Cocktail party, gran regia di Dexter per una piccola cosa di pessimo gusto
Cocktail party, gran regia di Dexter per una piccola cosa di pessimo gusto A Londra il testo polveroso di Eliot con la splendida «New Theatre Company» Cocktail party, gran regia di Dexter per una piccola cosa di pessimo gusto LONDRA — Estrarre dal cassetto un testo come The cocktail party di T. S. Eliot è un po' come mettere in vetrina le piccole cose di pessimo gusto di Guido Gozzano. Ma è un'offerta di lusso, trattandosi della nuova compagnia — The New Theatre Company — di John Dexter. Questo bravo regista inglese ritorna da New York dopo una lunga assenza. E' stato alla Metropolitan Opera e debutta con una sua nuova compagnia, un formidabile gruppo di attori che ci riportano indietro agli anni d'oro del Teatro Nazionale di Laurence Olivier (dal quale anche Dexter proviene). E per lanciare questa nuova compagnia al Teatro Phoenix, Dexter ha scelto questo tortuoso dramma psicologico che i critici non hanno esitato a definire invecchiato, stantio, polveroso e pesante. In due casi, persino volgare. Bisogna dire che Kenneth Tynan. quel grande critico teatrale che veramen te capiva tutto o quasi, già ai suoi tempi diceva che questo testo del grande poeta — già premio Nobel (usci nel 1950) — era una volgarità sui trampoli. In effetti il senso del peccato, l'espiazione, l'inferno della vita, la difficoltà dei rapporti sono roba da Bibbia bostoniana. Lavinia (Sheila Alien) ha lasciato il marito Edward (Simon Ward), un avvocato di mezza età che è stato l'amante di Celia (la glaciale ma sexy Sheila Gish). Celia ha scoperto il peccato. E' amata da Peter (Stephen Boxer) che scappa a Hollywood (quale fato peggiore?) quando viene da lei respinto. Gli angeli protettori da salotto da cocktail party sono Julia (la bravissima Rachel Kempson, madre di Vanessa Redgrave e moglie di Sir Michael) ed Alex (Robert Eddison), un vecchiotto che sembra vago, ma che è invece vispissimo. Ma è lo psichiatra, non in¬ vitato al party, la figura centrale che cerca di far capire alla coppia infedele che la vita è orrenda, ma che va vissuta lo stesso e che questo è naturalissimo. Sir Henry Harcourt-Railly, lo psichiatra, è interpretato brillante mente dal magnifico Alee McCowen, sardonico, svelto: che i due confessino la loro disonestà l'uno all'altro e non se ne parli più. E' Celia che intenerisce il cuore del poeta-commedio grafo con la sua solitudine e il suo senso del peccato. Lo psichiatra la manda a curare gli indigeni in una misteriosa regione africana dove va ad espiare il suo peccato. Viene crocefissa vicino a un nido di formiche che, presumibilmente, se la mangiano moribonda. Il viaggio verso la salute, dice la voce puritana di Eliot, è l'espiazione, è la crocefissione. Gli altri rimangono a soffrire. L'inferno, dopo tutto, è in se stessi, 11 matrimonio; le relazioni umane nella società borghese sono un compromesso: ben vengano la delizia del martirio, la dolcezza della morte. Questa filosofia è stranamente falsa, il messaggio di Eliot che negli Anni 50 sembrava misterioso, condanna di una società borghese, non è che il solito urlo del puritano e, ormai che abbiamo visto «Tom and Viv» e letto le biografie di Eliot, è lecito pensare al primo matrimonio del poeta. La regia di Dexter, che è ottima, cerca di illuminare le parti comiche — che sono po che, ma esistono — e di alleggerire la pesantezza dei versi, del messaggio. Stephen Boxer, al pianoforte sul palcoscenico, illumina il cocktail party con un commento «suonato». Ma la maestria degli attori, la bravura della regia ed un'ottima scenografìa di Brian Vahey lasciano questo testo dove era già sta¬ to posto: nel dimenticatoio. Non è cosi orrendo come hanno scritto i critici in coro e. se non altro, presenta una facciata «storica». Ma forse Dexter avrebbe potuto scegliere un altro testo per tornare all'attenzione del teatro inglese con una compagnia di attori come questa. Gaia Servadio
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