sua volta, di disposizioni che risalgono alla legge Casali del 1859. Vero che l'ordinamento giuridico ha una sua stabilità e continuità, ma vero anche che ciò non può significare sempre immobilismo. Per la verità, nell'ambito delle .liberalizzazioni, del 1969. alcune facoltà hanno provveduto a qualche innovazione, ma ora si tratta di introdurre modifiche valide in tutto il territorio. Si deve operare perché, come dice il professor Adolfo Di Majo. docente a -La Sapienza, di Roma, il laureato in giurisprudenza sia un po' meno - intellettuale generale* e un po' più specialista. Il professor Di Majo ha fatto parte della commissione ministeriale, diretta dall'ex presidente della Corte Costi- tuzionale Leopoldo Elia, che ha preparato un progetto di riforma degli studi giurìdici, consegnato di recente al ministro Falcucci. Nelle sue linee essenziali esso contiene questi elementi innovatori: una durata di cinque anni al posto di quattro; l'aumento del numero degli esami da 26 a 29: l'istituzione, al termine del primo trienno, di un biennio di orientamento nei settori forense, d'impresa e pubblico amministrativo. Sono previsti inoltre corsi biennali per istituzioni di diritto privato e per diritto costituzionale, che prima erano annuali; l'introduzione di corsi di diritto tributario e di diritto comparato, che permette di avere una visione puntuale dei sistemi giuridici operanti in altri Paesi. Per economia politica si è preci sato che -l'insegnamento è inteso a fornire al futuro giurista nozioni di base della sciema economica, amministrate con rigore metodologico, ma sema far ricorso a un linguaggio matematico estra neo al bagaglio culturale degli studenti di giurisprudenza*. Queste prove, assieme a quelle di diritto civile (corso annuale), commerciale, internazionale, del lavoro, processuale civile e penale, istituzioni di diritto romano, storia del diritto medioevale e moderno, filosofia del diritto (spostata al quinto anno) sono obbligatorie per tutti gli studenti. In tali elenchi non si parla più di scienza delle finanze, del corso annuale di storia del diritto romano e di quello biennale di diritto romano. La commissione ha poi deciso che presso ogni facoltà debbano essere costituiti obbligatoriamente i corsi di diritto canonico, comune, delle Comunità europee, ecclesiastico, fallimentare, penitenziario, storia del diritto romano e diritto romano, storia delle costituzioni e delle codificazioni europee. Detti corsi potranno essere inseriti nel piano di studi nell'ambito di un diritto d'opzione pari a circa un terzo degli esami obbligatori. A parte il rilievo dato ad alcuni corsi istituzionali, che tendono a fornire allo studente in modo più incisivo gli strumenti primi del suo lavoro ai fini di una formazione più mirata e professionale, la parte decisamente riformatrice della proposta riguarda proprio l'aumento degli anni di corso e l'introduzione di due cicli di studio. E' un suggerimento al quale va prestata grande attenzione per almeno tre motivi: 1) perché l'individuazione di un triennio iniziale pone le basi per la futura creazione di un diploma in giurisprudenza, livello intermedio tra maturità e laurea, secondo il modello di altre università straniere: il diploma sarà utilizzabile, per esempio, da chi voglia diventare cancelliere o ufficiale nelle forze dell'ordine o entrare in certe branche dell'amministrazione pubblica; 2) perché ormai anche i migliori studenti difficilmente riescono a terminare il corso in quattro anni: non è un caso che i fuori corso aumentino (nel 1985 erano 43 mila di fronte a 125 mila in corso); né si deve dimenticare che il quadriennio era stato previsto quando lo studio si faceva su modeste dispense e non su ponderosi volumi; 3) perché con un anno in più lo studente può dedicare maggiore attenzione alla tesi, la cui compilazione è ritenuta di fondamentale importanza. Ma ecco subito svilupparsi dure polemiche. Con motivazioni talora opposte, ma convergenti verso l'obiettivo di demolire il progetto, scendono in campo alcuni storici ed economisti. I primi lamentano l'assenza di valide prospettive culturali (non ne è un segno, domandano, il sacrificio imposto al diritto romano e lo spostamento di filosofia del diritto al 5° anno?) e rilevano che è opportuno fornire agli studenti metodi, modelli di studio e di ricerca, piuttosto che una mole di nozioni. I secondi dichiarano di essere scandalizzati dal ripu¬ dio del metodo matematico, utilizzato ormai ovunque nell'insegnamento economico e dal declassamento di scienza delle finanze. Sintomi, si afferma, di un disinteresse verso il settore, che pregiudica la buona preparazione dei giuristi. E poi si registra un'accusa più generale: c'è troppo dirigismo, si attenta all'autonomia delle facoltà. Che la commissione abbia voluto accentuare il carattere di formazione mirata e professionale degli studi giuridici non c'è dubbio, ma che manchino, dicono i riformatori, le prospettive culturali è inesatto: lo spostamento al 5° anno di filosofia del diritto, per esempio, è in realtà un'esaltazione della materia, che può essere veramente apprezzata quando ci si è appropriati di tutte le categorie giuridiche fondamentali. Per quanto riguarda economia politica, si precisa, può essere più utile allo studente un'esposizione chiara e discorsiva (ancorché rigorosa dal punto di vista concettua¬ le) che non 11 ricorso a criteri formali, i quali possono essere veramente compresi solo se si ha dimestichezza con l'analisi matematica, il che non accade, soprattutto per chi proviene dal liceo classico. E ancora: un corso obbligatorio e veramente approfondito di diritto tributario è strumento indispensabile per un giurista: altre discipline economiche e finanziarie non hanno necessariamente questa caratteristica e per esse già esiste un'apposita facoltà: Economia e Commercio. Inoltre, secondo la commissione, è salvaguardata l'autonomia delle facoltà: ad esse, per esempio, spetta indicare la rosa delle materie opzionali, la concreta configurazione degli orientamenti, le discipline di altre facoltà che si possono inserire nel piano di studi, l'introduzione di nuove metodologie didattiche. Sono polemiche più che comprensibili. La modifica di un ordinamento caratterizzato per decenni da una grande stabilità non può che produrre ripensamenti e dubbi. Ed è probabile che il dibattito finisca per trasferirsi anche nelle aule parlamentari. Per aumentare la durata di una facoltà non sembra, infatti, che basti il decreto di un ministro, ma che occorra una legge. Clemente Granata

Persone citate: Adolfo Di Majo, Di Majo, Falcucci, Leopoldo Elia

Luoghi citati: Roma