I contribuenti dinamici di Mario Deaglio
I contribuenti dinamici I contribuenti dinamici Tra pochi giorni un'apposita riunione del Consiglio dei ministri metterà a punto, con l'anticipo di un mese rispetto al passato, le grandi linee della legge finanziaria per il 1987. Il grande confronto sulle cifre della spesa e delle entrate pubbliche avrà inizio quest'anno in un contesto radicalmente diverso dal recente passato, non solo per i motivi interni che hanno portato alla costituzione del secondo governo Craxi, ma anche perché non potranno essere ignorati alcuni sviluppi internazionali. In particolare, non si potrà passare sotto silenzio il fatto che il volto fiscale del sistema occidentale sta rapidamente mutando. Il Congresso degli Stati Uniti è sul punto di approvare definitivamente una riforma fiscale di portata storica, già descritta, mesi addietro, su questo giornale. In estrema sintesi, le aliquote dell'imposta sul reddito saranno sensibilmente diminuite e ridotte di numero, semplificando fortemente il sistema. Contemporaneamente alla riduzione delle aliquote, però, verrà abolita la maggior parte delle esenzioni e delle detrazioni fiscali, cosicché l'ammontare complessivo delle im< poste sul reddito pagate dagli americani rimarrà sostanziai mente invariato. All'interno della massa dei contribuenti, il carico fiscale sarà tuttavia re distribuito, in parte dalle famiglie verso le imprese, in parte da numerosi gruppi che attuai niente godono di esenzioni e detrazioni verso la generalità dei contribuenti medi e medioalti. Riforme analoghe, comportanti, a carico fiscale complessivo invariato, una riduzione della giungla delle aliquote e delle esenzioni con vantaggi per il contribuentc medio sono state in vario modo annunciate o poste allo studio da numerosi Paesi occidentali avanzati, dal Belgio alla Germania, dalla Gran Bretagna al Giappone. La rilevanza di queste riforme non sta nella, pur importante, semplificazione e maggior chiarezza delle procedure. E' infatti di tipo dinamico, non statico: il nuovo sistema implica che, mentre si pagherà sostanzialmente la stessa cifra a reddito invariato, gli even tuali incrementi di reddito saranno soggetti ad un carico fi scale assai minore dell'attuale, I contribuenti saranno quindi più invogliati a produrre nuovo reddito, in quanto ne potranno trattenere una quota maggiore, e meno invogliati a ricorrere all'evasione, un fenomeno che ha avuto un notevole sviluppo in tutto l'Occidente e non solo in Italia. L'economia nel suo complesso dovreb be ricevere dal semplice mutamento delle regole fiscali una considerevole spinta allo sviluppo. In Italia non ci si sta muovendo su questi binari. Il programma di governo, recente mente approvato dal Parlamento, si caratterizza per una certa inerzia fiscale, ossia per l'attitudine a lasciare sostanzialmente invariati i meccanismi attuali. L'atteggiamento dei grandi partiti continua a essere dominato ddla convinzione che i problemi delle fi nanze pubbliche possano esse re risolti mediante il reperimento (indispensabile, ma non risolutivo) di redditi occulti ossia con un trasferimento di risorse piuttosto che con la formazione di nuove risorse stimolata da imposte non punitive. La riforma americana non é direttamente trasferibile in Ita lia per la profonda diversità strutturale dei due sistemi fi scali e delle due società. Vi é però un discorso di fondo, di tipo politico-sociale, che l'Italia non può ignorare. Le trasformazioni produttive stanno portando, in tutto l'Occidente, all'emergere di un ceto sociale estremamente dinamico, dai redditi medi e medio-alti, dal quale deriva gran parte delle iniziative per la produzione di nuovo reddito. Gli Stati Uniti e buona parte degli altri Paesi avanzati intendono favorire questa creazione (e naturalmente i partiti al governo, a cominciare dai repubblicani a Washington, cercano di ottenere il consenso elettorale di questo ceto) offrendo un sistema fiscale che premi, o quanto meno non penalizzi, il suo dinamismo. A questo scopo sono disposti a passar sopra agli interessi di gruppi anche numerosi di elettori che attualmente godono di facilitazioni e privilegi fiscali di ogni tipo. Anche l'Italia spera di riavviarc il proprio sviluppo inceppato, di creare nuove occasioni di occupazione, mediante l'o¬ pera di una nuova classe media che, in questo quindicennio, ha prodotto una straordinaria fioritura di piccole e medie imprese e a cui si deve in buona parte anche il risanamento dei grandi gruppi industriali privati. Eppure il sistema fiscale è costruito con aliquote tali che la tassazione diretta sottrae, in buona parte dei casi, circa la metà del nuovo reddito a chi l'ha prodotto e lo sposta a finanziare privilegi che in Italia non si misurano tanto in esenzioni quanto in inefficienze: pagano la produttività inferiore alla media occidentale di buona parte dei servizi pubblici, a cominciare dai musei e dai reparti ospedalieri chiusi in agosto. Ma fino a quando? Fino a quando gli italiani accetteranno che una parte cospicua della ricchezza nuova vada ad alimentare inefficienze vecchie? E non sarebbe il caso che il Consiglio dei ministri ne tenesse conto nella messa a punto della legge finanziaria? Mario Deaglio
Persone citate: Craxi
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