Nell'isola dannata di Tokyo di Renata Pisu

Nell'isola dannata di Tokyo Ottomila barboni e senzalavoro, taglieggiati dalla mafia, scomodi alle autorità: il ghetto di Sanya Nell'isola dannata di Tokyo Nessuna donna, molto alcol, gente che dorme per strada - Qui si reclutano lavoratori giornalieri con salari da fame - Per l'arrivo di Madre Teresa ripulirono il quartiere, chiudendo in manicomio i vagabondi - «Nessun problema» dice l'amministrazione comunale DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — I barboni di Tokyo, salvo qualche centinaio di stravaganti che preferiscono le stazioni della metropolitana, abitano tutti insieme a Sanya, soltanto due fermate di ferrovia urbana da Ueno, il quartiere dove c'è 11 museo nazionale, un grande parco, il giardino zoologico, le botteghe stracariche di merci. Due fermate, un quarto d'ora al massimo, e si è a Sanya, il .posto maledetto». Si scende alla stazione di Senjiu e ci si trova in un enorme spiazzo deserto dove nesssuno vuole costruire nonostante la fame di terra che c'è a Tokyo perché porterebbe male: era qui infatti che cento anni fa venivano eseguite le condanne a morte. I congiunti del condannato potevano accompagnarlo fino a Namidabashi, 11 Ponte delle Lacrime, chi traversava il ponte non avrebbe mai più fatto ritorno. Oggi non c'è più il fiumicello che divideva il mondo dei vivi da quello dei morituri, scorre sotterraneo coperto da una strada che ha conservato il nome di via del Ponte delle Lacrime. Dall'altra parte della strada c'è Sanya, una sacca di miseria e di disperazione dove vivono più di ottomila uomini che davvero hanno lasciato ogni speranza, se non quella di un ingaggio per la giornata. La mattina alle cinque percorrono vìa delle Ossa, si radunano al Parco del gioiello della Principessa dove non c'è neanche un albero, solo qualche cespuglio e panchine studiate apposta in modo che non ci si possa sdraiare a dormire; cosi i senzatetto dormono per terra, riparati da scataloni di cartone e da giornali. Alle sei davanti ai banchi dei sensali si formano lunghe code di gente che spera di venire assunta per la giornata, nei cantieri edili o in quelli navali, per lavori di manovalanza, altro non saprebbero fare. Ma i due settori sono in crisi, ci sono sempre mei o ingaggi per quelli di Sanya, le previsioni per il futuro sono nere anche per tanti lavoratori di altre industrie. Il Giappone vanta infatti una percentuale di disoccupazione molto bassa, è salita negli ultimi mesi al 2,9 per cento, ma il ministero del Lavoro ha svolto recentemente un'indagine dalla quale risulta che da due anni è in vertiginoso aumento il numero delle imprese che ricorrono a lavoratori part Urne, cioè senza assicurazioni sociali né altre garanzie, pagati a ore e licenziabili sui due piedi. Nell'area metropolitana di Tokyo questo vale, con diverse proporzioni, per il 46 per cento delle piccole e medie imprese. Dice Tadao Fujimura, un sindacalista che si occupa di quelli di Sanya, in realtà non «barboni, ma disoccupati, che quanto prima un numero considerevole di lavoratori giapponesi si verrà a trovare nelle stesse precarie condizioni. E' probabile, ma si spera che i nuovi 'emarginati" riescano almeno a evitare il marchio impresso su quelli di Sanya. Chi sono in realtà? Sono venuti qui da tutte le Provincie del Paese, i più vecchi sono reduci di guerra che al loro ritorno in patria non avevavno più niente, più nessuno: i più giovani sono con tadini o montanari attratti dalle possibilità della metropoli, o minatori che all'inizio degli Anni Settanta si trovarono le miniere chiuse: e poi ci sono ladri, truffatori, giocatori, vittime degli strozzini, vagabondi per ansia di spazio, tutta gente che ha pagato i suoi conti con i debitori e con la Giustizia ma che poi non è più riuscita a reinserirsi. Come l'autista di un camion che ebbe un incidente trent'anni fa, causò la morte di due persone, venne condannato a dieci anni, li scontò tutti ma quando usci non venne più accettatto da nessuno, nemmeno dalla moglie e dai figli. Cosi si rifugiò a Sanya, l'unico posto dove poteva non vivere ma vegetare, visto che non se la sentiva di suicidarsi, come ha fatto invece sei mesi fa l'autista di un pullman che perse il controllo del mezzo e provocò un Incidente con una decina di morti. Perché sembra di capire che in Giappone o ti ammazzi perché hai sbagliato, o vai a morire lentamente a Sanya. Vecchi o giovani (l'età media è 47 anni) a Sanya sono comunque tutti «morti viventi». Da quarantanni Sanya è il serbatoio di mano d'opera a buon mercato della grande Tokyo, ottomila uomini — ma negli Anni Sessanta erano più di ventimila — che i datori di lavoro tengono a «distanza sanitaria» grazie a una trafila di mediatori: l'appaltatore principale, il motouke, si rivolge all'appaltatore di una ditta affiliata, il quale a sua volta passa l'incarico a una piccola ditta di sub-appalto che manda ogni mattina a Sanya i tehaishi, cioè i compratori di braccia. Questi ultimi sono o yakuza, cioè affiliati alla mafia giapponese. «Se riesci a avere un ingaggio per la giornata a 8000 yen, la metà vanno agli yakuza» dice un uomo sui quarant'anni, già ubriaco alle dieci di mattina, come si ubriacano a qualsiasi ora del giorno o della notte, purché abbiano racimolato qualche yen, tutti gli altri ottomila uomini che vivono a Sanya, un ghetto dove non ci sono donne, non ci sono bambini. La popolazione è infatti esclusivamente maschile, adulti o vecchi, fatta eccezione per poche decine di ex prostitute ormai tanto avanzate negli anni, nella miseria e negli acciacchi da non sembrare neanche donne ma fagotti di stracci; c'è anche qualche travestito con la faccia decrepita imbellettata, un rudere senza sesso. Alle sette di sera lungo i marciapiedi di Sanya i senzatetto cominciano a prepararsi i loro giacigli di carta e cartone. Sono silenziosi, ubriachi alla maniera giapponese, cioè opachi, lenti, senza scoppi di violenza, ciondolanti: o forse non è che siano tutti ubriachi ma danno l'impressione di essere ubriachi, oppure drogati, anche se qui droga non ne gira. E nemmeno dovrebbero essere debilltati perché qui non si muore di fame, basta che uno vada nei quartieri ricchi, a Roppongi o a Shibuya, a frugare nei bidoni dove si accumulano gli avanzi dei ristoranti, quintali di pesce, di carne, di verdure, di riso, piatti che i clienti hanno magari appena spiluzzicato. Pochi giorni fa è uscita sul giornali la notizia che tra i barboni di Tokyo che si rimpinzano di rifiuti è altissima la percentuale di colesterolo e ci sono casi preoccupanti- — si fa per dire o per ridere? — di obesità. Ricordate che siete stati voi a ricostruire il Paese, a edificare i grattacieli, a asfaltare le strade* aveva detto alla gente di Sanya per tentare di scuoterla dall'avvilimento e dal torpore di morte Kyolchi Yamaoka, un sindacalista coraggioso perché, di norma, nemmeno i sindacalisti si interessano di Sanya. Yamaoka è stato ucciso sei mesi fa nel quartiere ricco e centrale di Shinjuku. da un colpo di pistola sparato da un uomo dell'organizzazione degli yakuza che dominano il mercato dei manovali di Sanya. L'assassino è in carcere, il processo si svolgerà tra breve ma ci si domanda come andrà a finire. Tutti sanno infatti che la famiglia mafiosa Kanamachi alla quale appartiene il killer è affiliata a una potente organizzazione di estrema destra che si prefigge di restaurare in pieno il potere dell'imperatore. Sono stati uomini di questa stessa «famiglia» che hanno ucciso due anni fa un regista che stava girando un documentario sull'inferno di Sanya, e ancora i colpevoli non sono stati condannati. -Il fatto è die noi sindacalisti che ci occupiamo dei lavoratori di Sanya siamo etichettati come gente "di sinistra", gli yakuza sono invece per definizione "di destra"- dice Fukawa. un altro sindacalista coraggioso «cosi all'opinione pubblica la lotta in favore di quelli di Sanya viene presentata come lotta fra opposti estremismi. La gente di Sanya non esiste, ce la inventiamo noi, oppure esiste ma non è un "problema sociale", si tratta di anormali, di passi da manicomio-. In manicomio infatti vennero ricoverati a forza gran parte degli abitanti di Sanya. si dice tutti quelli che dormivano per strada, quando l'anno scorso, a novembre, venne qui in visita Madre Teresa di Calcutta: si sa, dove arriva Madre Teresa arrivano i giornalisti, le telecamere, cosi Sanya venne momentaneamente «ripulita» ma la cosa fece scalpore. Pochi giorni fa se ne è riparlato a proposito dell'idea di una gita scolastica a Calcutta per «capire che cosa significhi la miseria- organizzata da una scuola media di Tokyo a scopo istruttivo per i suoi alunni. L'ambasciata indiana ha formalmente protestato, facendo capire che considerava l'iniziativa di dubbio gusto, visto anche il precedente della visita di Madre Teresa a una Sanya «risanata» per l'occasione. La gita scolastica è stata soppressa, non sostituita però da una gita a Sanya. • Sanya? Nessun problemali dicono i funzionari municipali per i quali tutto è sotto controllo se non fosse per gli scalmanati di destra e di sinistra. Ad ogni modo a Sanya muoiono in media ogni inverno, di freddo, cento uomini, gente che non ha cinquecento yen per pagarsi un giaciglio sotto un tetto, in una stanza di sette metri quadrati dove c'è posto, stringendosi bene, per dieci persone. Dicono i giapponesi che è inutile parlare di Sanya, soprattutto all'estero, perché è un fenomeno irrilevante nel quadro generale. Da noi suonerebbe qausi come un «avvertimento». E qui? Si ha tanto l'impressione che si tratti piuttosto di «vergogna», di una incapacità intellettuale di accettare la «macchia», il «peccato», dal quale ci si può sempre redimere. Ma se ti vergogni? Con la scopa sbatti la polvere sotto il tappeto, non c'è sporco, tutto a posto, tutto sano, pulito, efficiente, bellissimo. Perdi però anche il gusto di Sanya e dei suoi «barboni» picareschi, disperati, uomini soli, senza mogli, senza figli, senza neanche una puttana, che non si sa proprio cosa ci stiano a fare in Giappone se non fosse per il fatto che sono giapponesi anche loro. Per fortuna. Renata Pisu

Persone citate: Madre Teresa, Tadao Fujimura, Ueno, Yamaoka